Prendete nota: se portate degli anelli con i teschi e avete malauguratamente concesso un’intervista ad Aldo Cazzullo, dopo anni e anni vi rinfaccerà di esservi conciati da satanisti. Se poi siete anche Keith Richards, il chitarrista di una band di “anziani signori” che pare si chiamino Rolling Stones, la vera star, ovviamente Cazzullo, non si ricorderà “assolutamente nulla” del vostro colloquio. Toh, ecco: al massimo, raccontandogli la vostra esistenza spericolata, tre o quattro vite in una da sopravvissuti a voi stessi, gli avrete lasciato “un’impressione di vuoto”. Lui, la grande firma del giornalismo tricolore, non può che nutrire umana compassione per un rugoso musicista che ha solo fatto la storia di quel genere minore che è il rock. Sapete com’è: rivendicare “la ribellione verso il mondo, il sistema, la borghesia benpensante” da un hotel di lusso, non vi rende coerente agli occhi di un prestigioso commentatore aduso alle nefandezze della politica italiana. A che gioco giocano, perbacco, queste attempate rockstar, che nonostante l’età scrivono ancora canzoni e si sbattono sui palchi di tutto il mondo entusiasmando fan vecchi e giovani – tranne, si capisce, Cazzullo, e con lui un lettore del Corriere della Sera che confida di preferire la visione casalinga di video online di Tony Manero?
In fondo questo tale, Keith Richards, è stato solo il co-autore (assieme a quell’altro là, com’è che si chiama?, Mick Jagger) di Sympathy for the devil, Gimme shelter, Brown Sugar e di un qualche altro centinaio di riff diventati la colonna sonora di un’epoca. Un tizio con la bandana che, cosa inspiegabile, fa tuttora cantare saltare ballare generazioni diverse (basta recarsi a un loro concerto, nonostante il costo incivile dei biglietti). Per Cazzullo, che da buon cronista sa stare sul pezzo, erano da reparto geriatrico già ai suoi tempi, negli anni ’80. Adesso ci sono i Måneskin, che gli sembrano una cover band di scimmie del passato, ma va bene così: che i ragazzi di oggi si emozionino pure, gli sia concesso. Che scoprano quella musica vecchia come il cucco come fosse nuova. Cazzullo chissà come si emoziona ancora, ora che pure lui non è esattamente più di primo pelo. Ah no, lo sappiamo: per esempio andando in tour per l’Italia parlando del proprio, indispensabile libro biografico su Dante Alighieri, personaggio notoriamente trascurato quanto a biografie.
Tornando a bomba: sarebbe insolente far notare al Cazzullo che praticamente da sempre, e non da quando li intervista lui, i Richards e i Jagger conducono vita da nababbi grazie alle royalties dei dischi. Suvvia, chi siamo noi, per osare tanto? Non siamo mica dei Keith Richards qualunque. I miti sono generazionali, ci ricorda il tuttologo Cazzullo. Chissà come mai, allora, l’ultima sua fatica editoriale è dedicata a Benito Mussolini, detto er capobanda. Un mito, positivo per i nostalgici e negativo per i nostalgici alla rovescia, che sfida ogni trapasso generazionale. Un pezzo da museo, morto e stramorto, artificialmente tenuto in vita strizzandolo da ogni lato e sfruttandolo in ogni maniera, pur di far cassa (chiedere lumi ad Antonio Scurati, please). A istinto, ce li fa cadere a terra la buonanima del Capoccione più che quel satanista di Keith, che per lo meno è divertente. Ma mica siamo Cazzullo, noi.