“Nella Lega il problema numero è diventato Matteo Salvini. Non solo la gente ai gazebi, ormai anche i nostri stessi militanti lo dicono apertamente. Lo schema della rinascita potrebbe essere Massimo Fedriga nuovo segretario di transizione, per lasciare spazio nel 2025 a Luca Zaia. Ma, si sa, in politica gli schemi si possono fare fino a un certo punto”. A parlare così è un esponente del Carroccio ben inserito nell’apparato del partito, che naturalmente vuole restare anonimo. Dopo le batoste collezionate alle amministrative di domenica 12 giugno (Padova persa al primo turno, Verona in bilico, percentuali fra il 4 e il 6% a Genova, Palermo, Parma), per non parlare del disastro annunciato dei referendum sulla giustizia, l’atmosfera tra i leghisti è incandescente. Al di là degli specifici contesti locali dove la Lega, in particolare nei capoluoghi, storicamente non brilla, è la linea obliqua, né carne né pesce del leader che critica il governo Draghi e al tempo stesso lo appoggia, a finire nel mirino. Così si fa strada l’ipotesi di un cambio di guida con passaggio di mano al presidente del Friuli-Venezia Giulia, Fedriga, volto moderato ma leghista doc, con il pensiero che va però a Zaia, il governatòr regionale più amato d’Italia. E qui, secondo indiscrezioni, circolerebbe già il nome del successore per il Veneto fra tre anni: il sindaco di Treviso, Mario Conte.
La situazione attuale dentro il più longevo partito risalente alla Prima Repubblica è la seguente. Salvini in questi anni ha tenuto in pugno la filiera decisionale commissariando a tutto spiano e insediando uomini di sua fiducia nelle segreterie territoriali. In Veneto, da sempre “fratello minore” insofferente della posizione subalterna alla Lombardia, qualche voce di dissenso si è udita, tanto che nei mesi scorsi era scattato il cartellino giallo per figure storiche come l’ex presidente del consiglio provinciale trevigiano, Fulvio Pettenà (prontamente difeso da Zaia: “Gliela scrivo io in bella la risposta”). Adesso l’aspra rivalità con gli arrembanti alleati di Fratelli d’Italia rischia di scippare alla Lega il ruolo trainante nel centrodestra. Con gli scarsi risultati concreti all’attivo e l’elettorato provato da due anni di sacrifici pandemici e dal caro-bollette, la corda è stata troppo tirata e il malcontento straripa. Tanto che un peso massimo come Roberto “Bulldog” Marcato, assessore veneto portabandiera dell’antico leghismo tutto autonomia&territorio, all’indomani delle comunali se n’è uscito con la richiesta di una “riflessione profondissima e violenta” che arrivi fino “al nazionale”. Cioè a Salvini. Se si aggiunge che il rappresentante permanente in casa Lega dell’establishment che conta, Massimo Giorgetti, più volte ha manifestato stizza e biasimo per le posizioni populiste del Capitano, il quadro per quest’ultimo è tutto tranne che lineare.
Vero è che da sempre, in un partito leninista e centralizzato com’è il Carroccio, le divisioni interne raramente deflagrano, men che meno in pubblico. Ma se Salvini sul Corriere della Sera deve mostrare di far sue le rimostranze (“È mio dovere prendere atto di queste riflessioni e lavorarci”, 15 giugno), significa che queste ci sono e danno adito a supposizioni che si fanno ogni giorno più insistenti. Marcato, il più esplicito, onde evitare congressi pilotati chiede un’assemblea nazionale, dove magari far nascere l’alternativa Fedriga. Zaia, prudente all’estremo, è improbabile che lasci la dorata e blindatissima postazione in Veneto. Ma fra due anni sarà difficile avvalersi di una seconda proroga e dovrà scegliere cosa fare da grande. Non è affatto detto che opti per il rischiosissimo posto di leader nazionale, ma è certo che in parecchi guardano alla sua rassicurante fisionomia da amministratore senza spigoli per la nuova era. Il problema è che Salvini non è tipo da mollare la presa. Il futuro, insomma, è tutto da scrivere, e si preannuncia turbolento.
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Nel frattempo il toto-successione già impazza in Veneto per il dopo-Zaia. Marcato, burbero padovano dai toni schietti e finto-rudi, ha già spesso ripetuto di essere disponibile per prendere in mano il partito. Ma come erede alla presidenza della Regione, radio-scarpa leghista si concentra su un nome che per molti aspetti sembra un fac-simile di Zaia: Mario Conte, classe 1979, figlioccio dello storico sindaco-sceriffo di Treviso Giancarlo Gentilini (poi ripudiato). Carattere misurato, mood conciliante, mai una parola fuori posto, dal 2019 è il primo leghista a presiedere in Veneto l'Anci (Associazione Comuni Italiani). Primo cittadino del capoluogo trevigiano con quasi il 55% di consensi, come Zaia giura di non pensare ad altro che a finire il mandato e di voler ripeterlo una seconda volta l’anno venturo. Ma è noto che i secondi mandati non prevedono il tris, e perciò se il quartier generale nel 2025 lo chiamasse per la staffetta con Zaia, da buon soldato qual è Conte non potrebbe sottrarsi. C’è soltanto da capire che ennesima torsione avrà la Lega di qui a un anno. Dal no euro a Draghi, dal federalismo al sovranismo, dal gialloverde con il M5S al tuttifrutti di oggi, le traiettorie del misirizzi Salvini sono state sempre imprevedibili. A meno che la prossima non sia la notoriamente non troppo gaia traiettoria dell’uccello padulo.