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Senzatetto e influencer? Stefano (diogenecanino) e la vita di strada (e nel bosco) descritta sui social. E critica la politica e il capitalismo: “Andate tutti affancu*o!

  • di Angela Russo Angela Russo

6 settembre 2025

Senzatetto e influencer? Stefano (diogenecanino) e la vita di strada (e nel bosco) descritta sui social. E critica la politica e il capitalismo: “Andate tutti affancu*o!
Stefano, detto Stibbi, è laureato in economia, vive in tenda nel bosco e racconta la sua vita da nullatenente sui social: critica il capitalismo, denuncia la politica corrotta, parla di filosofia, sostenibilità, arte e libertà radicale su Youtube e Instagram

di Angela Russo Angela Russo

Si chiama Stefano Gobbo, si fa chiamare Stibbi, online lo trovate come diogenecanino. Vive in una tenda nel bosco in Trentino, si lava e fa i bisogni nei luoghi pubblici, e racconta tutto su Instagram e YouTube. Ha poco più di trent’anni, una laurea a Bolzano in Filosofia, Economia e Scienze Politiche, dipinge, legge, scrive, e nel frattempo si definisce “nulla tenente”. Per alcuni è un pazzo totale, per altri un visionario che ha avuto il coraggio di fare quello che tanti sognano e nessuno osa: mollare il lavoro, l’affitto, la famiglia, e vivere fuori dal sistema. Ha scelto di vivere senza tetto perché "non volevo più lavorare in queste condizioni, in questo mondo così spietato, con persone che continuano a sminuirmi, nonostante io condivida con amore le mie passioni, non ci voglio stare". Vive circondato dalla natura, ma non nasconde la sua critica alla società: "Preferisco che la gente senta la mia voce, rispetto a gente che fa contenuti trash".Stibbi parla di filosofia e di sostenibilità, di anti-capitalismo e dignità, mentre si accampa tra gli alberi e accende il telefono per raccontare la sua quotidianità. Non si vergogna di niente: documenta anche i momenti più intimi, convinto che la radicalità dell’autenticità sia l’unico antidoto a una società di plastica. Lo abbiamo intervistato per capire la sua storia fino in fondo e se dietro quella tenda nel bosco si nasconde una forma di libertà che il resto di noi non ha mai avuto il coraggio di prendersi. 

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In uno dei tuoi video hai detto che la tua condizione di senza tetto inizialmente non è stata una scelta, mentre ora la vivi come una scelta filosofica. Cosa è cambiato dentro di te?

Da una parte c’era comunque il fatto che non volevo lavorare, cioè non volevo trovarmi in certe situazioni, siccome ho avuto delle esperienze lavorative quasi sempre molto negative. Sono arrivato a un punto di esaurimento, di frustrazione così grande, che mi ha fatto dire: io non voglio più lavorare in queste condizioni, in questo mondo così spietato. Poi c’era il fatto di non riuscire. Ci ho provato anche a cercare una casa, ma vedendo che i sacrifici da fare sono troppi rispetto a quelli che io sono disposto a fare anche solo per trovare una piccola stanza o un lavoro che mi dia quello che mi serve per sopravvivere...a quel punto ho detto: ok, dato che sono 40 ore alla settimana - perché per vivere nella mia città devi lavorare 40 ore alla settimana se ti vuoi pagare un affitto - e quello che metti da parte è niente, io una vita così non la voglio fare. A questo punto prendo la palla al balzo del fatto che sono senza tetto, che mi ritrovo in questa situazione, e faccio una cosa che avrei sempre voluto fare: inizio a parlare di quello che voglio nei video, a documentare la mia vita. Sapevo che c’era un grande potenziale in questa cosa. Ho deciso questo anche quando ho visto che con la mia ex ragazza non andava più. Volevo andare a convivere con lei, però ci sono stati vari problemi che hanno impedito questa cosa. E da lì ho detto: vabbè, andatevene a fanculo tutti quanti. Faccio quello che ho sempre sentito come una chiamata. In realtà mi ero sempre un po’ limitato nel mio carattere, nel mio modo di mostrarmi al mondo: me ne stavo chiuso nella mia stanzetta, anche con la mia ragazza mi limitavo molto perché magari a lei davano fastidio certe battute, o se parlavo di filosofia non mi ascoltava, non gliene fregava niente. E io ho detto: ma io con una persona a cui non interessa niente di me non ci voglio stare. In realtà tutta la mia famiglia, a nessuno fregava nulla se parlavo di filosofia. Nessuno si metteva ad ascoltarmi, cercavano di ribattere contro qualsiasi pensiero filosofico o letterario che cercassi di condividere. Mi sminuivano, mi facevano sentire inferiore. E ho detto: ma io con della gente così, che continua a sminuirmi nonostante io condivida con amore le mie passioni, non ci voglio stare. Mi trattano come uno scemo, perché sono il figlio minore, e quindi nella mia famiglia, anche se ho quasi 32 anni, continuano a considerarmi il piccolino. Anche mio fratello si è sempre comportato con me come un padre. Ma non sei mio padre, sei mio fratello, non devi dirmi cosa devo fare o giudicare le mie scelte. Neanche mio padre, ora che sono adulto, ha diritto di farlo. Quindi, circondato da tutte queste situazioni profondamente pesanti, da persone che continuano a dirmi cosa devo fare, ho detto: sapete una cosa? Andatevene tutti a fanculo.

E invece il desiderio di condividere tutto sui social? Lo usi come compagnia, come diario, come richiesta d’aiuto? Come hai deciso di iniziare?

Io lo sapevo già da mesi, prima ancora di iniziare, che c’era molto potenziale. Lo vedevo come un piano B: se non avessi trovato una situazione adeguata a livello di prezzi o di lavoro, che mi permettesse di continuare a dipingere e a fare la vita che voglio senza troppi sacrifici, avrei fatto questa cosa. Sono un grande consumatore di content creator, soprattutto americani. È un mondo che conosco bene: ho fatto anche una tesi sui social media. Però non mi ero mai voluto esporre, perché trovavo pericoloso il modo in cui manipolano le persone. Mi sono sempre tenuto alla larga. A un certo punto, però, ho detto: ci sono persone assurde che fanno gli influencer, che parlano a migliaia di persone, gente veramente ignorante. Io non posso stare zitto con tutte queste cose da dire, con tutti questi ragionamenti. Preferisco che la gente senta la mia voce, piuttosto che quella di persone che non hanno neanche… non voglio fissarmi sui titoli di studio, ma che hanno una cultura violenta, superficiale. Come quella tizia di Napoli, Rita De Crescenzo...io mi chiedo come può una persona così ricevere tanto seguito, per me è una follia assurda, e quindi io voglio combattere questa cosa e dico no, preferisco che sia la mia cultura ad essere virale, rispetto a gente trash.

stibbi
Stibbi Ig diogenecanino

Io ho visto che hai pubblicato anche contenuti molto intimi, come il video in cui facevi i tuoi bisogni. Chi vive senza fissa dimora viene spesso considerato un emarginato. Questa tua scelta estrema di autenticità mi fa pensare che tu non abbia paura di essere giudicato, giusto?

Per niente, non me ne frega. Poi ho anche lavorato in psichiatria, quindi ho fatto un film sulla salute mentale e conosco molto bene il mondo dello stigma e dell’etichettamento. Per me è una grande gioia metterci la faccia e prendermi le critiche in nome dei più vulnerabili. Ho fatto tanto lavoro su me stesso per arrivare a fregarmene degli insulti, perché penso che sia davvero importante. Avendo lavorato con pazienti psichiatrici ho imparato a fare un lavoro di umiltà. Quando si comunica con loro, spesso si parte con un senso di superiorità. Ma i pazienti sono molto sensibili: percepiscono subito, anche a livello non verbale, se li stai giudicando o se ti senti superiore. È una grandissima palestra lavorare con pazienti psichiatrici, perché ti costringe a fare un lavoro su te stesso per comunicare in modo efficace. Ed è un lavoro di grande umiltà. Quindi, per me, avendo fatto questo percorso, non mi prendo troppo sul serio. Per questo sono un po’ un pagliaccio, e mi piace metterci la faccia.

Tu ami la filosofia e le arti. Non ti piacerebbe trasformare questa passione in un lavoro? Non riesci a trovare qualcosa che ti piaccia in questo ambito, oppure credi che perderebbe un po’ il suo senso?

Beh, io adesso vedo che sto iniziando a costruirmi un pubblico relativamente ampio. Spero che il mio canale possa crescere e che possa continuare a divulgare filosofia e contenuti artistici a un pubblico sempre più grande.

E senza un lavoro fisso come riesci a comprarti da mangiare?

Adesso io ho ancora un po’ di soldi messi da parte dal lavoro come docente. Sono molto parsimonioso, economizzo bene. Tra qualche giorno riceverò l’ultima quota della Naspi. Molte persone mi hanno offerto di mandarmi soldi, per ora ho sempre rifiutato. Però, se dovessi averne bisogno, penso che farei un GoFundMe. In questo momento, se solo ogni mio follower mi mandasse un euro, avrei quasi 15.000 euro. Mi hanno anche offerto 100 euro, ma li ho rifiutati.

Se dovessi diventare famoso grazie ai social pensi che la tua situazione cambierebbe?

Sicuramente. Io ho anche un libro già pronto per essere pubblicato: se riesco a farlo uscire, quella potrebbe diventare una fonte di guadagno. Ho anche un film, che al momento è sul mio canale YouTube: ci ho lavorato due anni e penso di meritare un riconoscimento economico. So che i social media permettono di monetizzare: se riesco a convertire e creare contenuti di valore, anche in formato documentario più lungo, posso attrarre qualche entrata. La monetizzazione su YouTube non è molto alta, ma se il contenuto è interessante si possono trovare altre fonti di reddito. Ovviamente non accetterei sponsorizzazioni da aziende che non condividono la mia visione del mondo, ma accetterei collaborazioni con realtà economiche coerenti con i miei valori.

stefano
Stibbi Ig diogenecanino

Invece il tuo lavoro come docente non ti gratificava?

Sì, mi gratificava molto il lavoro da docente. Però il problema è che ti devi scontrare con dei colleghi che hanno un modo di pensare rimasto all’età della pietra. Quando ci si ritrova nei collegi docenti per decidere come comportarsi in certe situazioni, purtroppo ci sono persone con una mentalità retrograda, incapaci di comprendere la complessità dei ragazzi di oggi. Ormai a molti studenti vengono fatte diagnosi di ogni tipo: 104, DSA, BES… c’è più diversità che normalità in classe. E molti hanno famiglie disagiate, situazioni difficili. Eppure i colleghi vogliono continuare a usare metodi educativi inefficaci. Quindi sì, il lavoro come docente mi piaceva e mi dava modo di gestirmi bene, ma quando mi ritrovavo nei collegi docenti non stavo bene nel lavoro di gruppo, soprattutto con insegnanti di vecchio stampo. E purtroppo ce ne sono tanti che dovrebbero andare in pensione, ma non lo fanno. In più, vedendoti giovane, non è che ti ascoltano. Non dicono: “Sei giovane, hai idee nuove, ti seguiamo”. Dicono: “Noi abbiamo esperienza, decidiamo noi”. C’è un po’ di nonnismo. Però con i ragazzi è stato diverso: in tutte le scuole dove sono stato, gli studenti mi vedevano come un punto di riferimento. Mi scrivono ancora, mi seguono su Instagram. Per loro sono stato una figura importante.

Questa è una grande soddisfazione, no?

Assolutamente. Il problema è che io ho solo la triennale: posso fare solo supplenze, quindi non posso iscrivermi in graduatoria ufficialmente. Questo complica molto le cose. Così ho deciso di puntare più in grande, cercando di raggiungere un pubblico ampio e magari educare in un altro modo.

Ti senti solo, o il contatto con la gente online e offline ti basta?

Io sono una persona molto contemplativa, molto spirituale, e per me non siamo mai davvero soli. Nel momento in cui raggiungiamo uno stato di pace mentale, ci connettiamo con tutto l’ambiente circostante: la natura, il cielo, le stelle, gli alberi, la terra. Io queste cose le sento in modo autentico. E non è solo il rapporto con la natura: sono un grande lettore, e leggere è come dialogare con un’altra persona. Poi faccio arte, dipingo molto, quindi davvero non la sento questa solitudine. E in più, avendo questa pagina, ricevo continuamente messaggi: quindi no, non mi sento solo.

I tuoi genitori e la tua famiglia sanno della tua vita attuale? Non ti hanno mai cercato?

Sanno della mia vita attuale. Mio padre, in particolare, ha provato in modo anche violento a convincermi a tornare indietro. Ha creato diversi account, perché io lo bloccavo: gli dicevo di rispettare i miei limiti, che non doveva venire a cercarmi. Se non rispetta il mio spazio vitale, rappresenta un pericolo per me, e allora sarei costretto a denunciarlo. Lui invece continuava a creare profili e a scrivermi ossessivamente “Cosa vuoi fare? Cosa vuoi fare?”. Pensa che io debba seguire la sua idea di lavoro, ma io non ne voglio sapere. Gli ho spiegato che se ho bisogno di aiuto lo chiedo io, ma non voglio fare un lavoro che non desidero.

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Un post condiviso da Stibbi (@diogenecanino)

Quindi senti che la tua scelta non è stata accettata e compresa dalla tua famiglia?

Per niente.

Se il governo italiano potesse fare una cosa per migliorare la vita dei senza tetto, secondo te cosa dovrebbe fare?

Questo è un discorso molto complesso, perché non è che ci sia una sola soluzione. Come spiego spesso, il fenomeno dei senza tetto è causato da mancanze politiche precedenti e da concessioni fatte ai privati. Hanno venduto il nostro territorio alle grandi potenze immobiliari, speculando con pratiche come la gentrificazione. È stata la politica italiana a permetterlo. Il danno andava prevenuto: i politici non dovevano farsi corrompere né accettare tangenti.
Nella mia città - e credo in tutta Italia - molte concessioni edilizie e costruzioni mostruose sono state fatte “aumm aumm”. Questo ha falsato il mercato e ha generato povertà, creando quindi il problema dei senza tetto. Si può dire tranquillamente che è stata la politica a generare questa ondata che diventerà sempre più grande. Questo è solo l’inizio: io mi definisco un “profeta dei senza tetto”, perché vedo chiaramente dove stiamo andando. Abbiamo bisogno di una politica incorruttibile, di politici trasparenti che lavorino davvero per i cittadini. Ma io ormai ho perso fiducia: la politica è diventata un mercato, non rappresenta i bisogni delle persone. Si fa solo propaganda, per fare presa su una classe di cittadini manipolabile, che non ha gli strumenti culturali per capire la complessità dei problemi economici. Per esempio, dicono: “Abbiamo creato occupazione”. Ma che tipo di occupazione? È un’occupazione che ci rende liberi, o è una schiavitù con contratti precari e sempre meno diritti? Il problema è la complessità. Come fai a spiegarla agli elettori di 60, 70, 80 anni, a mia zia che vota Meloni? Io ci ho provato, ma è impossibile. Per questo dico che il problema è anche della democrazia: tanti cittadini non capiscono i problemi. Io non sono molto democratico da questo punto di vista: penso che certe decisioni dovrebbero prenderle persone competenti. Ma servirebbero persone incorruttibili, e questo è molto difficile, perché ognuno tende a fare i propri interessi.

Però quando si ha una posizione di potere, essere incorruttibili è un po’ un’utopia...

È un’utopia, infatti. Ma è assurdo vivere in un mondo dove la trasparenza è un’utopia. Servirebbero meccanismi di controllo e sistemi open source, per mantenere il legame con gli elettori. Faccio un esempio: chi deve decidere sulla sanità? Un politico che non capisce nulla o un medico? Io penso che dovrebbero essere i medici, come categoria, ad avere anche un ruolo politico in certi ambiti. Lo stesso vale per gli insegnanti: sono loro che conoscono i problemi reali della scuola. Io, per esempio, qualche mese fa ho insegnato in carcere per un mese e mezzo. Lì ho visto situazioni allucinanti, contro i diritti umani, sia per i detenuti che per i lavoratori. Gli insegnanti che entravano con me vivevano condizioni disumane. Una collega alta un metro e sessanta riceveva commenti sessuali dai detenuti ed era lasciata sola in aula con serial killer, senza nessuna misura di sicurezza. Noi docenti abbiamo segnalato i problemi al direttore del carcere, mandato email per mesi, ma non abbiamo mai ricevuto risposte: la burocrazia è un muro. Capisci? È follia. Noi insegnanti sapevamo benissimo quali fossero i problemi e cosa servisse per migliorare la situazione, ma non è cambiato niente. La politica, impostata in questo modo, non riesce a fare nulla. Ogni cosa passa da mille vincoli burocratici, e alla fine nessuno fa niente. Questa è l’Italia.

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