Il 24 maggio scorso alcuni agenti della polizia locale di Milano vengono ripresi nell’atto di pestare Bruna, donna transgender di origine brasiliana, in pieno giorno e sotto gli occhi (e gli smartphone) di altri cittadini. Il video diventa virale. Poco dopo Davide Bombini pubblica un reel sul suo account Instagram e titola: “Fuori Polis Aperta dai Pride”, riferendosi al prossimo Pride di Milano in programma il 24 giugno. Polis Aperta è, dal 2005, la prima Associazione di Volontariato LGBT+ Forze di Polizia, Forze Armate e sostenitori, con annesso sito e hashtag #diversamenteuniformi. Si definisce apartitica e apolitica, è membro dell’E.G.P.A. (European Gay Police Association) e dichiara l’obiettivo di lottare contro ogni tipo di discriminazione, in particolare quelle sessuali e di genere. Invece Davide Bombini chi è? A noi si presenta come educatore e «frocialista stagionata» con quindici anni di attivismo queer alle spalle («ma la definizione di attivista non mi sta più tanto addosso»). Non è un volto mediatico né un attivista influencer con 300k di follower al seguito, dunque, stando alla legge dell’algoritmo, non dovrebbe importarci granché del suo reel da un centinaio di views. Invece abbiamo voluto parlarci per almeno due buoni motivi: non essendo nel girone di quelli che fatturano con le opinioni, della sua opinione ci fidiamo di più. Capisco presto di essere al riparo da lezioni di diritto civile in salsa Canva e dell'intellettualismo sputato in faccia agli ignoranti in materia (tipo me: donna cis etero in cerca di spiegazioni). Soprattutto, la visione di Bombini è personale ma condivisa da buona parte dei movimenti queer non pacificati, «ovvero quelli che non si accontentano di riformare un sistema, ma vogliono rivoluzionarlo. Non è un caso che fioriscano Pride non istituzionali che pongono al centro questi temi conflittuali, al di là del ‘volemose bene e viviamoci l’amore in libertà’».
Prima di confrontarmi con Bombini la mia opinione tendeva istintivamente nella direzione opposta alla sua. Empatizzavo con chi nei commenti lo provocava: “Quindi scegliete chi deve venire al Pride perché siete inclusiv* ma fino a un certo punto?”. Dal confronto con Bombini, però, esco con più di un ragionevolissimo dubbio (questo significa che lui sa fare buon uso della dialettica, certo, ma pure che il dialogo ha ancora ragione d’esistere, perfino in quest’epoca di assolutismi). Siamo di fronte a un rompicapo: è giusto mettere in discussione la partecipazione di Polis Aperta ai Pride, in quanto simbolo di una comunità alla quale la stessa Polis Aperta appartiene? Ed è giusto che Polis Aperta voglia partecipare anche in rappresentanza delle Forze di Polizia e delle Forze Armate? Un passo indietro: quella di Bombini è una richiesta, non una notizia, ma si colloca in un dibattito che fa discutere da sempre (soprattutto a giugno, ‘Pride Month’ per eccellenza). Proprio un anno fa, in occasione del Rivolta Pride di Bologna 2022, Polis Aperta dichiarava attraverso un comunicato ufficiale: «Ci è stato chiesto di non presentarci con i loghi e lo striscione dell’Associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo», ricordando che anche «al Pride di Bologna 2020 la stessa sorte toccò all’Associazione Plus – Persone LGBT+ Sieropositive». Per Polis Aperta questa è «discriminazione». Al contrario, per una parte della comunità queer si tratta di assicurarsi che il Pride rimanga un posto safe per chi di solito non ha posto. «Benissimo che Polis Aperta esista - dice Bombini - ma ai Pride ci sono persone che dai corpi di polizia sono state maltrattate e aggredite. Abbiamo un esempio di pochi giorni fa, quindi bisogna credere alle persone che vengono ai Pride: vogliono uno spazio sicuro». Gli faccio notare che Polis Aperta ha condannato subito le azioni dei quattro agenti come «aberranti» e «ingiustificate», chiedendo anche di «non fare l'errore di puntare il dito verso l'Associazione nazionale delle persone in divisa LGBT+ come capro espiatorio di questa violenza sistemica». Bombini mi risponde che non è sufficiente: «Si dissociano dagli atteggiamenti violenti di quegli agenti, ma non problematizzano la violenza intrinseca che c’è nell’istituzione».
Ma se gli esponenti di Polis Aperta partecipassero ai Pride ‘in borghese’, ovvero come individui e non come Associazione, l’accoglienza sarebbe diversa? «Totalmente. Venire al Pride con quei simboli, e rivendicarsi nella propria identità di forza dell’ordine nel contesto del Pride, purtroppo riaccende nelle persone ansie e paure». L’elemento triggerante è la divisa. «Io comprendo la difficoltà dell’esistenza stessa di Polis Aperta. Avere un’identità che si discosta dalla norma eterosessuale cisgender oggi è complicatissimo. E temo che sia difficile, per una persona che entra nel corpo di polizia, esprimere le proprie idee progressiste: come se la vive un poliziotto di sinistra? I corpi di polizia in Italia - questo non è un segreto - sono abbastanza machisti e fondati su un metodo maschilista. Al di là di Bruna - l’ultimo evento eclatante che è emerso in questi giorni, dove la transfobia è innegabile - il problema dei corpi di polizia è che hanno costituzionalmente, tra gli obiettivi, quello di mantenere lo status quo. Non è che debba dirlo io o Bakunin: è evidente che una persona come Bruna, per l’ordine pubblico, non vada bene».
Rimane il dubbio che pure nella cosiddetta battaglia per l’inclusione emergano i limiti di una storia vecchia come il cucco: la ‘guerra tra poveri’, dove la moneta di scambio per un individuo tutelato è di discriminarne un altro. Sotto il reel di Bombini qualcuno ci va giù pesante e lo accusa di adottare argomentazioni tipiche della destra. «Comprendo che si possa pensare: ma come, il Pride è uno spazio che accoglie chiunque voglia affermare la propria identità, e poi si mette ad escludere alcune categorie di persone? Ma devo fare un inciso: il concetto di inclusività è un po’ sputtanato, come quello di resilienza, per quanto siano dei significanti che hanno dei significati meravigliosi». Per semplificare, allora, ricorda la polemica che si sollevò attorno a quelli che partecipavano ai Pride sbandierando scritte come “Mi piace la patata, ma sostengo la parata”. «Ok, fa ridere. Detto questo: amico uomo cis eterosessuale, ti voglio bene, ma oggi non è il tuo giorno. Voglio essere inclusivo con te, è bello che tu venga in questo spazio di libertà dove non sei costretto a performare come uomo cis eterosessuale, ma è proprio quello che stai facendo. Sei qui a rimarcare il fatto di non essere ricchione, e allora c’è qualcosa che non va». Bene. Il nervo della questione sta nel valore politico del simbolo, di quella divisa in quel contesto: ma perché prenderla come una rivendicazione anziché una dissociazione? Il fatto che un’associazione composta da Forze di Polizia e Forze Armate sia dichiaratamente LGBT+ non è di sostegno alla causa comune? La loro presenza schierata, in divisa, non è più impattante della loro assenza? Non equivale a dire “la Polizia c’è, ma dalla parte nostra”? «Credo di sì» riflette Bombini, e per la prima volta tentenna (forse il suo, di ragionevolissimo dubbio, si affaccia proprio qui. E forse è qui che andrebbe cercato il meeting point tra parti): «Al Pride si protesta anche contro la violenza della Polizia di Stato, quindi vedere chi sfila con la divisa della Polizia di Stato ha un’importanza di impatto. Ma temo che il contesto non sia ancora maturo… Non so, capiamolo».
Nel suo reel era categorico: «Non c’è nessuna discussione: è così e basta». Al termine di questo confronto ci interroghiamo sulla remota possibilità di venirne a capo, e gli chiedo se immagina un dialogo con Polis Aperta: «Credo che un dialogo con loro si potrebbe costruire. Domani non ci sarà la rivoluzione, ma parliamone nel modo più sereno possibile, mettendo anche in conto un clima di reciproco fastidio. Inclusività non significa che puoi rivendicare di essere parte della macchina oppressiva solo perché hai un’identità LGBT+. Però stiamo insieme nella contraddizione: se ti chiediamo di non venire in divisa non opporti, parliamone. Io ti spiego il punto di vista di chi ha subito maltrattamenti dalle forze dell’ordine, tu spiegami quali sono le dinamiche di violenza che scaturiscono dal servizio che fanno, dalle attività di pattugliamento, dall’addestramento. Sarebbe utile una reale discesa in campo di Polis Aperta contro gli atteggiamenti discriminatori dell'istituzione a cui appartengono». Abbiamo contattato i rappresentanti di Polis Aperta: parleremo con loro dopo il Pride di Pavia al quale, oggi, stanno partecipando. In divisa.