Cristina Fogazzi, l'Estetista Cinica di Instagram, è stata ospite del neonato podcast di Giulia Salemi, 'Non lo faccio per moda'. Perché le sciagure raramente vengono da sole. Boutade a parte, la chiacchiera tra le due ha raggiunto picchi di piaggeria urticanti. Come succede, del resto, ogni volta che l'imprenditrice digitale col caschetto si concede in tv (su tutte le occasioni, citiamo le 'interviste' chez Alessandro Cattelan, Rai 2). Lady Imprenditoria Digitale, Nostra Signora dello Scrub Virtuale ama raccontarsi in qualità di self-made-woman che non deve dire grazie a niente e a nessuno, all'infuori di se stessa, per essere diventata milionaria grazie al ghiotto business delle insicurezze femminili. E va bene così. Solo, quando per sbaglio sconfina in altri argomenti che non riguardano la sua fulgida persona, finisce per spararla davvero grossa. Commentando, per esempio, il caos Ferragnez, sostiene che il 'sentiment' negativo delle persone nei loro confronti sia dovuto soprattutto a "una insofferenza latente che già c'era. E che capisco perché anche io sono stata povera". Bontà sua, Fogazzi ci comprende. Oppure le sfugge che, stavolta, l'Insalata Bionda non sia nel mirino di qualche hater per un outfit opinabile. Ma in quello dell'Antitrust e di svariate Procure nostrane per sospetta truffa aggravata. Che la questione riguarda casi di beneficenza legati al brand Ferragni al vaglio delle autorità competenti perché forse farlocchi. Forse farlocchi e agiti sulla pellaccia di bambini malati, ospedalizzati. Però certo, sì, chi si esprime contro Chiaretta lo fa soltanto animato da invidia sociale, perché è un poveraccio. Siamo, bene o male, tutti poveri. Sicuro in confronto ai Ferragnez. Solo, magari non proprio così fessi da berci più ogni cosa acriticamente. Vediamo di cerettar via questa ennesima boiata ripresa da ogni testata nazionale online come fosse "analisi lucidissima", si legge, forse perfino Vangelo. Ma per carità!
Nel nostro bellissimo Paese stiamo con le pezze al culo? Sì. Oppure, se preferite, coi bendaggi anti-cellulite ben adesi alle terga, ma quest'è. La ritrosia o anche l'avversione attuale nei confronti dei Ferragnez dipende dal nostro conto in banca? No, non proprio. "Io sono stata povera nel senso che non sapevo come pagare la bolletta della luce, non nel senso da non potermi permettere un paio di scarpe Dior", precisa Fogazzi. Aggiungendo che, per questo motivo, comprende l'antipatia del popolino verso i Ferragnex: "Forse la gente a casa all'inizio rimane affascinata dalle borse di Chanel, poi però dice 'Perché tu ti puoi permettere un armadio di borse Chanel?'. Alla lunga, è come se avessero continuato a vedere un privilegio del quale non riuscivano a giustificare tanto il motivo e che poteva sembrare un po' regalato dalla fortuna…". Prima obizione: Chiara Ferragni, ed essendole grande amica Fogazzi non può non saperlo, è nata ricchissima. Ha iniziato, quando nessuno ancora in Italia lo faceva sui social, a postare i suoi meravigliosi outfit griffati perché quei capi facevano già parte della cabina armadio che teneva in cameretta. E buon per lei. Ma è sempre bene ricordarlo.
Secondo poi: ogni influencer che Mefisto ha mandato in Terra è un privilegiato. La bolla dei social, anabolizzata dai cuoricioni di noi tutti, negli anni ha dato vita e soldi veri a personaggi divenuti 'famosi' magari ancor prima di compiere la maggiore età. Seguiti "in quanto loro stessi", questi sono poi giunti all'attenzione dei brand che li hanno ingaggiati come testimonial per smarchettar prodotti, nella beata illusione di raggiungere una maggior fetta di pubblico a cui vender roba. Tutte operazioni strapagate, a fronte spesso di un seguito Instagram proveniente dalle Galapagos (ossia, comprato un tanto a bot per dare l'impressione di essere rilevanti a suon di numeroni). E via così a creare un 'sistema' che autoalimentava se stesso ogni giorno di più. Un 'sistema', quello dell'influencer marketing, basato spesse volte sull'aria fritta, consapevolmente. E dunque oggi esistono orde di ragazzetti capricciosi, alcuni anche over 30 oramai, che non hanno mai lavorato un giorno in vita. O per cui il concetto stesso di 'lavoro' è scattarsi selfie e sfornare reel troppo divertenti. Abituati al consenso assoluto da parte dei loro follower, specie da quelli indiani, a cascate di soldi per ogni foto-prodotto, a bollare come 'hater' chiunque abbia da ridire alcunché. Questo è (sempre stato) uno squilibrio micidiale, ma accettato da tutti come quell'errore del Matrix che esiste, è tra noi, ma nessuno nota. Le cose stanno così e basta, pensa Lucia in stage non retribuito mentre piazza un cuoricione al "New Post" dell'influencer coetanea @GigettaChic che ha una nuova borsa troppo glamour. E che per quel singolo scatto ha incassato svariate migliaia di euro. Come era successo il giorno prima e come avverrà quello seguente. Bene.
Ora, dopo il pandoro-gate franato sulle collottole dei Ferragnez, le persone stanno semplicemente cominciando a rendersi conto di questo cortocircuito. E gli influencer, anche quelli che sono riusciti a surfare l'onda buona del seguito Instagram per costruirsi attività commerciali vere e proprie (bravi!), cominciano a tremare. Proprio come Fogazzi che da mesi oramai posta storie irridendo l'obbligo di dover piazzare la sigla #adv quando smarchetta i suoi prodotti. In modo da rendere noto che quelli siano, a tutti gli effetti, consigli per gli acquisti e non da amica che ci vuole del bene. È stata l'AGCOM a imporre tale regola, già pre-esistente ma non sempre applicata, nel gennaio scorso proprio a fronte del caos Ferragnez. Non è stata un'idea, insomma, di quella livorosa di zia Pina che non arriva a fine mese e allora sputa sgrammaticato veleno sul web contro chi percepisce come più ricco di lei.
Troviamo che sia un bene. Troviamo che sia un bene questo risveglio dell'indignazione popolare verso i privilegiati dei social, dai Ferragnez in giù. Non si tratta di invidia, solo di aver maturato la capacità di guardare la realtà con occhi meno ricoperti di strutto. Se oggi Perla Vatiero, vincitrice del Grande Fratello, viene derisa perché in ogni storia Instagram sponsorizza qualunque tipo di prodotto/brand dai "leggings col Dna" (?!) ai volponi che promettono di dar numeri 'sicuri' per il calcioscommesse, è un progresso dal punto di vista social(e). La fanciulla appare come una disperata che non sa più a che santo votarsi per fare cassa, battendo il ferro della notorietà finché resta tiepido. Lei, di suo, fa benissimo perché così, auspichiamo, riuscirà presto a comprarsi casa. Perdendo, però, la 'fiducia' e la simpatia dei follower. Follower che finalmente si sono svegliati e non subiscono più in modo passivo l'aggressivo scorrere delle storie Instagram dei loro beneamati.
Certo, qui si potrà dire che esistono influencer un filo meno circensi, quelli che fanno pubblicità in modo "etico", nel pieno rispetto dei propri seguaci. Prima di tutto, chi agisce così lo fa perché è già (diventato) ricco. Ora che può scegliere, con buona pace delle marce marchette passate, si spende per buone cause, prodotti bio, cruelty-free, ci smarchetta tutto col cuore in mano e solo se ritiene che sia il caso di farlo, giurin giurello. Eh però il privilegio resta. In un Paese in cui un dipendente medio lavora un mese per portare a casa uno stipendio da 1200 euro, questi pigliano 10K a sponsorizzata. Ossia ciò che i loro amati follower prendono in grossomodo un anno. E per fare che cosa, operativamente? Salvare vite? Trovare la cura per il cancro? No. Per "essere se stessi" e raccontarci quanto sia buona la tisana detox Fiordinulla che gli ha cambiato la vita 'per davvero'. Forse, in fin dei conti, ha ragione Fogazzi: siamo troppo poveri per capire come mai questo possa essere un 'lavoro' tanto floridamente retribuito. Se non altro, però, non siamo (più così) fessi da continuare ad alimentare una bolla dentro la quale in moltissimi hanno mangiato finora. Lato loro, se scoppia son dolori. Avranno da trovarsi una fatica. Lato nostro, sarà solo linevitabile fine dell'era più scema di sempre. Auguri a tuttə.