Bel favore, secondo Maurizio Belpietro, quello di Carlos Tavares agli italiani, che prima in audizione al Parlamento chiede incentivi (cioè soldi) per tenere in piedi la baracca e poi, con l’altra mano, spergiura sulle garanzie. Sì, perché se da un lato racconta una storia fantastica, quella di Stellantis in perfetta salute, dall’altra pare che non possa (o non sappia) garantire gli attuali livelli occupazionali. In altre parole Stellantis se la passerebbe così bene, nota Belpietro, che potrebbe dover licenziare se i finanziamenti statali tarderanno ad arrivare. Su La Verità il direttore attacca duramente l’ad portoghese che “non scarta” l’ipotesi licenziamenti. Il calcolo che fa Tavares è questo: “Se i cinesi prendono il 10% del mercato Ue, questo significa sette fabbriche che i costruttori europei devono chiudere o dare al Dragone”. E visto che, come insegna il caso Volkswagen (di cui ha parlato Jeremy Clarkson), fare guerra alla Cina rischia di essere più controproduttivo di quanto si aspettino sovranità e non, ciò che resta da fare, seguendo la logica di Tavares, è chiudere queste fabbriche. “Come detto,” precisa Belpietro, “una presa per i fondelli, poco rispettosa perfino dell’istituzione in cui si è tenuto l’indegno teatrino. Infatti, non solo è chiaro a chiunque che i soldi, se messi a disposizione dei consumatori, finirebbero nelle tasche degli industriali del settore e dunque semmai sarebbero di aiuto alla famiglia Agnelli e agli altri azionisti. Ma la domanda di incentivi è accompagnata da un Rtl: senza incentivi non si escludono licenziamento”. Dunque, peggio, quello che viene definito un “ricatto”. Concentrandosi sul primo aspetto, inoltre, Belpietro nota che “i principali azionisti [di Stellantis, ndr], ovvero gli Agnelli, sono indagati con l’accusa di aver evaso le tasse […] Come è noto, la Procura di Torino oltre a inviare l’avviso di garanzia ai tre fratelli Elkann ha disposto un sequestro di 75 milioni di euro, accusando gli eredi della famiglia di Torino di aver aggirato le leggi sulla successione, finendo che la nonna risiedesse in Svizzera invece che in Italia”.
C’entra qualcosa? In parte, poiché, “certo, Tavares deve far quadrare i conti del gruppo. Ma il governo ha il compito di far tornare quelli dell’Italia e non può permettersi di aumentare le tasse o ritardare l’uscita della pensione per continuare a pagare il conto di una famiglia che per anni ha scambiato l’interesse del Paese con il proprio”. Inoltre l’azienda, “che un tempo ha rappresentato il maggior gruppo industriale privato del Paese” dovrebbe realmente preoccuparci. “Perché se la strategia di Stellantis è condizionata dal contributo dello Stato, non c’è motivo di sperare in rosee previsioni. Un po’ perché le regole di bilancio imposte dall’Europa, con forti limiti che impediscono gli aiuti pubblici alle imprese, non lasciano intravedere grande spazio per sostenere le vendite di auto. Ma anche senza gli ostacoli di Bruxelles, soldi da spendere per favorire il ricambio del parco auto degli italiano sarebbero visti come un lusso che un Paese con un debito fra i più alti del mondo non può permettersi”. Infine un po’ di storia: “Fiat - e dunque anche il gruppo di cui è entrata a far parte - viene da una lunga tradizione di incentivi a carico dei contribuenti. Per anni gli investimenti sono stati cofinanziati dallo Stato italiano, mentre gli utili non sono stati elargiti tenendo conto del sostegno ricevuto”. Insomma, una fregatura, comunque la si guardi. Almeno per Belpietro.