È morta Virginia Von Fürstenberg, stilista, artista e nipote di Gianni Agnelli dell’Hotel Palace di Merano. Una vita piena di colore, di domande, di fame per la vita. Diretta discendente del casato nobiliare tedesco dei Von Fürstenberg, lascia cinque figli dopo il silenzio di questi ultimi mesi. Pubblichiamo il ricordo del critico letterario Gian Paolo Serino che oltre a essere suo amico ci regala un ritratto dell’artista al di là dei “cognomi, delle parentele, degli inchini”, restituendo a Virginia Von Fürstenberg tutta la sua umanità.
Virginia era troppo. Troppo per ognuno di noi. Troppo anche per noi pseudo artisti pseudo intellettuali pseudo pseudo. Virginia non era pseudo-Virginia era oltre di noi. Era un’artista vera, un’artista che era schiacciata da un cognome, troppi media hanno sottolineato che era nipote di Clara Agnelli, nipote di Gianni Agnelli, come se fosse un’onda di comodità: Virginia amava sino all’infinito la nonna Clara, il papà Sebastiano -indicato dai giornali come fondatore della Banca Ifis e non un genio dell’economia e un artista della vita. Virginia non era solo questo: Virginia è stata ed è una Principessa, non solo per casato, della sensibilità, della generosità, della poesia. Aveva 48 anni Virginia, che era mia sorella di inchiostro e poesia, di giorni e nottate, di parole e di progetti. Ho scolpito dentro di me le poesie che mi mandava, che mi scriveva di fronte a me: non era fragile Virginia: era fragilmente infrangibile. Oggi sono invaso ovunque da mail e messaggi: come è morta Virginia? Questo spiega la distanza tra lei, noi, e il mondo: Virginia anche adesso che non c’è più lascia poesie, lascia amore quell’amore che per lei ogni volta era per sempre. In questo eravamo simili, uguali: avevamo creato insieme installazioni come “Una casa tanto carina” proposta al Fuori Salone del Mobile e poi alla Biennale di Venezia.
Virginia era una artista soprattutto del vivere: poteva comprare tutti e invece sì faceva comprare, come una artista naïf, come l’ultima vera artista di questi tempi. Era integerrima quando davanti a me scriveva poesie su fogli. La invitavo a ribatterli e mandarmeli per mail ma lei credeva fermamente che la poesia fosse istantanea. Eravamo troppo per Virginia. La ricordo quando sorridevamo di quell’amarezza di chi capisce che gli altri si fermano ad un cognome. Io la volevo convincere a scrivere una silloge di poesie ma lei ogni volta mi dava fogli sparsi e arsi di una poesia che non ho mai più trovato in altri. Le liriche dedicate alla nonna Clara, l’infanzia tra Genova e Forte dei Marmi, l’amore infinito sconfinato immenso per il padre Sebastiano che trasformava in poesia. Li ho quei fogli ma come voleva lei sono sparsi tra i miei cassetti. Oggi un vero artista è lasciato solo soprattutto se ha un cognome importante ma Virginia voleva essere con le sue opere madre di tutti noi. Ed è questo che rimarrà sempre, quello che fanno in pochi. Virginia aveva 48 anni ma sono sono certo sicuro che era una stella talmente piena d’amore che non ci lascerà soli. Le sue poesie parlano per lei. Le potete trovare anche sui social, rileggere quei versi dove rispondevate ciao come stai. Rileggete e troverete Virginia. Per gli altri rimangano i cognomi, le parentele, gli inchini. Virginia vi capiva e una volta mi disse: “Vedi Gian Paolo, sopravvivono perché fanno finta”. E sorridevamo insieme.