Solo beghe di potere: a questo è ridotto il Movimento 5 Stelle secondo Enrica Sabatini, socia della piattaforma Rousseau e compagna di Davide Casaleggio. Voce di punta del mondo ex grillino che si rifà a Casaleggio senior, lo zazzeruto e genialoide Gianroberto cofondatore assieme a Beppe Grillo della prima realtà politica italiana che deve il suo successo all’uso politico di internet (su cosa resta di quegli anni pioneristici ci ha scritto anche un libro, titolo: “Lady Rousseau”, Piemme), la Sabatini dà per morto il MoVimento, nonostante sia dato ancora al 10% o poco meno. Per fare un paragone la Lega, che era crollata al 4%, con Matteo Salvini negli anni scorsi è riuscita a schizzare a più del 30%. “No, non ci sono altri esempi di forze politiche che perdono l’80% di consensi e si rialzano – ribatte lei - La differenza è che mentre i partiti, come la Lega o il Pd, riescono a gestire fluttuazioni anche notevoli avendo una struttura solida, il M5S non ha una struttura di quel tipo, basandosi invece sull’idea che il cittadino possa esprimersi direttamente, entrando nelle istituzioni attraverso dei ‘dipendenti’ di cui il cittadino restava il datore di lavoro. Ma ora anche questo modello è superato”.
Con Rousseau state pensando a qualcosa di nuovo oltre il M5S?
Viviamo nella platform society, dove l’eccesso di informazioni e di stimoli scoraggia l’adesione a una singola forza. La gente non si affeziona più a una proposta definita, com’è quella di un partito o di un movimento, anche per la sfiducia maturata dall’esperienza deludente verso le persone che hanno incarnato l’idea originaria dei 5 Stelle. Si appassiona piuttosto a singoli temi, come la raccolta firme per un referendum. Il futuro vedrà una forte pressione sociale dal basso che, grazie a strumenti di partecipazione diretta, agirà restando fuori dalle istituzioni, senza dover sottostarne alle regole.
Sta parlando del progetto “Camelot” annunciato l’anno scorso da Davide Casaleggio?
Camelot è una realtà professionale per costruire la partecipazione in altri contesti. Ma ci stiamo ancora lavorando.
Ma i contesti quali potrebbero essere? Forze politiche già esistenti? Associazioni, comitati, privati?
Potrebbero essere vari. Pensi al mondo del calcio, dove la disaffezione dei tifosi va gestita cercandone un maggior coinvolgimento. Ma anche la musica, le associazioni culturali, le università. Noi forniremo un metodo. Ma siamo ancora in uno stadio di ricerca.
Il Manifesto ControVento, però, sembra prospettare la creazione di un soggetto nuovo, una sorta di Movimento aggiornato (“uno non vale l’altro”, si legge tra i punti), magari in vista delle politiche nel 2023.
Molti ci hanno chiesto di poter ispirarsi a ControVento visto che manca un anno alle elezioni, ma anche qui siamo in una fase ancora ideale, di studio.
Nel frattempo il Movimento 5 Stelle è travolto dalla contrapposizione frontale fra il leader Giuseppe Conte e l’ex capo politico Luigi Di Maio. L’ultimo terreno di scontro è la linea sull’invio di armi in Ucraina, secondo Di Maio non adeguatamente atlantista e filo-Nato. Dall’altra parte replicano che invece la fedeltà agli Usa non è in discussione. Dove sono allora le differenze politiche, nel merito delle idee?
La lotta non è politica, ma di potere. La guerra interna è sulla gestione del movimento. Conte lo gestisce sulla carta, ma non nella realtà.
Ma la settimana scorsa i giudici gli hanno dato ragione, sulla regolarità della sua elezione a leader.
Sì, ma il 3% rimediato alle ultime amministrative hanno dimostrato la sua gestione totalmente fallimentare. Bisogna distinguere due piani, quello formale e quello informale. Mentre, per esempio, quando venne eletto Di Maio le candidature erano aperte, con Conte abbiamo assistito alla mono-candidatura di un nominato. Ma non siamo in Corea del Nord.
Nominato da Beppe Grillo.
Nominato dal Garante, esatto. Anche l’’attuale Consiglio nazionale (riunitosi ieri sera per discutere dell’attacco di Di Maio al MoVimento, ndr) è una struttura di nominati. Il M5S non ha più una base democratica.
Per la verità pare non avere più proprio neanche una base di attivisti, dato che fatica a reperirne di sufficienti per le candidature, come si è visto alle amministrative.
Le persone che si candidavano lo facevano per mettere in campo la parte migliore di sé, abbracciando una filosofia di onestà, di partecipazione. Si migliorava se stessi e la comunità. Ma ora nessuno ha più intenzione di metterci la faccia. Da 224 liste di cinque anni fa, siamo passati ad appena 10 sindaci di adesso.
Il brand 5 Stelle ancora un gruzzolo di voti sembra averlo.
Quel brand oramai è il marchio dell’incoerenza e del tradimento. È logorato. Soprattutto l’ultima versione, schiacciata sulla personalizzazione leaderistica di Conte.
Ma i 5 Stelle sono sempre stati fortemente centrati sulla figura di un capo carismatico, che era Grillo.
Beppe aveva un ruolo carismatico, è vero, ma funzionale a un gruppo, che poteva essere di consiglieri comunali o regionali o di parlamentari, che entravano nelle istituzioni e gestivano la propria attività. Ma non dettava ogni singola decisione.
Non aveva forse, e non ha ancora, l’ultima parola?
Sì, per statuto, con un ruolo simile a quello del Presidente della Repubblica, di un garante appunto. Però con il nuovo statuto di Conte questo ruolo è stato fortemente ridimensionato, ridotto ai tagli del nastro, delle photo opportunity. E questo mostra tutta la fragilità di Conte, che deve blindare la propria leadership arrivando a nominare uomini di sua fiducia nel Consiglio per paura che chiunque possa metterlo in discussione. Ecco perché ogni volta che è in difficoltà, Beppe arriva a Roma.
Tuttavia Conte, anche su spinta di Grillo, è intenzionato a mantenere la regola sacra del limite dei due mandati, sia pur con deroghe, per cui chi ne ha fatti due da parlamentare può candidarsi, per esempio, in altri livelli, come l’europarlamentare o il consigliere regionale.
Il vincolo dei due mandati dovrebbe rimanere assolutamente inderogabile. C’è già una deroga per i consiglieri comunali, ma perché è un’attività più simile al volontariato. Derogare per altri ruoli è un’aberrazione.
Al di là dei due mandati, che è importante sul piano simbolico, dell’identità delle origini, non crede che il M5S negli ultimi anni abbia scontato i suoi limiti di fondo, cioè mancanza di organizzazione e di formazione permanente, perdendo per strada completamente quella ricerca di idee eterodosse della stagione del blog?
Il limite dei due mandati non è simbolico, è un pilastro. Non è vero che il MoVimento mancasse di organizzazione, un suo modello organizzativo ce l’ha, ma funziona se il potere resta nelle mani della base. Non funziona più, come avviene oggi, se diventa come quello di un partito, cioè verticistico. Se si mischiano i due modelli, si perde la ragion d’essere che era l’apertura ai cittadini, al ricambio generazionale, al rinnovamento delle idee. Senza il vincolo dei due mandati, la struttura si chiude creando un gruppo che si autoperpetua, in cui a contare è la carriera personale.
Ecco, parlando di carriere personali: secondo i retroscena il rivale interno di Conte, Luigi Di Maio, potrebbe dar vita a un nuovo brand, giusto per stare sul marketing, di appoggio incondizionato a Draghi. Lei dove lo vedrebbe collocato, di qui a un anno?
Per come lo conosco io, farà di tutto per restare, ha sempre detto che il MoVimento è casa sua. Soltanto se non avrà alternative andrà da qualche altra parte.
Ma dove, secondo lei?
Secondo me, questa insistenza sulla linea atlantista può far pensare che andrà alla Nato assieme a Draghi. In quale ruolo, non lo so. Non ce lo vedo ripartire con una forza tutta da costruire.
A proposito di forze da mettere in piedi ex novo: Alessandro Di Battista sarebbe il leader naturale di un nuovo movimento che rappresenti l’elettorato un tempo naturale bacino pentastellato, oggi messo in ginocchio dal carovita e dai sacrifici di due anni di pandemia, e orfano di rappresentanza. Che ne pensa? Vi sentite con lui?
Con Alessandro siamo amici da sempre. Lui fa politica attraverso il suo lavoro (di reporter, ndr), su cui è molto concentrato. Ora andrà in Russia. Quel che farà dovrebbe chiederlo a lui.