La notte prima di capodanno Orlando ha avuto un attacco di asma. E così, alle 2:40, mi sono ritrovato tra le calle, i ponti e le strade strette e vuote di Venezia. Quando stavo per uscire mio figlio mi ha abbracciato e mi ha detto: "Grazie". Poco dopo, mentre camminavo verso la farmacia di turno, ho pensato a una storia che mi ha raccontato un altro Orlando, stavolta l'amico, quella dei monaci circestensi dell'abbazia di Morimondo.
Si chiama così sia perché i monaci arrivavano da Morimondo, in Francia, sia perché lì dentro tutti gli usi e i costumi che valevano fuori morivano. I monaci vivevano in estrema clausura: la loro sveglia era all'una di notte e dopo la prima preghiera i coristi (coloro che sapevano leggere e scrivere) andavano a copiare la parola sacra sulle pergamene mentre i conversi andavano a lavorare nei campi. Mente e braccia. Ora et labora. Si sedevano solo per mangiare, tutte le altre attività, compresa la preghiera, le facevano in piedi. Ciò che non era essenziale era proibito. Niente orpelli né affreschi. Nessuna decorazione. Perché anche solo tentare di raggiungere la perfezione era una prerogativa di Dio. Infine, dopo la cena, non appena il sole tramontava, l'abate - e quindi la massima autorità presente - lavava i piedi a tutti. A tutti.
Potevo imprecare, di notte a Venezia, maledire me che mi ero dimenticato di ricordare a mio figlio di portarsi il puf per l'asma e lui per esserselo dimenticato. Invece è stato un momento altissimo: da solo a scoprire viste incredibili, a godere i canali, l'acqua calma, i palazzi spenti e silenti, un signore con un cappello qualche metro davanti a me che chissà cosa stava cercando. Venezia sa anche di sud. È un labirinto, un dedalo. Una medina. Fanculo i turisti e il consumismo, l'anima di questa città è ancorata nella storia della Repubblica marinara, tra i nobili, le spie, i navigatori, i mercanti, gli artisti, i parassiti e le puttane. Non ce ne rendiamo conto ma noi, ora, siamo tutte queste cose insieme. Una volta tornato sono io che ho detto grazie a mio figlio. A lui, ad Agata e Marta che mi aspettavano svegli ho fatto vedere le foto che avevo scattato. Uscire, trovare la farmacia, portargli la medicina è stato il mio modo di lavargli i piedi.
Ho perso una persona che stimavo e a cui volevo bene quest'anno, Gianluca Ferraris. Abbiamo fatto il master in giornalismo insieme e poi ci siamo continuati a sentire e aggiornare, con poca frequenza ma con grande affetto. Tumore al pancreas. Un'altra di quel master l'ho sentita qualche giorno fa, Angela. Anche lei ha perso qualcuno di molto caro, sempre per lo stesso male. L'ho chiamata e al telefono, nonostante tutto, si è messa a ridere e mi ha fatto ridere. Poi, il giorno del mio compleanno, tra i vari auguri mi sono arrivati anche quelli di una persona conosciuta da poco, Alessandro Calascibetta. Me li ha fatti con una mail, che ormai sa tanto di lettera, di roba preziosa. Citando più o meno una scena del film Il colibrì mi ha scritto: "Cerca di riempire il vuoto che provi: il solo fatto di sforzarsi a farlo è il significato della vita; ed è questo quello che passerà. Altrimenti passerà solo il vuoto".
Camminare di notte. Fermarsi a pensare che sei tu che devi dire grazie. Dare agli altri senza pretendere niente in cambio. Non avere paura né di perdersi né di vivere quello che ci capita anche se non era ciò che avevamo previsto. Riempire il vuoto. Farlo nel modo che più ci soddisfa. Pregando. Lavando i piedi. Dando il meglio di noi stessi. Ognuno come vuole. L'augurio per l'anno che è appena cominciato è di riuscire a ballare e a ridere dentro le proprie tempeste. Perché riuscirci fa la differenza. Buon anno spie. Buon anno nobili, mercanti, artisti e puttane. Buon anno marinai.