Udite udite: Giuseppe Conte va a caccia di elettori giovani facendosi intervistare su Breaking Italy, canale YouTube da 822 mila iscritti che pullula di gagliarda gioventù. Così titolavano con grande enfasi, qualche giorno fa, vari quotidiani della pleistocenica stampa cartacea. La notizia, in sé non travolgente perché, anche se sparuto, qualche politico ogni tanto si è già offerto al pubblico dei social e dei podcast (per dire, la segretaria del Pd, Elly Schlein, proprio su quella stessa piattaforma), ha stuzzicato la nostra curiosità di boomer che, a differenza dei venti-trentenni, al massimo pilucchiamo di tanto in tanto dal panorama degli youtuber e influencer, preferendo ancora il pleistocene del giornalismo tradizionale, dei siti con intellettuali arrabbiati o, masochisti come siamo, l’approfondimento hard-boiled sui libri. Così, ci siamo fatti un giretto tra i video del suddetto Breaking Italy. E ci siamo abbioccati. La creatura è del content creator (definizione che troviamo su Wired buona per tutto, anche per chi mostra le pudenda su OnlyFans) Shy, al secolo Alessandro Masala. Classe 1984, cagliaritano, studi in scienze politiche, dal 2011 ha messo in piedi una macchinetta che gira bene, con un commento al giorno, dal lunedì al venerdì, e altri format di successo, come appunto le interviste registrate in diretta in teatro e poi, naturalmente, pubblicate online. Il mercato lo fende adeguatamente, essendosi ritagliato una sua nicchia che, se non gli basta per vivere (di sé, su Instagram, scrive di essere “imprenditore”, e si vede), rappresenta comunque uno degli esempi riusciti, e più longevi, di infotainment sul web italiano. Tanto di cappello, fin qui nulla quaestio. Solo che dall’info-intrattenimento, ci saremmo aspettati di farci intrattenere. Vale a dire divertirci un po’, senza esagerare, altrimenti, come diceva il compianto Vitaliano Trevisan, è un attimo e si scade nell’infottenimento. Cioè nel farsi fottere assistendo a una vuota messinscena.
Di vuoto, all’apparenza, qui c’è poco. Masala draga l’attualità, sempre con un’attenzione, dal suo punto di vista, intelligentemente particolare a sponsor e news sul mondo digitale e dello show business, e lo fa con una certa dovizia di contestualizzazioni, dettagli e montaggi narrativi che un inquadramento minimo, bisogna dire, al fruitore lo danno. Però se il taglio leggero sono le sue mossette facciali di disapprovazione, le frasine da like con il cuoricino (“riusciamo a fare passare questo messaggio? Vi voglio bene, un bacetto”, mentre parla della distinzione fra antisionismo e antisemitismo), le pause con sguardo che vorrebbe essere ammiccante ma è solo deprimente, occorre avere un senso del cringe, ossia dell’effetto-imbarazzo, abbastanza soporifera, pur di farselo andar bene. Eppure, anche qui: evidentemente, c’è una nutrita fascia di generazione Z che apprezza questa pseudo-ironia talmente rarefatta da far scattare immediato il rimpianto per quando l’informazione era una cosa, e il cazzeggio, inteso come forma alta e nobile di critica satirica, era un’altra. Oggi, e per la verità da un pezzo, siamo alla fusione strutturale dei generi, e difatti Shy, correttamente, puntualizza di non essere un giornalista: lui ricostruisce un fatto dando la sua opinione. Che è quel che fanno i giornalisti, solo che lui sembra prendersi meno sul serio. Ci sta. Quello che non ci sta è la pochezza disarmante delle argomentazioni. Siccome i suoi follower sono tendenzialmente immersi nella web-sfera degli info-intrattenitori come lui (e su tale fronte c’è sicuramente di peggio, come Rick Dufer, che se la crede tantissimo, o GioPizzi, il cui battutismo ricorda l’asilo), viene d’obbligo suggerire ai coltivatori di senso critico, sparsi tra quelle file, di attivarlo non tanto su ciò che dice, ma su ciò che non dice. Prendiamo, fior da fiore, qualche esempio dal magazzino dei suoi video. L’11 gennaio, dissertando sul tema “Trump parla ancora di USA fuori dalla Nato”, Masala insiste su un suo pallino, che è il sacro terrore all’idea che noi europei si resti senza l’ombrello protettivo dell’alleanza militare capeggiata da Washington: “non avremmo la capacità di contrastare una forza come quella russa”, “non so se ci rendiamo conto di come cambierebbe tutto”, esclama indignato e impanicato. Sarebbe sufficiente documentarsi un minimo presso qualche specialista di politica estera, o anche solo accendere la levetta del buon senso, per sapere che una superpotenza oggettivamente in declino come sono gli Stati Uniti, proprio perché in declino, molto difficilmente smonterebbero un giocattolo che rimane uno strumento di dominio indispensabile (specialmente al complesso militar-industriale, quello “Stato profondo” che infatti appoggia sia Repubblicani che Democratici, ma non Trump). Il discutibilissimo Donald, con le sue contraddizioni di nazionalista senza tuttavia la mania di esportare democrazia ovunque, al massimo riuscirebbe a dismettere qualcosa, a tagliare forniture belliche, a ritirarsi da qualche fronte preferendo, da ex palazzinaro quale è, il negoziato anche col diavolo. Ma la fine della Nato su iniziativa americana, è solo negli incubi proiettivi di qualche Masala (in buona compagnia con parecchi, eccellentissimi opinionisti di quella sinistra che non sa più analizzare marxianamente la mappa degli interessi, e sragiona secondo puri ideologismi, il Bene di qua e il Male di là).
Oppure, puntata del 21 dicembre 2023, dal titolo “Vogliono cancellare il natale, il presepe, il cotechino”. Questa volta Shy lancia i suoi strali, sempre con vocetta timida, alla volta di Mario Giordano e della sua trasmissione su Rete4 “Fuori dal coro”. A scanso di equivoci, chiariamo subito che, per chi scrive, stiamo parlando del talk più inguardabile della televisione italiana. Non solo per la sguaiatezza, con il conduttore che urla, corre e ci richiama Lombroso con quei suoi angoscianti primi piani, ma soprattutto per la sistematica semplificazione, stile ascia medievale, con cui bistratta la realtà. Quando Masala fa della “complessità” il perno di un’informazione degna di questo nome, sottoscriviamo in pieno. Però nel vizio semplificatorio ricade pure lui quando, per disinnescare lo spauracchio sul Natale, ogni anno puntualmente minacciato dai cattivoni islamici, se ne esce riducendo la cosa al “valore simbolico”, cioè religiosamente neutro, modello “pappa del cuore”, che la natività di Gesù ha assunto anche per i non cristiani come lui. “Amo il Natale, e gli agnolotti non so manco cosa siano”, dice per prendere in giro le facili metafore giordaniane a indicare le tradizioni sotto attacco. Non dice, tuttavia, che per esempio nelle scuole, sono insegnanti indefessamente laici, ad aver la fissa di sterilizzare la festività per un moto di eccessivo rispetto verso, anche, i musulmani, i quali invece questi problemi non se li fanno, essendo in media molto più religiosi di noi, e quindi comprensivi e per nulla ostili ai riti del monoteismo loro cugino. In più, se è vero, come sostiene Shy, che le campagne pseudo-tradizionaliste di questo tipo non fanno parola, che so, dei cinesi, e che perciò tradiscono il concetto di fondo sulla “sostituzione” etnica in un senso univocamente anti-Islam, è perché i seguaci di Maometto, fra i nostri immigrati, sono la stragrande maggioranza, e perciò mettono più paura. Che poi il cavalcare la paura sia “populismo”, come afferma lui con termine trito e ritrito (e inesatto: si dovrebbe dire, meglio, demagogico), questo è altrettanto vero. Ma buttarla in stereotipi, uguali e contrari ai luoghi comuni che si vuole criticare, non è un bel servizio alla causa dell’onestà intellettuale. Breaking Italy, insomma, è un contenitore di luogocomunismo che non si distanzia di molto, toh, da una Repubblica o da un Foglio. La differenza sta nel medium che - McLuhan docet - è il messaggio: là, tonnellate di prosopopea, raffinatezza arcicolta e semicolta, squartamenti di capelli in quattro otto sedici, grandi e sussiegose firme; qui basso profilo, toni bassi, bassi volumi ma anche basso livello, con ovvietà a palate e tanta noia, ma tanta noia, noia letale. D’accordo rifuggire la troppo facile tentazione alla polemica e allo scontro, ma quando Marco Travaglio, nel tu per tu delle interviste dal vivo, gli faceva presente che Putin, quanto ad aggressività militarista e tasso di ipocrisia, non è diverso da noi Occidente, basti ricordarsi della sequela di conflitti da noi scatenati, Masala ha palesato un farfugliamento, “eh ma è passato tanto tempo”, ed è bastato elencare “Belgrado, Afghanistan, Irak, Libia” per zittirlo. Va bene che non è un giornalista, e lungi da noi apparire corporativi nei confronti di una categoria che in buona misura si merita il discredito di cui gode, ma uno straccio di cazzimma, almeno quella, anche uno youtuber dovrebbe pur avercela. Altrimenti, vien quasi da rivalutare Maurizio Molinari e i suoi rosari atlantisti con frequenza vocale ottima per assopirsi in poltrona.