Il giornalista Gabriele Nunziati ha chiesto alla Commissione Europea se, così come previsto per la Russia di Putin in Ucraina, anche Israele dovesse pagare per la ricostruzione a Gaza. La domanda, considerata “interessante”, è stata comunque elusa. Pochi giorni dopo, l’Agenzia Nova, per cui Nunziati era alla conferenza, ha scelto di interrompere la collaborazione con il giornalista, innescando una polemica che sta andando avanti da una settimana. I giornalisti di Agenzia Nova dicono di aver ricevuto minacce, anche di morte, dopo che la loro azienda ha deciso di mandare via Nunziati. Il Movimento 5 Stelle, che non gode di una storia in difesa della libertà di stampa, si è schierata con Nunziati, così come Sigfrido Ranucci, che gli ha proposto di entrare, qualora ci fosse la possibilità, nella redazione di Report. Praticamente chiunque ha preso le difese di Nunziati, “punito” da Agenzia Nova per aver posto una domanda scomoda. Un attacco alla libertà di informazione e di fare i giornalisti. Anche l’Ordine interviene: “Non si può essere di fatto licenziati per aver posto una domanda” e chiede il reintegro del collaboratore.
Agenzia Nova ha pubblicato un comunicato in cui spiega i motivi della fine del rapporto di lavoro: “La differenza tra le posizioni di Russia ed Israele è stata più volte rappresentata al collaboratore il quale, tuttavia, non ha affatto compreso la sostanziale e formale differenza di situazioni, ed ha anzi insistito nel ritenere corretta la domanda posta, mostrandosi così ignaro dei principi fondamentali del diritto internazionale. […] Quel che è peggio, il video relativo alla sua domanda è stato ripreso e rilanciato da canali Telegram nazionalisti russi e dai media legati all’Islam politico in funzione anti-europea, creando imbarazzo all’agenzia, in quanto fonte primaria attentissima alla propria indipendenza e all’oggettività delle informazioni trasmesse. È evidente che il rapporto di fiducia con il collaboratore, in questo contesto, sia venuto a cessare”. Ora, chi quando parla di “libertà di informazione” si concentra sul termine “informazione” e non sul primo, “libertà”, entrerà nel merito della questione se Israele sia o meno accostabile alla Russia. È quello che hanno fatto più o meno molti leader, giornalisti e l’Ordine, cioè tutti quelli che hanno sostenuto Nunziati in queste ore. In realtà è molto difficile credere che quanto accaduto sia un attacco diretto all’informazione. O, quantomeno, un attacco efficace. L’informazione, infatti, non ha subito perdite. Molto probabilmente, come dimostra l’invito di Ranucci, Nunziati continuerà a fare il giornalista, anzi potrebbe passare da una situazione precaria a una più stabile e persino migliore. Il video non è stato censurato, anzi è diventato virale, e un altro giornalista, Vincenzo Genovese di Euronews, ha posto, come manifestazione di solidarietà con Nunziati, la stessa domanda alla Commissione Europea (e probabilmente, vista anche la reazione al caso di Nunziati, non verrà licenziato).
Chi invece si concentra sul termine “libertà” deve ammettere almeno questo: che la libertà di stampa è solo una tra le tante libertà che andrebbero difese. La libertà di stampa è un particolare tipo di libertà di espressione che permette a chi la esercita di informare gli altri. Non esiste, in senso stretto, un diritto a essere informati. Il diritto a essere informati è in realtà una conseguenza storica dell’esistenza dei governi che spendono i nostri soldi, non sempre in modo molto trasparente, e fanno uso delle nostre vite in modo non sempre pulito. Quindi è perfettamente legittimo che uno voglia essere informato su questioni del genere. Tuttavia, nessun individuo è tenuto a dire la verità e se non fosse per le regole imposte dagli ordini, neanche un giornalista. Non esiste infatti nessun dovere di informare e dire il vero quando si parla. Sarebbe bello, sarebbe perfino ideale, ma non è obbligatorio. Detto altrimenti, il giornalista che decide di dire la verità sceglie di usare la propria libertà di espressione per informare correttamente gli individui, ma non essendoci nessun diritto intrinseco del giornalista, come di qualsiasi altro individuo, a raccontare la verità (o a fare domande scomode), nessuna azienda ha l’obbligo di pagare un bravo giornalista. Volendo, un’azienda potrebbe pagare solo cattivi giornalisti che dicono bugie. In sintesi: esiste la libertà del giornalista di fare domande, ma esiste anche la libertà dell’azienda di smettere di pagare il giornalista che fa domande che non vengono apprezzate.
Difendere la libertà di stampa (cioè la libertà di parola) ha senso solo se di difendono anche tutte le altre libertà, tra cui la libertà di un’azienda di licenziare i suoi giornalisti, anche quelli che noi consideriamo bravi o coraggiosi. La libertà del giornalista di fare le domande che ritiene opportune non è più importante della libertà di chi paga di scegliere chi pagare. Non esiste nessun motivo per cui un’azienda dovrebbe essere obbligata a mantenere una collaborazione con un giornalista che non va d’accordo con la direzione. Il rapporto di lavoro è una relazione volontaria in cui entrambe le parti hanno diritto di recedere dal contratto. Se il giornalista si trovasse a non condividere più la linea editoriale dell’azienda, dovrebbe avere il diritto - e in effetti lo ha - di andarsene. Ma anche l’azienda dovrebbe avere lo stesso diritto. Una relazione su base volontaria, cioè libera, non dovrebbe obbligare nessuno a impegnarsi in obblighi, anche morali, esterni al contratto firmato dalle parti. Nunziati non lavora più per un’azienda che non lo vuole e ha il diritto di non volerlo. Che l’azienda debba essere obbligata dall’Ordine a ristabilire una collaborazione non dovuta è un’intromissione nella libertà dell’azienda di usare i soldi per altri giornalisti o per nessuno.