Il governo Draghi ha deciso di revocare al gruppo abruzzese della Toto holding la concessione della Strada dei Parchi, ossia la gestione dell'autostrada A24-A25 tra Roma e Abruzzo. Lo Stato italiano si prepara, a conti fatti, a chiudere la partita, del valore di quasi dieci miliardi, anticipando la scadenza dell'accordo (con concessione vinta tramite gara, nel 2011), per favorire la rinazionalizzazione della rete autostradale. Ma per Palazzo Chigi le complicazioni non mancano, a partire dai soldi.
Da dieci anni governo e Toto - che spazia da edilizia e rinnovabili, con annessi aiuti provenienti dalle molteplici sponde politiche – battagliano sul nuovo piano economico per la messa in sicurezza della galleria e adeguamento anti sismico, un investimento da 6,5 miliardi di euro. Ma mentre si discute, Strada dei Parchi non paga più le rate del canone Adas, motivando la sospensione per terremoti e Covid. Intanto a fine 2020 il debito raggiunge i 700 milioni di euro, e mentre Anas è costretta a un accantonamento nel fondo svalutazione per la complicata situazione del credito, la Corte dei Conti segnala evidenti criticità. Nonostante ciò, i governi Gentiloni e Conte congelano il debito. Tutto cambia però con il crollo del Ponte Morandi (14 agosto 2018). Si muovono cinque Procure. La Procura dell'Aquila contesta attentato alla pubblica sicurezza, disastro colposo, frode in contatti pubblici. Sotto inchiesta finiscono manager e tecnici, incluso il patron Carlo Toto, inserito in tutte le scelte societarie e aziendali. Si scopre dunque che le indagini aziendali minimizzavano le reali condizioni di deterioramento, negando gli interventi di manutenzione necessari, mentre le manutenzioni ordinarie venivano messe in conto allo Stato e spacciate per interventi straordinari, con documenti falsi.
L'inchiesta dei carabinieri ricostruisce in breve il sistema Toto, che porta a un lungo duello con il governo, per chiudere definitivamente la questione. Ma Toto chiede 2,5 miliardi per uscirne, che si sommano ai 6,5 previsti per la messa in sicurezza, ossia il doppio di quanto previsto nei piano economico-finanziari, mai approvati negli anni. Per cui è altamente probabile, che proprio per questo motivo, nonostante siano passati già due mesi dalle prime negoziazioni, la trattativa non faccia grandi passi avanti.