C’è chi nasconde sotto il tappeto lo sporco e chi i prezzi dei carburanti. È l’accusa emersa dalle operazioni del nucleo speciale antitrust che da gennaio a luglio ha controllato 7.528 stazioni di rifornimento, registrando 2.357 violazioni, di cui 746 per l’assenza dei cartelli dei prezzi del carburante o per un’incongruenza tra prezzi indicati e prezzi praticati. Il resto, invece, per non aver comunicato i prezzi al Ministero. Insomma, uno benzinaio su tre viola la legge sulla trasparenza dei prezzi. I numeri sono leggermente inferiori a quelli del 2022 e molti sono recidivi dagli anni passati. “Pesci piccoli”, vengono definiti, “nel gran giro delle truffe”. Obbligo o meno di esposizione del prezzo medio regionale e nazionale, c’è chi ancora fa di testa sua.
Sono modi di eludere gli ostacoli e guadagnare di più? Un modo di truffare i clienti? Insieme alle polemiche per il decreto legge del 14 gennaio 2023 da parte degli esercenti, arrivano anche le polemiche di chi non comprendono cosa non vada nella richiesta di maggior trasparenza. E subito dopo un secondo interrogativo: ma quanto guadagnano i benzinai? I benzinai dipendenti chiaramente percepiranno solo uno stipendio, che va da 870 euro al mese a 1.570 euro per i lavoratori con un’esperienza di oltre vent’anni. I proprietari invece, guadagnano circa il 10% del prezzo della benzina al litro, al netto delle tasse (che gravano per il 59%). C’è dunque motivo di “raschiare” il più possibile tra prezzi non troppo trasparenti o, come spesso accade, intervendo sui costi preferendo carburanti contraffatti?