Dietro le vicende eversive che hanno intorbidato l'Italia per mezzo secolo c'è un signore il cui nome dirà poco ai più: Gianfranco Alliata di Montereale. Lo si trova a fianco di un presidente degli Stati Uniti, al tavolo da poker con Tommasino Buscetta, nella massoneria e vicino al fascista Junio Valerio Borghese. Uscito intonso, in seguito a provvidenziale avvelenamento in carcere del suo accusatore, dai processi che lo coinvolsero come uno dei sospetti mandanti della prima strage della Repubblica, il famigerato eccidio di Portella della Ginestra nel 1947, è a partire da lui che Giovanni Tamburino, il magistrato che nel 1974 indagò a Padova sulla struttura criminale neofascista "Rose dei Venti", illumina un pezzo di storia italiana nel libro "Dietro tutte le trame. Gianfranco Alliata e le origini della strategia della tensione" (Donzelli). Con dovizia di documenti anche inediti, l'ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura negli anni '80, quando a presiederlo era Sandro Pertini, tira i fili che collegano apparati dello Stato, eversione di vario colore, gruppi massoni e tentacoli mafiosi nella cosiddetta "zona grigia", che non esitava a ricorrere alla violenza sistematica per orientare il corso degli eventi. Senza che questo comporti, come sottolinea nell'intervista qui di seguito, fare di tutta l'erba un fascio, non distinguendo i cancri deviati dalle parti sane dell'Italia repubblicana.
Se dovesse individuare un filo rosso (o nero...) dietro tutte le trame occulte che si sono succedute durante la storia della Repubblica, come lo descriverebbe?
La collocazione internazionale dell’Italia è stata a lungo essenziale nel quadro di un equilibrio strategico. In corrispondenza a ciò l’assetto interno doveva impedire una evoluzione politica incoerente con le esigenze strategiche. Fino a tutto il decennio ’80 del secolo scorso una “conventio ad excludendum” impediva al Partito comunista l’accesso a ruoli di governo. Occorreva controllare e condizionare dall’esterno la competizione politica, che è fisiologica in ogni democrazia e del resto voluta dalla Costituzione. Abbiamo visto operazioni golpiste che almeno in un caso, nel 1970, andarono vicine al risultato. Il filo conduttore non è il golpismo, ma sta nelle organizzazioni utilizzate per operazioni comprensive dell’uso della violenza e delle stragi. Senza pensare a una pianificazione centralizzata capace di tenere tutto sotto controllo, non si può dubitare che quelle organizzazioni, consentite, protette, alimentate perché funzionali all’obiettivo strategico, rappresentano il tessuto connettivo dei terrorismi di vario colore che sono stati attivi per decenni.
A suo giudizio si può parlare di servizi deviati, o anche di magistratura deviata, o in realtà ha ragione chi sostiene che di deviato ci sia stato poco o nulla, perchè gli ordini di depistaggio o di attuare la strategia della tensione sarebbero venuti dai piani più alti dello Stato stesso?
Ho cercato di chiarire perché non è corretto parlare di stragi di Stato o di “strategia dello Stato”. Se una malattia è diffusa e dura a lungo c’è la tentazione di non vedere più ciò che è sano. Si tratta di un errore, di una semplificazione. Lo Stato ha reagito, compresa una parte della politica anche della maggioranza del tempo che non si identificava affatto con i terrorismi o l’eversione. Occorre mantenere le distinzioni per non cadere nel gioco di chi sfrutta la confusione. Deviazioni ci sono state. Dentro lo Stato, e non solo nel Servizio segreto dell’epoca, vi era chi conosceva il piano strategico e lo sosteneva. Ma è più corretto parlare di doppio Stato, di doppia lealtà o di deep State. Questa è una dimensione sulla quale riflettere ancora perché sfuggente. Compaiono in questa dimensione, che può essere descritta come “zona grigia”, Alliata e altri personaggi a lui legati che stavano al vertice di organismi massonici attivi già prima di Gelli e della P2. Rispetto a personaggi come questi non si può parlare di “Stato”, ma di “anti-Stato”, pur se hanno ottenuto (e temo che non si possa parlare soltanto al passato) di penetrare in ruoli pubblici fino a livelli molto alti, magistratura compresa. Per fare un nome, pensiamo a Carmelo Spagnolo, che stava nelle liste della P2 e fu procuratore generale a Roma.
Perché tutto parte, spiegando poi l’ultradecennale seguito di attentati e morti eccellenti, dalla strage di Portella della Ginestra nel 1947? La paura del comunismo e delle riforme sociali può spiegare tutto?
La paura del comunismo non spiega tutto, ma spiega un punto fondamentale: lo spazio e il sostegno concessi a chi non credeva né nella democrazia né nella Costituzione ed anzi voleva abbattere l’una e l’altra. Questo spazio è stato usato dai militanti talora andando oltre gli stessi obiettivi dei mandanti e protettori. Questo è fondamentale per comprendere le vicende eversive italiane. Proviamo a invertire la sua domanda chiedendoci come altrimenti si possa spiegare una storia sanguinosissima durata decenni. Che cosa rispondere? Un’ostilità segreta rispetto al Lussemburgo o alla Svezia?
Per gli anni di piombo si parla di un Ufficio guerra psicologica della Nato a Verona. Che ruolo hanno avuto la Nato e gli Stati Uniti nelle vicende che ricostruisce nel libro?
Quelle che chiamiamo organizzazioni eversive (Ordine nuovo, Rosa dei Venti eccetera, ma, ripeto, il discorso vale anche per l’altro versante, quello rosso) rispondevano in varia misura ai Servizi e fornivano un braccio esecutivo per le operazioni coperte. Il legame con ambienti militari è dimostrato da vari processi. Tali ambienti partecipavano alla pianificazione politico-militare della Nato. Qui stava chi, in linea di fatto (e in qualche misura in linea di diritto, stanti gli accordi sottoscritti dal nostro Paese dopo la guerra) formulava la strategia lasciando ai Servizi locali di provvedere alle modalità operative: sicché, come riconobbe il generale Gian Adelio Maletti numero due del Sid negli anni ’70, obiettivo primario del Servizio non era la difesa della Costituzione, ma la realizzazione della strategia dettata dal livello superiore.
La magistratura italiana è nell’occhio del ciclone da anni: gli scandali legati alle correnti interne con la radiazione dell'ex presidente dell'Anm Luca Palamara, le critiche diventate abituali dall'affievolirsi dell'appoggio popolare a Mani Pulite in poi, la recente riforma Cartabia contestata dai giudici, i referendum sulla giustizia. Secondo lei è all'opera una delegittimazione, e se sì, da parte di chi? Con quali responsabilità da parte dei magistrati, in questa crisi di credibilità?
Alla fine degli anni ’80 fui tra i fondatori di un Movimento finalizzato a combattere il correntismo e i fenomeni clientelari che ne sono conseguenza e alimento. Tra i magistrati che aderirono fin da subito ci fu Giovanni Falcone. Faccio il suo nome perché l’adesione sua e di molti colleghi al pari di lui sta a significare che l’obiettivo era considerato di vitale importanza. L’identificazione di uno dei mali della magistratura fu dunque fatta già quarant’anni fa,in termini duri e precisi. Da un certo momento si è però esaurita la spinta a lottare contro le prassi deteriori. Le conseguenze le vediamo. Non pochi magistrati sognano un Csm scelto per sorteggio anziché eletto da loro stessi. Un sogno auto-castrante che sta però a indicare la disperazione di chi non riesce a vedere rimedi. Perciò non sottovaluto le responsabilità della magistratura ed è ovvio che altri poteri, che non sono tanto la politica, quanto i poteri criminali e quelli del deep State di cui abbiamo parlato, approfittino di una condizione di debolezza che è frutto, come sempre accade, di una caduta sul piano etico. Lo spazio per un recupero esiste. È sufficiente che la magistratura ponga al primo posto la deontologia. Occorre capire che tutto il resto viene dopo.
Secondo lei dovrebbe essere prevista una forma di responsabilità civile dei magistrati, esclusa dalla Cassazione per i quesiti referendari del prossimo 12 giugno?
La Corte costituzionale ha spiegato perché una regolamentazione che esponga alla reazione della parte che ha avuto torto (e ce n’è sempre almeno una) renderebbe il giudice né sereno né imparziale. Sono favorevole alla responsabilizzazione, ma, come per altre professioni, occorre evitare che regole di responsabilità indiscriminate risultino disfunzionali rispetto all’obiettivo di un buon servizio. Pensiamo non solo alla giurisdizione, ma anche alla medicina, alla scuola, alla attività amministrativa.
All’ultimo concorso per entrare in magistratura è stato giudicato decente solo il 5,7% degli elaborati, rivelando una quasi totale ignoranza del più elementare italiano scritto. Al di là delle evidenti colpe del sistema scolastico e universitario, dal punto di vista della preparazione tecnica e del rigore professionale, dal suo punto di vista come ha visto cambiare la categoria a cui appartiene?
I magistrati sono reclutati tra i laureati italiani. I cambiamenti della società si riflettono presto o tardi sulla composizione della magistratura. Sotto molti profili – arti, cultura, economia, sistema scolastico, magistratura – l’Italia è stata uno dei primi Paesi del mondo almeno fino agli anni ’70. Oggi non è più così. Esistono molte e straordinarie eccellenze in numero probabilmente superiore al passato, ma – a parte la perdita di una parte di esse attratte da altri Paesi – il problema è quello della media, decisamente scesa. Il caso del concorso di questi giorni è solo una conferma.