I Måneskin salveranno il rock? No. Ma chi s'aspettava un'evoluzione aveva aspettative troppo alte. È a piede libero da stanotte il nuovo album della band, Rush! (come il gruppo omonimo), il primo concepito per avere una gittata che copra l'intero pianeta e lanciato in pompa magna da un finto matrimonio - tamarrissimo officiato dall'ex Gucci Alessandro Michele, alla presenza di qualche vip e giornalisti tirapiedi. Tutto per un pass, ossequi.
Viene da sorridere, anzi ridere fortissimo, pensare che in America non siano acclamati come si crede. L'ha fatto presente The Atlantic, che nella netta stroncatura sente puzza di bruciato. Intendiamoci, è tutto vero, ma non è una novità. Non a caso ciò che disturba principalmente dei quattro è il circolo mediatico che li accompagna (vedi la tamarrata in bianco), il lavoro di costruzione per creare personaggi fintamente trasgressivi, e con cui i giovani, orfani di altri riferimenti, possono identificarsi. Perfetti poi, perché giovanissimi e facilmente manipolabili.
Ma andando oltre la facciata, diventata noiosissima, occorre un passo di lato. Nel contesto in cui viviamo si tende ad applaudire tutto ciò che il pubblico applaude. La qualità della proposta, di un disco, in questo caso, diventa secondaria, una sorta di accessorio per fare spettacolo. Perché inventarsi delle alternative? Perché essere originali? Se hai tanti follower e streaming hai vinto. Come dall'inedito Bla Bla Bla: “Dici che sono brutto e che la mia band fa schifo. Una mia canzone ha appena raggiunto il miliardo di stream, perciò baciami il cu-cu-cu-cu-cu-culo”. Peccato si tratti della cover Beggin', non certo un brano loro. Ma accettare l'idea di essere così influenzati da qualcuno o qualcosa, con un misto tale di rassegnazione e convinzione ha cambiato le regole del gioco. Così sparliamo, nel bene e nel male, non ascoltiamo più. Neppure ci interroghiamo su cosa c'è sull'altro piatto della bilancia. Scomparsi i locali, scomparse le piccole etichette, scomparse le radio indipendenti, cosa rimane oltre la distribuzione mainstream? Cosa rimane oltre un fenomeno costruito a tavolino? Al di là del campanilismo, e del fatto che attirino click, nessuno mette in dubbio la loro escalation, ma il deserto persiste, non colto solo da chi non vede. Damiano, Victoria, Ethan e Thomas sono poco più che influencer, blogger, alla stregua di un Vacchi o Ferragni. E se vogliono lasciare il segno nella musica, non è questa la maniera.
Rush. Sesso (tanto), droga (meno), furbeschi stereotipi del rock, ritornelli elementari, copia incolla di canzoni che vanno avanti senza colpi di scena, e giusto un paio di guizzi. Basta qualche ascolto per confermare la critica di The Atlantic, persino generosa. Recita la cartella stampa, registrato tra una casa comune a Los Angeles, a un chilometro dalla studio di Max Martin - produttore del disco insieme a Fabrizio Ferraguzzo - Tokyo e Italia. Tutti i pezzi, tranne cinque, co- scritti con altri professionisti, come nel miglior pop internazionale. Altro che rock’n’roll. Non si salvano neppure i testi in italiano, anzi sono i meno incisivi, e le collaborazioni prestigiose, come già detto - da Tom Morello a Max Martin - più che altro medaglie da appuntarsi al petto che occasioni per una svolta agognata. I soliti Måneskin, che noia, che barba. Solito spreco di potenzialità.
Own my mind: biglietto da visita dell'album, tra i meglio suonati.
Gossip feat. Tom Morello (già pubblicata): Si sente il tocco del chitarrista americano, che fa la differenza nell'assolo finale. Ma la cosa migliore del brano resta la stellina sulle intimità di Damiano.
Timezone: ballata tutto sommato piacevole, a tratti emo. Il sesso è protagonista, incentrato sul pensiero di “scoparti stasera”, nonostante il cantante sia ben lontano da casa.
Bla Bla Bla: un lungo sbadiglio (imbarazzante)
Baby Said: Ancora sesso. “Parlami tra le gambe, dammi la testa”. Un potenziale singolo nonostante la ripetizione delle linee melodiche. Come quasi l'intero lavoro.
Gasoline: il proseguimento di fuck Putin. Che trasgressivi.
Feel: un minimo di funk sugli eccessi dello star system. “Cocaine is on the table”. Papabile hit.
Don't wanna sleep: accellerata che non travolge completamente.
Kool Kids: altra accelerata, sì verso il baratro.
If not for you: ballatona piacevole; tra le migliori.
Read your diary: un altro copia incolla che fa battere il piedino.
Mark Chapman: il primo dei tre in italiano, sugli stalker. Solidarietà a voi e a noi che ascoltiamo.
La fine (già pubblicata): già giudicata generosamente.
Il dono della vita: retorica imbarazzante.
Mammamia (già pubblicata): sparare sulla croce rossa.
Supermodel (già pubblicata): tra le prime auto cover del disco.
The Loneliest (già pubblicata): come rimpiangere Tommaso Paradiso. Sipario.