La storia è una di quelle da film, troppo assurde per essere vere: quattro bambini rubano un'auto, vanno fuori strada, e investono una donna uccidendola, poi scappano spaventati. Una storiaccia, che però è reale: è successo nella periferia del Gratosoglio, alle porte di Milano. I bambini che diventano assassini, con sfondo di campo rom, infanzia avvezza ai furti, gli abitanti del quartiere che chiedono sicurezza e politici che si rimpallano colpe e responsabilità. Un caso con cui c'è da pasteggiare per giorni, in un agosto che, solitamente va così, scarseggia di notizie.
Con le elezioni in sei regioni italiane tra fine settembre e novembre poi, tutto diventa becchime per la propaganda politica, pazienza se invece la situazione richiede riflessioni serie e, non sia mai, risposte concrete.
Il via alle danze lo ha dato Matteo Salvini: che nel frattempo sarebbe diventato Ministro dei Trasporti, ma siccome si torna sempre dove si è stati bene, quando c'è da evocare una ruspa, lui non manca mai: “Campo ROM da sgomberare subito, e poi radere al suolo, dopo anni di furti e violenze, pseudo “genitori” da arrestare e patria potestà da annullare. Sindaco Sala e sinistre, ci siete??? . Adesso si va avanti a suon di dichiarazioni, puntando il dito sul sindaco di Milano che non ha sgomberato a sufficienza e sul lassismo della sinistra, che a sua volta risponde che è il Ministro degli Interni a doversene occupare.

Sul tavolo ci sono le solite questioni: i campi rom terra di nessuno, la microcriminalità sin da piccoli, la dispersione scolastica, certamente, ma anche un interrogativo: chi paga? I responsabili hanno tra gli 11 e i 13 anni, età in cui si presuppone che lo sviluppo fisico e psichico della persona non sia ancora compiuto. Ragione questa per cui, secondo l'articolo 97 del codice penale, i minori di 14 anni non sono imputabili. Solo che Cecilia De Astis, 71 anni, è morta davvero.
Dei bambini in grado di rubare un'auto e guidarla, sanno che stanno compiendo qualcosa di proibito; difficilmente però, possono immaginare le conseguenze. Che tutto finisca addirittura con la morte di una persona. È qui allora che parte un'ulteriore riflessione, questa svincolata dal singolo caso: in una società in cui gli adolescenti sono molto più precoci rispetto al passato, vale ancora il principio da cui parte l'articolo 97 del codice penale?

Lo spiega bene lo psichiatra Paolo Crepet a Libero: “I 16enni di oggi fanno quello che una volta si faceva a 23 anni” e prosegue: “Il risultato è che se entrassimo in un carcere minorile come il Beccaria di Milano, troveremmo gente che è molto più matura dell’età biologica che ha. La stragrande maggioranza è dentro per spaccio, tra l’altro. E che non lo sanno? Sono ragazzini, ma non sanno che spacciare sostanze illegali in piazza comporta un rischio? Che è un reato? Certo che ne sono consapevoli”. Naturalmente, precisa lo psichiatra, si tratta di una responsabilità collettiva, della società, se questi ragazzini si comportano come adulti. Ad ogni modo, secondo Crepet un primo passo potrebbe essere proprio responsabilizzarli: si potrebbe iniziare abbassando la maggiore di età di un paio di anni, con la conseguenza che si anticiperebbe di un biennio anche tutto il resto. Incluso il doversi presentare davanti a un giudice. “Magari senza eccedere sul fronte punitivo, però almeno discutiamone”, conclude Crepet.
Finora infatti, i minori di 14 anni sono sempre ritenuti incapaci di intendere e volere, mentre dai 14 ai 18 anni si valuta caso per caso e il giudice stabilisce la coscienza o meno dei fatti commessi con relativo risarcimento economico da parte dei genitori.
La questione è complessa, perché bisogna capire se davvero comportarsi da adulti equivalga ad avere uno sviluppo psicologico che vada di pari passo con le proprie azioni. D'altra parte, dover fare i conti con ciò che si fa, è la base del vivere in società.
Altrimenti, come nel caso dei quattro bambini rom, la sensazione è quella della totale impunità: la donna morta c'è, com'è possibile che nessuno ne risponda? Le leggi non sono ad personam, ma la responsabilità non può non essere personale. Anche in funzione dell'adulto che si diventerà: che persona potrà mai essere, un domani, quella che ha saputo di averla fatta franca, davanti a un simile reato?
