Viva l’8 marzo! Festa della Donna, delle Donne. Occasione ormai economica per un femminismo interclassista, perfino “alla buona”, come direbbero le cugine, le dirimpettaie. Mimose e “margherita” o piuttosto “quattro formaggi”, no, non “calzone”… Ben venga allora la possibilità che, almeno una volta all’anno, ragazze e signore, talvolta condannate all’insostenibile avvilente quotidiano familiare, sempre lì a preparare, come coscritte poco felici e mai rassegnate, pranzo e cena a mariti e figli, e figlie non meno egoiste, possano, nel giorno di festa “civile” politica e “rosa” comandata, trovarsi tra loro, amiche, forse anche già compagne di scuola o di muretto, per una “pizzata”, approfittando così dell’occasione ludica e liberatoria infine “fucsia”, star fra loro, e all’occorrenza, perché no, approfittando di una piccola fuga, meritato risarcimento annuale, andare a “scopare” con altri o altre. L’8 marzo come ora d’aria, Carnevale carnale nel quale la morsa del controllo domestico dia sensazione di non esserci. Lontano magari perfino dalla retorica qualunquista che al momento si affida al mantra, al rosario social dell’“abbiamo finalmente una donna presidente del Consiglio!” Senza fare caso alle parole, ai comandamenti, agli imperativi, ai cilici non meno social da raduno sanfedista di Giorgia Meloni che, mesi addietro, accolta in Spagna da una moltitudine di nostalgici di Francisco Franco, il Caudillo clerico-fascista, che nel tempo del suo governo impose i pantaloni perfino ai crocifissi per “decoro e buon costume”, pronunciamenti, quelli della Meloni, che sembravano proprio crocifiggere il ruolo della donna a “madre, italiana, cristiana”; e ancora lo stigma allarmato per la cosiddetta “lobby LGBT”.
Parole insomma che sembravano escludere ogni possibile fuga da ciò che un’altra donna, politica della circoscrizione di Roma, con pertinenza dionisiaca ha definito “che vita di merda”. Al massimo, una “pizzata” sobria, e nessuna deroga agli istinti desideranti, nessuna effrazione ai doveri coniugali. D’altronde, la subcultura politica del Ventennio littorio da cui “Giorgia” giunge aveva cura di prevedere per le ragazze, ben segnato sulle pagelle, i “lavori donneschi” (sic), taglio, cucito, tombolo… Al tempo dell’acme della rivolta femminista, metà anni ‘70, lo scrittore Alberto Arbasino, maschio di mondo, omosessuale, interpellato sulla ribellione in atto da parte de “l’altra metà del cielo”, dette una risposta esemplare rispetto a una possibile adesione del sesso ritenuto dominante a quel movimento, disse Arbasino, testualmente: “Per essere femministi occorre avere la fica”. Affermazione che sottoscriviamo, tuttavia, anche in assenza di attributi femminili, dialettica e filosofia concede che si possa comunque operare una riflessione sul femminile tutto.
Facendo invece caso all’emisfero antagonistico rispetto alle destre, Elly Schlein viene da molti adesso indicata come punto luce femminile per una possibile nuova e principale forza di opposizione, proprio lei uscita vincitrice dei gazebi delle primarie del Partito democratico con uno slogan tratto da un videogioco anni ‘90, “Vinceremo con un pollo di gomma con carrucola”. Il candore eterno del popolo di sinistra, dopo “girotondi” e “sardine”, l’ha prevedibilmente subito eletta come nuova, propria, ragazza del destino. Restando nei capisaldi del pensiero femminista, chissà se Elly, oltre “Lady Oscar”, ha contezza del pamphlet di Carla Lonzi, “Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale”, o magari del manifesto altrettanto femminista dell’americana Valerie Solanas, lei che sparò al “maschio” dominante Andy Warhol, “Scum”, nel senso di feccia, dove si legge: “Il conflitto non è tra femmine e maschi, ma tra SCUM – le femmine dominatrici, determinate, sicure di sé, cattive, violente, egoiste, indipendenti, orgogliose, avventurose, sciolte, insolenti, che si considerano adatte a governare l’universo, che hanno scorrazzato a ruota libera ai margini di questa società e che sono pronte a procedere speditamente oltre a ciò che essa ha da offrire – e le garbate Figlie di Papà, passive, accomodanti, ‘colte’, gentili, dignitose, sottomesse, dipendenti, timorose, mentecatte, insicure, avide di approvazione, incapaci di sporgersi verso l’ignoto, contente di sguazzare nelle fogne, desiderose di rimanere allo stadio scimmiesco; quelle che si sentono sicure solo con il Grande Papà accanto”. Ma queste appaiono minuzie se la complessità diventa un ingombro, e si preferiscono le emoticon. Di qua intatti i trogloditi di destra che definiscono “nasona” la Schlein nei loro tweet, di là invece chi, nell’insopprimibile candore “di sinistra”, pone ora sul trono africano di vimini chi giunge dalla meglio gioventù dei ceti medi riflessivi. Sullo sfondo, non sembri un riferimento improprio, a dare misura del solido arcaico pensiero maschile, di più, maschilista, l’audio nel quale Matteo Messina Denaro, riferendosi a una figlia poco aderente all’amor di Mafia e Famiglia e Autorità Paterna, di lei dice: “Capisce solo il cazzo” (sic).
Nell’impianto edificante del Club Schlein (così sembra imporsi la nuova denominazione implicita del Pd) tra le principali interpreti dell’amichettismo dem la scrittrice Chiara Valerio evoca la filosofa Simone Weil trasfigurandola a sua volta negli occhi di gatto di un pensiero tardo-adolescenziale, eterno liceo o Scuola Holden, dimenticando che Simone Weil nel 1936 andò semmai a combattere in Spagna con gli anarchici. Scorrendo il sito del Partito democratico nel giorno dedicato alle donne, appare il link del tesseramento e, poco sotto, una foto quasi politicamente postuma di Debora Serracchiani, il suo caschetto. Sempre per amore di dialettica sarà opportuno riportare le parole pronunciate, sempre in casa Pd, da Monica Nardi, già portavoce di Enrico Letta, maschio, sconfitto: “A me pare che il conflitto, motore di ogni conquista femminista, in questi anni sia stato riservato solo alla rincorsa di un posto al sole. Le 'donne di sotto', le donne che vivono e spesso non ce la fanno più, sono rimaste molto, troppo, sullo sfondo. E lo abbiamo pagato nel rapporto col Paese. Il femminismo senza un ritorno anche faticoso nei luoghi del conflitto e del disagio non può trasformarsi solo in un X Factor per un posto in Parlamento". Nell’ideale “pizzata” del nuovo corso dem che si prepara per questa sera probabilmente non mancherà la giornalista Concita De Gregorio, che su “Repubblica” ha appena intonato il suo canto libero nel bosco di giovani braccia tese ornate dal braccialetto giallo “per Giulio Regeni”, a sostegno di “Elly”. Così come, pochi istanti dopo, ha chiesto di aggiungere un coperto per sé anche l’ideatore della “vocazione maggioritaria” e del “ma anche”, con un entusiasmo che sembra decisamente smentire il dubbio espresso un tempo da Alberto Arbasino. Si sappia dunque che, da oggi, 8 marzo 2023, pure Veltroni “ha la fica”.