Quando mi capitano sotto il naso temi di spessore, temi che non toccano nemmeno per sbaglio il triste squallore delle corna tra vip e sexy modelle di lingerie, tendo a farmi da parte, a non esprimere un’opinione; in un mondo dove tutti hanno (a volte) qualcosa da dire, non credo che la mia voce abbia nulla di che da aggiungere ai dibattiti che affollano le colonne dei quotidiani del bel (e non solo) Paese. Ma la polemica sollevata per le parole del magistrato Maria Monteleone mi ha onestamente fatto venire i capelli bianchi. Per chi si fosse perso la triste vicenda, a seguito dell’omicidio dell’avvocato Martina Scialone, il magistrato ha ricordato che accettare l’ultimo appuntamento, quello chiarificatore, con l’ex disperato può essere un grosso errore; in questo caso fatale. È ovviamente un consiglio, un promemoria che va inserito nel giusto contesto, in una situazione che si configura come potenzialmente pericolosa, come l’assassino in questione, che aveva già dato segnali di grossa instabilità psicologica. Ma l’avvocatessa, per quanto preparata, era umana, sensibile e si è ritrovata in una condizione nella quale non ha avuto scampo.
Fraintendere quello che è stato detto dal magistrati sembrerebbe impossibile, surreale, fantascientifico… e invece anche questa volta l’influencer di turno mi ha tolto ancora fiducia nei confronti dell’umanità. “State colpevolizzando la vittima” ha chiosato la femminista Carlotta Vagnoli, condivisa poi da Chiara Ferragni. Ma chi ha colpevolizzato la vittima? Quando? La Monteleone ha invitato alla prudenza, alla normale prudenza, la stessa che potrei raccomandare io a mia sorella minore quando mi dice che vorrebbe dare l’ultima possibilità di chiarimento ad un ex che non ho mai digerito. Se stessimo parlando di “beni” e non di relazioni sentimentali, non suggerireste prudenza a quell’amico che se ne gira per quartieri malfamati e ad alto tasso di rapina con un Rolex da 30 mila euro al polso? La riposta è sì. Certo che lo invitereste alla prudenza e questo non vi descriverebbe come dei pazzi paranoici, ma come persone attente ai vostri affetti e di innegabile buon senso. Buon senso che evidentemente (ma non certamente) è mancato nella mente di chi ha voluto vedere del marcio in una serie di ragionevolissime considerazioni.
Io sono notoriamente una persona orribile, vedo il peggio in tutto e tutti e in questo inutile attacco ho sentito un vago puzzo di strumentalizzazione. Caso vuole che le controparti siano state intervistate proprio da testate blasonate come Repubblica e ribattute da altrettanti quotidiani di valore. A tal proposito, domando quando la smetteremo di dare i megafoni a voci ed opinioni che non dovremmo diffondere eccessivamente nell’etere. “Non siamo noi le carnefici!” ma certo che no. Nessuno l’ha sostenuto, infatti. Ci ricordiamo tutti, vero, che la follia e la violenza non sono sempre solo figli di una brutta cultura patriarcale, ma occasionalmente sono devianze naturali di una mente instabile, pericolosa, paranoica, a prescindere dal contesto culturale in cui è cresciuta?
Se la risposta è “no”, vediamo di fare tutti mente locale. Ok, la società patriarcale esiste, ma anche la responsabilità dei singoli, delle nostre scelte, ha un valore. Personalmente l’eccessivo dolore, quello che diventa ossessivo e che supplica in continuazione, a tutte le ore, che la mattina è “accusa” e la sera “preghiera” mi spaventa. È un animale selvatico, pronto a tutto. E mi inquieta a prescindere dal genere di appartenenza dell’altro. Come mi ricordava un caro amico anni fa: “Chi chiede aiuto con troppa disperazione allontana chiunque”. Ecco, educhiamo l’altro a gestire il dolore, a ricordarsi che siamo tutti liberi di vivere una vita dopo la fine di un amore ed educhiamo noi stesse a non andarci a metterci da sole in tane con lupi travestiti da agnelli.