Elezioni a sorpresa, campagna elettorale in piena estate, alchimie e baruffe fra partiti, cambi di casacca, mentre l’inflazione galoppa, la povertà aumenta e c’è ancora, sullo sfondo, la guerra in Ucraina. La gente è incazzata, per parlare in francese colto. “E ha tutte le ragioni per esserlo”, ci dice senza neanche quasi farci finire Barbara Lezzi, senatrice cacciata dal Movimento 5 Stelle alla nascita del governo Draghi per aver negato il suo sì al “governo dell’assembramento”. La Lezzi è conosciuta come una pasionaria grillina, mai distaccatasi dalle idee originarie. Avrebbe voluto preparare una forza con Alessandro Di Battista leader, ma ormai, come ci rivela in questa intervista, è troppo tardi.
Lei è stata espulsa dal M5S per non aver voluto appoggiare Draghi, ora il M5S è accusato di averlo fatto cadere. Rinsavimento dei suoi ex compagni di movimento, o tentativo in zona cesarini di rifarsi una verginità elettorale, specie dopo la scissione parlamentare di Luigi Di Maio?
No, io credo che la scissione di Di Maio non abbia fatto che accelerare la caduta del governo. Per il resto, io manco dal M5S da un anno e mezzo, e non conosco le dinamiche che l’abbiano ispirato.
Ma Di Maio non voleva rafforzarlo, il governo Draghi?
L’intenzione di Di Maio era consolidare il governo Draghi, in realtà voleva marginalizzare ulteriormente il M5S, che a questo punto ha fatto le sue considerazioni. Se si doveva stare in un governo in cui si era già ai margini, in cui sostanzialmente sono state abbattute quasi tutte le proprie riforme, allora era meglio far finire l’esperienza di questo governo.
Quindi secondo lei è di Di Maio, la responsabilità principale della crisi che ha poi portato alle dimissioni di Draghi?
Io penso che ci sia principalmente Di Maio, sì, perché è chiaro che Di Maio ha agito con il favore di Mario Draghi: è impossibile che non sapesse niente della scissione in atto e non dicesse niente neanche all’altra parte della sua maggioranza. Da parte di Draghi non c’è stata sicuramente una leale collaborazione nei confronti del M5S.
Insomma, Draghi si sarebbe sabotato da solo, volontariamente?
Sì, penso proprio di sì. Per acquisire più forza, in realtà si sono buttati a terra da soli. Io comunque sono contenta che ciò sia avvenuto, perché questo era un governo fermo da mesi, che non stava risolvendo i tanti problemi strutturali del Paese. Specie in un momento di crisi energetica, crisi pandemica, crisi climatica, ci voleva un governo forte, non che pensasse solo alle nomine da fare prima di andare alle elezioni l’anno prossimo.
Ma un governo di unità nazionale, che deve mediare fra tutti quei partiti, non avrebbe mai potuto essere un governo forte.
Ma infatti io ero per le elezioni, non per ricomporre un’altra maggioranza con un altro premier, e quindi è stato un bene andare alle elezioni adesso. Meglio ora, che dopo. Perché l’anno prossimo abbiamo tantissimi appuntamenti sul Pnrr, non blandi come quelli di quest’anno, ma la vera messa a terra.
Nel Paese c’è un disagio enorme, che probabilmente causerà un’astensione record. Anche lei prevede una fuga dalle urne?
L’astensione record sarà determinata dalla sostanziale inerzia di tutto il governo di fronte ai problemi. Il “governo dei migliori”, che doveva essere di altissimo profilo, di inaudita autorevolezza in Europa, di fatto si è trovato stordito di fronte alle crisi, e si è piegato ai voleri degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina. Perciò, anziché pensare a difendere i nostri interessi, si è pensato a comprare gas dall’America. Senza contare che in Ucraina i massacri si stanno acuendo, perché l’Ucraina sta perdendo, dopo aver subito migliaia di vittime.
Lei l’anno scorso aveva creato una sigla, “Smart Nation – con Dibba”, che sembrava preludere a un impegno di Di Battista. Affronterà la battaglia elettorale? E Di Battista, che lei conosce molto bene, secondo lei si candiderà?
Noi avevamo quasi pronta questa associazione politica a cui stavamo lavorando, però ora non è il momento, in appena due mesi, con la raccolta firme, di partire. Se avessi potuto impegnarmi in un progetto solido lo avrei fatto, ma non mi va di raffazzonare una lista giusto per esserci. Sicuramente, se fosse tornato in campo Alessandro, o il M5S avesse pensato a richiamarlo, perché comunque aveva detto che la disponibilità a mettersi a un tavolo a trattare delle condizioni c’era, io mi sarei impegnata anche al di là del mio destino personale. Però mi sembra di capire che questo non avverrà, non mi pare ci siano aperture da parte del M5S nei confronti di Alessandro, ad oggi.
Di Battista quindi non rientrerà?
Io questo non lo so. A quanto però vedo, fino a ieri il M5S cercava di riaprire degli spiragli con il Pd, rispetto alle chiusure di Letta. Anche questo rivendicare d’essere progressisti, andando appresso a queste definizioni, sembra il tentativo di tenere aperti i giochi con il Pd. A me la posizione del M5S non pare affatto decisa, riguardo alle alleanze. E questo significa che non è definita neanche la parte programmatica. Voglio dire: il Pd rivendica l’agenda Draghi, che in realtà non esiste.
Conte una base programmatica ce l’ha: i 9 punti, con il salario minimo, il no ad altre armi all’Ucraina eccetera.
Sì, però se dovesse allearsi con il Pd, poi cadono, perché il Pd quei 9 punti non li ha sostenuti. Anzi, il Pd è andato in direzione opposta, nella logica dei bonus, delle misure spot, e non di soluzioni strutturali. Noi come Paese abbiamo gli stipendi più bassi in Europa. Com’è stato con la pandemia, in cui abbiamo visto la sanità com’è stata ridotto dopo anni di tagli lineari, ora nella crisi sociale ci ritroviamo messi peggio in Europa proprio per quelle politiche che sono state anche, e molto, del Pd, a partire dalla precarizzazione del lavoro. E non hanno nemmeno aiutato le piccole imprese. In uno dei 9 punti c’è la rateizzazione, e questo significa aiutare quei piccoli imprenditori che non pagano non perché evasori, ma perché sono in difficoltà.
Il suo ex movimento è impantanato in questi giorni sulla questione del limite ai due mandati, con Beppe Grillo contrario alle deroghe per alcuni esponenti di prima fila, e Conte invece aperturista. Ma non è che il M5S sconta una tara a monte, cioè di non aver mai pensato a una serie selezione della classe dirigente?
C’è stato piuttosto un problema di valutazione delle persone, perché ci sono state tante persone di qualità che non sono state valorizzate. Purtroppo i media hanno fatto affiorare solo i casi-limite, ma le persone di qualità ci sono, che non hanno avuto lo spazio che sarebbe stato loro dovuto. Per quanto riguarda il tetto dei due mandati, dovrebbe essere Conte a dover decidere, senza farsi frenare da nessuno.
Da nessuno, cioè da Grillo?
Anche da Grillo. Uno non può stare sospeso, un giorno sì alla deroga, un altro no alla deroga. Io non sono d’accordo con la deroga solo per qualcuno. Dovrebbe funzionare come per le leggi: generali e astratte. Il fatto è che questo è un problema all’interno del movimento, ma un problema si risolve, non lo si rinvia all’infinito, fino all’ultimo giorno prima di chiudere le liste. Chi è che deve decidere qui? I cinque vicepresidenti? Il consiglio nazionale? Che decidessero.
Ma lei, l’iper-tattico Giuseppe Conte, ce lo vede come il Mélenchon italiano?
Non lo so. So solo che per portare avanti quei 9 punti bisogna guardare ai voti, non alle alleanze. Bisogna saper essere convincenti. Anche per giustificare quel che è stato fatto in quest’anno e mezzo.
Cioè aver appoggiato il governo Draghi.
Devono riacquisire credibilità, non stare a pensare ai due mandati. Non sarà facile, se si guarda ancora a Letta e all’agenda Draghi, non si fa che confermare quel che si è fatto finora. Io da cittadino mi chiedo: che cos’è, oggi il M5S? È il Conte 1? Il Conte 2? Il governo Draghi?
Si metta nei panni di un elettore mediamente incavolato che non vuole votare per chi ha governato fino ad ora. O vota Fratelli d’Italia, oppure che fa? Astensione? M5S? Una delle tante formazioni di nicchia in cui il voto si disperde? Esiste un voto utile, per questo cittadino orfano di rappresentanza?
Per avere un’opposizione in democrazia, il voto è sempre utile.
D’accordo, ma in concreto? Lei non si candiderà, perché par di capire che senza Di Battista non ci sono per lei le condizioni, giusto? E allora cosa deve fare, il nostro povero elettore che non dovesse scegliere la Meloni?
Io senza Di Battista non ho garanzie che non si rifaccia un governo di tutti, assieme a Letta che sta imbarcando Calenda che vuole ancora Draghi. O prendiamo Sinistra Italiana: è stata all’opposizione con Draghi, ma ora vuole allearsi con il Pd. Come la mettiamo? Io voglio un’opposizione forte e determinata sul lavoro, sull’ambiente, sulla giustizia. Come si pongono ora quelli che hanno votato la riforma Cartabia, che fa amputare i processi e che l’Europa dice che dev’essere monitorata, perché rischiamo che i miliardi del Pnrr siano mangiati dalla corruzione? Anche su questo si dovrebbe rinnegare quel che è stato fatto. Non basta mettersi assieme per non far vincere la Meloni. D’accordo, contro la Meloni: ma per far cosa?
Barbara Lezzi rischia di astenersi, di non votare?
Rischia, certo. Io sono arrivata a pensare che l’astensione è una forma di voto, una vera e propria richiesta da parte di chi non è rappresentato, da chi non è convinto di nessuno.