Chapeau a Zerocalcare. Il fumetista romano ha pubblicato su Internazionale un fumetto in cui racconta la storia di Ilaria Salis, regalandoci un punto di vista, il suo, mai banale e di grande coerenza intellettuale: “Se vi è capitato in questi giorni di sentire qualcosa della vicenda di Ilaria Salis, detenuta in Ungheria da undici mesi con l'accusa di aver partecipato all'aggressione di due neonazisti nel giorno di una commemorazione delle SS a Budapest con una richiesta di condanna a 16 anni di carcere, o se invece non ne avete sentito nulla: 26 pagine per spiegare un po’ il contesto, la situazione del processo che non riguarda solo Ilaria ma decine di altre persone, arrestate, in attesa di estradizione o ricercate, e pure per provare a fare una riflessione di carattere più generale che va oltre l'innocenza o la colpevolezza dei singoli imputati”. Noi di MOW abbiamo letto il fumetto di Michele Rech, che tiene incollati fin dalla prima pagina: “Questa è una storia complicata. Ma riducendola all’osso, ‘In fondo al pozzo’ è una storia di nazisti, di galera e di responsabilità”. È la storia di chi non si ferma, che non ha paura di prendere posizione. E’ un racconto dove tutto sembra capovolto, in cui chi sceglie di lottare viene considerato un nemico pubblico.
Ma facciamo prima un passo indietro. Chi è Ilaria Salis? Una trentanovenne milanese di professione maestra elementare, ora detenuta nel carcere di massima sicurezza di Budapest. È stata arrestata l’undici febbraio scorso, nel giorno dell’onore, uno dei più importanti raduni neonazisti europei, in memoria di quando nel 1945 i soldati tedeschi tentarono di rompere l’assedio dell’Armata Rossa. Risultato? Tantissimi morti, mentre i sopravvissuti si unirono alle truppe naziste. L’accusa nei confronti di Ilaria è quella di aver provocato delle lesioni, per cinque e otto giorni di prognosi, a dei neonazisti. E poi, da quel momento, il buio. Inghiottita senza apparente via d’uscita nel sistema penitenziario ungherese, a condizioni disumane. Tenuta in isolamento in tre metri quadri, senza vestiti di ricambio, senza assorbenti e senza la possibilità d’interagire con il mondo esterno. Nessun contatto con la famiglia per mesi. Fin quando non le viene data la possibilità di scrivere delle lettere, da cui emerge un mondo fatto di privazioni e soprusi. Quando finalmente ha la “possibilità” di presentarsi davanti a un giudice la portano legata mani e piedi. Ma non solo, perché le uniche scarpe che le vengono date per camminare sono degli stivali con il tacco a spillo. È questa la realtà oppure si tratta di un mondo distorto? Un mondo in cui vieni processato in una lingua che non conosci, dove se scegli di patteggiare la proposta dell’accusa è di undici anni di reclusione, in caso contrario il rischio è di doverne scontare sedici.
Viene spontaneo domandarsi perché per un reato simile dovrebbe scontare così tanti anni di prigione. E beh, Zerocalcare non si è risparmiato, e ci ha ricordato che questa spiegazione potrà tornarci utile non appena sentiremo domandarci la classica frase vuota: “Ma non se ne poteva rimanere a casa? Ci sarà un motivo se le vogliono dare una pena simile?”. Troppo facile, tropo riduttivo troppo tutto. Ad Ilaria sono state riconosciute due aggravanti: l’aver recato lesioni che potevano pregiudicare la vita (nemmeno avessero avuto sei mesi di prognosi), e l’aver compiuto il reato nell’ambito di un’associazione criminale. Questo è un passaggio importante, perché Ilaria non fa parte di nessuna associazione, quindi si ragiona per tematiche, per associazioni. Se partecipi a degli scontri con dei nazifascisti automaticamente sei parte di un’organizzazione. Zerocalcare docet, Ilaria si è assunta una responsabilità, scegliendo davanti alle ingiustizie da quale parte schierarsi. Mentre chi si limita a riassumere il tutto a un lapidario “poteva restarsene a casa”, quali responsabilità si è assunto? Zerocalcare ci ricorda che chiunque si assume simili responsabilità merita rispetto: “Chi invece si sente tranquillo e pieno di certezze, da che parte della storia sta?”. C’è chi continua a correre e chi si disinteressa di tutto, e la massima per questi resta sempre una: “Non ce ne frega un caz*o, annateve a pija er gelato”.