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Bippare alcune parole
in Rai (come in Reazione
a catena) è da finti buonisti

  • di Stefano Bini Stefano Bini

27 settembre 2023

Bippare alcune parole in Rai (come in Reazione a catena) è da finti buonisti
Dopo l’affaire “borsetta-scippo-vecchietta”, pochi giorni fa nel programma è stata censurata la parola “nana”, come se fosse un’offesa. Ma questa modalità di oscurare ormai qualsiasi parola che può offendere qualcuno fino a che punto può spingersi? La Rai sostiene i diritti Lgbtq+ ma nel frattempo sembra tornata alla censura degli anni '50. E toppo politicamente corretto rischia di essere controproducente...

di Stefano Bini Stefano Bini

Benvenuti nel 1954, quanto la Rai accese le sue frequenze televisive per la prima volta. E siamo ancora a quel punto nel programma "Reazione a Catena", nell’access time di Rai1 condotto da Marco Liorni, dove sono andati in onda due episodi al limite dell'imbarazzo, non tanto per i concorrenti, quanto per il meccanismo tv che recepisce il finto buonismo del conduttore e, a quanto pare, dei dirigenti della tv di Stato. «Cosa/piccoletta/prendi/dalla/vecchietta?». I "Dai e Dai", gruppo di concorrenti della trasmissione, rimarranno però nella storia per quel celebre indizio. La risposta? "Borsetta". Una frase poi censurata dalla Rai con dei bip e annullata dal conduttore, che ha tolto al gruppo pure un punto. Situazione agghiacciante per la trasmissione, come per i tempi che corrono. Questo specifico gioco della trasmissione è imprevedibile e quindi possono accadere anche situazioni buffe, come questa, ma invece di sorridere e lasciar correre, Liorni è rimasto sconcertato e si è pure adirato, in pieno stile finto buonista e politicamente corretto. E poi ci si chiedere il perché i giovani cambiano canale? Non che nelle serie televisive non si rimbecilliscano con un nefasto politically correct, ma perlomeno c’è una trama pensata, mentre in "Reazione a Catena", dentro il quale dovrebbe essere tutto imprevedibile, c’è una censura post-prodotta agghiacciante. Come se non bastasse questa oggettiva “figura di merd*”, oltre che totalmente fuori luogo, da parte della Rai, pochi giorni fa, nello stesso gioco, è stata bippata la parola “nana”. Per la Rai questa censura si è rivelata un boomerang, visto che essere nani non è un’offesa e fino allo scorso anno nessuno avrebbe mai pensato di censurare un sostantivo del genere, sintomo del fatto che la Rai è in pieno delirio, e non le fa certo bene. A questo punto, speriamo che con il cambio di governance ci sia meno rigidità, perché essere nani è un fatto e spesso anche che un'anziana venga derubata. 

I "Dai e Dai" a Reazione a Catena
I "Dai e Dai" a Reazione a Catena

Il governo di Giorgia Meloni ha potuto mettere le mani sulla Rai da pochissimi mesi, ma in un’azienda di Stato dove il centrosinistra ha fatto il buono e cattivo tempo per anni, questa si è trasformata in una favola Disney contemporanea, ovvero totalmente fuori dal tempo. In una Rai in cui si dà evidente e giusto spazio ai diritti Lgbtq+ (basta guardare Rai1), la stupida censura sui game appare insensata. Le situazioni in Rai stanno fortunatamente cambiando, però lasciarsi alle spalle undici anni d’irritante buonismo non è facile, indi per cui speriamo che i nuovi dirigenti applichino un repulisti nel modus operandi perché nell’attuale situazione il telespettatore cambia canale e non torna più, vista l’offerta di canali digitali, pay e streaming. È vero che lo zoccolo duro di Rai1 è rappresentato dal target over 64, ma è assodato il fatto che gli anziani di oggi non sono più quelli degli anni ’70, ’80 o ’90, epoca nella quale la televisione era l’unica protagonista. Oggi, tra smartphone, figli e nipoti che aiutano i nonni a fruire delle nuove tecnologie, anche ai nostri amati vecchi (parola bellissima e di una profondità incredibile, altro che anziani) piace vedere cose nuove e senza tante censure. La Rai, e in particolare Rai1, avrebbe quindi l’obbligo di stare attenta a queste cadute di stile per evitare di perdere pubblico, visto che è la rete più a rischio. La censura non è di questi tempi, così come il politicamente corretto imposto da una minoranza che vorrebbe mettere il bavaglio su tutto. Il pubblico attende un cambio di rotta, gli addetti ai lavori idem, perché senza libertà non c’è racconto.

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