Pietro Orlandi, durante un incontro alla facoltà di Giurisprudenza all’università La Sapienza di Roma, organizzato dal movimento studentesco Azione universitaria, ha parlato del caso si sua sorella, quindicenne cittadina vaticana scomparsa nel 1983: “Mi chiedo perché il nome Emanuela Orlandi continua ad essere un tabù là dentro (Vaticano ndr), io ci vado spesso e quando li incontro li vedo che sono agitati, c’è la paura, si è creata una sorta di omertà negli anni neanche fosse mafioso il nome Orlandi, hanno fatto togliere la foto di Emanuela neanche fosse Totò Riina. Io non ce l'ho con la religione, la fede, io sto parlando del Vaticano, sono due cose diverse, parlo delle persone che hanno gestito questa vicenda, ci sono persone all'interno che indossano l'abito ma sono in realtà personaggi politici". Questo sotto lo sguardo attento di tantissimi studenti che, come sempre accade, hanno ascoltato il racconto di Pietro Orlandi con grande partecipazione.
Ha ricordato i primi tempi dopo la scomparsa di Emanuela, di quel Natale del 19&3 in cui Wojtyla venne in visita dalla sua famiglia: "Giovanni Paolo Il venne a casa nostra e ci disse che si trattava di terrorismo internazionale, ma il Vaticano ha usato questa storia perché così la vittima è diventato Giovanni Paolo II, il cattivo l'Unione Sovietica e poi anche questo ha portato al crollo del Muro di Berlino. Dopo 40 anni continua ad esserci questa volontà anche da parte del Vaticano che è a conoscenza di molte cose, di ostacolare, di non fare chiarezza ma per quanto possa essere brutta la verità su Emanuela, la dovrebbero tirare fuori”. E ancora: “Un passo così importante sarebbe positivo invece fino all'ultimo hanno cercato di nasconderla e sicuramente sono stati aiutati, le istituzioni italiane in passato sono sempre state succubi del Vaticano".