Come ha detto Carlo Calenda durante l’audizione in Parlamento, attendiamo con ansia anche John Elkann, che invece è più imperscrutabile di Dio (o dei due liocorni). Almeno il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, si è presentato di fronte alle commissioni Attività Produttive della camera e Industria del Senato, prima di un q&a con i deputati “teso” (si dice così, no?). Il tema è la crisi nel settore automotiva, che segna un - 44% in borsa, una riduzione dei posti di lavoro (12 mila in meno in tre anni) e un crollo della produzione di auto, elettriche o a diesel poco importa, soprattutto in Italia, dove alcuni dei più importanti stabilimenti hanno più che dimezzato i volumi di veicoli fabbricati (con dei picchi tragici a Torino e a Melfi, rispettivamente - 68,4% e - 61,9% in confronto al 2023). Ma per scacciare via i brutti pensieri ne servono sempre di belli e nuovi, come quello della nuova Fiat 500 ibrida, direttamente da Mirafiori. Questo, però, non basta a distogliere l’attenzione da Tavares, che senza neanche girarci troppo intorno accusa l’Italia di avere un costo dell’energia spropositato: “In Italia il costo dell’energia è molto elevato, per esempio è doppio rispetto a quello della Spagna, e questo è uno svantaggio notevole. Non so perché succeda, ma è un fattore che dobbiamo considerare”.
È un problema grosso, pare, ed è per questo che Stellantis non riesce, nonostante il genio di un amministratore delegato da 36 milioni di euro all’anno, a far partire come si deve in Italia la transizione verso l’elettrico: “Io devo poter vendere i veicoli elettrici allo stesso prezzo dei veicoli a combustione interna. Quindi, nel contesto attuale, devo per forza considerare un 40% di aumento dei costi, ovvero quello della tecnologia elettrica con questo 40% di aumento dei costi creo, all'interno della filiera, una tensione insopportabile”. Peggio, non solo non sa proporre la soluzione, ma la chiede ai politici, esperti per non azzeccarne una in economia: “Voi leader politici dovete dirmi come devo fare per gestire questo aumento dei costi. “Per attenerci alle regolamentazioni, dobbiamo aggiornare e cambiare le tecnologie. Questo può generare ansia, il cambiamento, soprattutto se veloce e profondo, può generare ansia. Ma noi in Stellantis abbiamo molto chiara la roadmap per portare avanti questo cambiamento,” continua, “Il settore è sotto tensione, ci sono attriti e difficoltà, ma noi siamo sereni. Anziché litigare sulle regolamentazioni, dobbiamo fare in modo di lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti nel modo migliore”. E arriva la fatidica richiesta, lo standard jazz dell’impresa italiana in caduta libera: “Non chiediamo soldi per noi, ma chiediamo a voi di darci aiuto per i vostri cittadini che così possono acquistare dei veicoli che si possono permettere. Non sono soldi che vanno a Stellantis ma sono soldi che vanno a ridurre i costi”. Cioè chiedono soldi per loro. Per fortuna stavolta i politici sono poco convinti, da Conte a Schlein, passando per Calenda (il più tecnico, il più preciso), che ribadisce: “Le parole dicono una cosa e i fatti ne dicono un’altra”. E quel che si configura è il prototipo di una relazione tossica, dove l’Italia, dopo essersi la colpa, dovrebbe pure pagare, facendo credere – il gioco delle tre carte – per altro che questo alleggerirà i costi dei cittadini. Ma i soldi dello Stato sono pur sempre i nostri.