Il castiga-Grillo (e Conte). Lorenzo Borrè, avvocato civilista romano, negli anni si è fatto la solida fama di incubo degli staff legali del Movimento 5 Stelle: ex attivista, dopo aver difeso tre iscritti espulsi in occasione delle primarie per le amministrative capitoline nel 2016, è diventato il punto di riferimento nazionale per i pentastellati dissidenti che avevano preso, diciamo, alla lettera la parola d’ordine della democrazia diretta interna. Questa incoerenza politica di fondo fra ideale e realtà si è difatti sempre rispecchiata in una fragilità statutaria che Borrè ha rigirato contro il MoVimento ogni qual volta c’era un grillino cacciato o escluso: da interi gruppi, come 23 partenopei buttati fuori perché accusati di aver costituito un gruppo segreto su Facebook, alla professoressa Marika Cassimatis defenestrata dalla candidatura a sindaco di Genova perché sgradita a Grillo (che poi ha tirato dritto nonostante il parere contrario del tribunale), all’impugnazione delle primarie regionali in Sicilia nel 2017, sempre ignorata dai vertici, fino alla clamorosa messa in standby dell’elezione di Giuseppe Conte nel febbraio di quest’anno, successo tuttavia non bissato il mese scorso (anche se la questione non è chiusa). “E a breve”, aggiunge sottolineandone l’importanza simbolica, “il Tribunale di Roma emetterà la sentenza di primo grado sul ricorso di Gregorio De Falco, pronunciandosi sulla clausola del vincolo di mandato che impone il voto di fiducia a favore dei governo di cui il M5S faccia parte. Una clausola che, come dimostrano le recenti cronache politiche, la dirigenza del MoVimento sembra essersi dimenticata”.
In pratica, avvocato Borrè, non da oggi, ma da anni il M5S, che bacchettava tutti sul rispetto delle leggi e delle regole, in casa propria è abituato a non rispettarle?
Le molteplici vittorie giudiziarie stanno lì ad attestarlo. I casi più eclatanti riguardano le espulsioni, ma anche le esclusioni dai procedimenti elettorali. Colpisce poi che un movimento intriso di retorica costituzionale e democratica, poi, nella prassi applichi, ben diversi paradigmi.
Per questa campagna elettorale è già sul tavolo il nodo della scelta, da parte del capo politico Giuseppe Conte dei capilista, ovvero degli unici che hanno chances di essere eletti in parlamento. Qual è qui il problema, sotto il profilo giuridico?
Il problema, se vogliamo definirlo così, è che un tale potere non è previsto dallo Statuto pentastellato (che peraltro è stato rielaborato dallo stesso Conte): la scelta dei candidati è appannaggio degli iscritti, Conte può solo escludere quei candidati che ritenga non idonei a rappresentare i principi del M5S. Prerogative utilizzate già dai suoi predecessori, ma che hanno ben poco di democratico. Peraltro, a quanto mi consta, le previsioni statutarie relative alla scelta dei candidati sono state sottoposte al vaglio della commissione interparlamentare di garanzia e trasparenza, che nel marzo 2022 si è spaccata sul punto, unico caso, se non erro, nella storia delle deliberazioni della Commissione. Un altro record, non propriamente positivo, del pentamondo.
Ma anche il fatto che Conte possa avere un potere di veto sui non idonei, non è arbitrario, dal punto di vista politico? Come si stabilisce se uno non è idoneo?
Ha toccato un punto nevralgico: Conte ad oggi non ha esercitato questo potere, a quanto mi consta. Ma nel 2018 questo potere è stato esercitato senza che il malcapitato di turno potesse venire a conoscenza delle regioni per cui era stato cassato dalle liste. Conosco direttamente diversi casi, anche se non li ho seguiti personalmente. L'esclusione di fatto, senza comunicare i motivi, è stato il loro uovo di colombo, visto che le esclusioni motivate non hanno mai resistito al vaglio giudiziario.
Qual è stata finora la contesa più "pazza", più assurda, che ha dovuto affrontare? Della serie: ho visto cose che voi umani...
Trattandosi di un contenzioso ancora in atto, per etichetta personale e deontologia preferisco glissare, ma mi è capitato di prendere atto che marxisticamente, in casi delicati, il diritto è la risultante dei rapporti di forza.
D'accordo, la riservatezza ci sta. Ma almeno un aneddoto passato sicuramente lo avrà, anche non di valore legale ma soltanto umano, per dare una misura del "pentamondo", come lo chiama lei.
Quello che mi ha sempre colpito è l'indifferenza verso le ingiustizie subite dai compagni di movimento. In un clima in cui allo slogan "onestà onestà" si sostituiva troppo spesso il grido di battaglia "togliti tu che mi ci metto io". Non posso fare nomi, ma molti si riconosceranno in questo affresco.
Conte è un avvocato, fra l'altro che fa un certo sfoggio di essere preciso e corretto nel suo modus operandi. Ma non pare ci sia stato uno stacco in meglio, rispetto al passato dominato da Di Maio e Grillo. Che idea si è fatto di lui, dal punto di vista della gestione delle regole?
Le nostre visioni di democrazia non coincidono. Il fatto di aver inserito una norma transitoria nel nuovo statuto in forza della quale il primo chiamato alla carica di presidente poteva essere solo il soggetto designato dal Garante (Beppe Grillo, ndr) marca una notevole distanza da quelle idee, ormai polverizzate, che mi avevano fatto avvicinare al M5S. E mi ha colpito che poi si sia sostenuto che in realtà tutti gli iscritti del M5S potevano contendere quella carica a Conte. A lei risulta che si sia verificata una tale circostanza? A me no. Non è stato emanato un regolamento con le specifiche tecniche per la raccolta di candidature alternative, nè gli iscritti sono stati invitati a presentare auto-candidature. Il tutto fa parte della narrazione tipica pentastellata.
Per le parlamentarie appena chiusesi in vista delle elezioni le autocandidature sono avvenute, sempre però con il potere assoluto di Conte di nominare i capilista di suo gradimento. Chiedendo ora un'opinione al cittadino oltre che all'avvocato Borrè, secondo lei si può affermare che il M5S, come organizzazione interna, abbia avuto un'involuzione oligarchica, o il voto in tempo reale lasciato agli iscritti conferisce loro ancora una certa diversità rispetto agli altri partiti?
Il M5S già dall'aprile del 2013 si è trovato a dover fare i conti con la ferrea legge delle oligarchie di Robert Michels: i portavoce eletti, nella quasi totalità, si son ritenuti immediatamente élite, avanguardia intellettuale e politica del movimento, privilegiando iniziative parlamentari non contemplate dal programma elettorale, come i primi disegni di legge presentati in Senato dal M5S nel 2013, che riguardavano una versione draconiana del DDL Scalfarotto, l'istituzione del matrimonio omosessuale e la regolamentazione della filiazione omogenitoriale attuabile anche con la maternità surrogata. Chi, tra gli iscritti, contestò questa linea fu espulso o emarginato. Quanto ala votazione sulle piattaforme telematiche, così come attuata oggi, rappresenta la negazione di quello che consideriamo "democrazia". Lo notava del resto lo stesso Carl Schmitt già nel 1928: esprimere un'opinione da un apparecchio, senza che il voto sia preceduto da un'effettiva possibilità di dibattito, da un autentico confronto pubblico in cui la minoranza può, grazie al ragionamento, invertire la proporzione iniziale delle forze in campo, è la negazione stessa della democrazia. E la ritengo una deriva pericolosa. Anche perchè vengono rappresentate come democratiche pratiche che non lo sono affatto: basti pensare alle dinamiche che hanno portato alla ricostituzione, nel dicembre del 2017, del M5S con la rifondazione avvenuta creando una nuova associazione da parte di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, dotata di un proprio statuto antitetico al “Non statuto” del 2009, e che metteva i vecchi iscritti di fronte ad un aut aut: abbracciare il nuovo corso o sparire dal web assieme alla vecchia associazione, di cui però i neofondatori continuavano ad utilizzare il nome e il contrassegno.
Se le dico che il M5S è apparso sempre, e tuttora apparirebbe tale se avesse ancora una nutrita e proliferante base (cosa che non risulta più), come un ircocervo fatto di anarchia in basso e dittatura in alto, darei una raffigurazione corretta o sbagliata?
Iconicamente perfetta.
A suo giudizio, il M5S sconta tare concettuali e organizzative di fondo, in altre parole rappresenta un'occasione persa fin dall'inizio, pensando di converso all'entusiasmo popolare (o populista, per alcuni) che aveva suscitato dieci anni fa?
Rappresenta di più e di peggio di una semplice occasione persa: rischia di essere la pietra tombale delle speranze di un rinnovamento civico, culturale, politico cui aspirava una parte significativa del popolo italiano, quella parte che si era allontanata dalle competizioni elettorali rinchiudendosi nell'astensionismo. E non è un caso, a mio avviso, se il precipitare del M5S nei consensi sia parallelo al progressivo aumento delle percentuali degli astensionisti.
Beppe Grillo quali responsabilità ha, dal suo punto di vista, nella progressiva crisi del Movimento?
Le ha tutte. Tutte le dinamiche che ho raccontato, tutti gli episodi che sono sfociati nei casi giudiziari che ho citato hanno visto l’avallo di Grillo, che ad oggi si trova quasi nudo e inerme di fronte al Golem che ha costruito. Ma è ormai impossibile invertire un processo che ha contribuito a innescare e consolidare. Prima terminerà la fallimentare esperienza politica pentastellata e meglio sarà per tutte le vere forze oppositive di questa nostra povera nazione. La lezione che tutti possiamo trarre è comunque questa: non esistono scorciatoie in politica, tanto più rapida è la conquista del potere in assenza di una corrispettiva egemonia culturale, tanto più effimero sarà il successo. Quello a cui abbiamo assistito è stato il trionfo della teatrocrazia, non l'affermarsi di una rivoluzione.
Mentre la scena è occupata dalle schermaglie fra Calenda, Letta, Renzi, Meloni e Salvini, il Movimento si avvìa alla fine della sua parabola? L'unica, teorica chance che gli restava era Alessandro Di Battista, tenuto fuori dalle candidature per queste elezioni e che ha annunciato di voler fondare un proprio movimento.
Un movimento non si può fondare su una persona sola, per di più se questa appare politicamente isolata dal contesto. Del resto le scelte politiche fatte in questi quattro anni sono a mio avviso incompatibili con quanto sostenuto da Di Battista. E francamente non vedo una sintonia politica tra quest'ultimo e Conte, non più di quanto ve ne fosse con Luigi Di Maio. A mio avviso il Dibba avrebbe dovuto aderire al progetto di Gianluigi Paragone due anni fa (Italexit, ndr). Ci sono treni che una volta persi non ritornano indietro.