Sabrina Minardi, che per anni è stata considerata una delle testimoni nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, è morta, lasciando dietro di sé un'eredità fatta di segreti complessa e inquietante. Nel corso della sua vita la Minardi ha avuto a che fare con il crimine, la droga e le istituzioni vaticane, elementi che hanno segnato il suo destino intrecciandosi a doppio filo con quello della capitale. Sposata nel 1979 con il calciatore Bruno Giordano, Sabrina Minardi ebbe una figlia e, successivamente, una relazione con Enrico “Renatino” De Pedis, boss della Banda della Magliana. Fu proprio il legame con De Pedis a metterla al centro della vicenda che ha turbato l’Italia per decenni: la scomparsa di Emanuela Orlandi il 22 giugno 1983. Sabrina, che aveva 23 anni all'epoca del rapimento, ha raccontato che la quindicenne cittadina vaticana fu tenuta prigioniera per dieci giorni nella sua casa di Torvaianica e successivamente trasferita in un appartamento nel quartiere Monteverde, a Roma, e che lei stessa poi la riconsegnò a un prete. Le dichiarazioni della Minardi hanno portato a nuove indagini e a nuove accuse contro alcuni membri della Banda della Magliana, inclusi Sergio Virtù, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni. Le sue rivelazioni sul caso Orlandi sono state cruciali per la progressione dell'inchiesta, ma la sua vita non è mai stata facile. Fin dagli anni Ottanta, la donna ha lottato contro la tossicodipendenza, un problema che l'ha perseguitata per anni, portandola ad essere coinvolta in numerosi reati legati alla droga. Nel 1994, è stata accusata di sfruttamento della prostituzione e, dopo una serie di condanne, ha passato molti anni in comunità terapeutiche e in prigione.


Una vita segnata anche da incidenti personali e dalla perdita di persone care. Nel 2010 sua figlia fu coinvolta in un tragico incidente in cui persero la vita due giovani, un fatto che l’ha scossa nel profondo. Sabrina Minardi ha poi partecipato al documentario Netflix Vatican Girl, dove ha raccontato la sua versione dei fatti legati alla scomparsa di Emanuela. Sebbene la sua vita privata e le sue testimonianze abbiano messo in luce oscuri retroscena legati al caso, non si può ignorare la complessità della sua figura. A commentare la sua scomparsa Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che da quasi quarantadue anni si batte per arrivare alla verità su ciò che accadde quel 22 giugno 1983: “Mi spiace per la sua morte, ho provato tante volte ad incontrarla ma non ha mai voluto. Nessuno dal 2015 l'ha più ascoltata tra inchiesta Vaticana, Commissione e Procura. Tre inchieste cosa aspettavano a risentirla e avere spiegazione su alcuni punti ritenuti molto attendibile da chi indagò all'epoca come ex capo della Mobile Rizzi, la sua vice Petrocca, la stessa Maisto, il magistrato che con Capaldo segui le indagini, che credeva molto nelle sue dichiarazioni”.

