Non è un mistero: la vita per i giornalisti e per la libertà di stampa è costantemente messa a dura prova in Russia, una situazione ulteriormente aggravatesi dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. A maggior ragione, però, se non vogliamo che le democrazie liberali occidentali assomiglino al regime russo, occorre vigilare costantemente sullo stato di salute del diritto ad informare e ad essere informati. Anche in un conflitto dove siamo de facto invischiati come co-belligeranti, e laddove le propagande contrapposte e l’infowar sono diventate un elemento essenziale della guerra ibrida tra Federazione Russa e Occidente (vedasi lo scambio reciproco di accuse in merito all’esplosione della diga di Kakhovka, nel sud dell’Ucraina). Gravissimo, sul fronte della libertà d’informazione, la tentata censura - nel silenzio assordante dei media “mainstream” occidentali - nei confronti del giornalista investigativo Aaron Maté. È lo stesso Maté, su Subastack, a raccontare quanto accaduto, con documenti esclusivi alla mano. L’Fbi, sostiene il giornalista canadese, reporter e già produttore per Democracy Now!, Vice, The Real News Network e Al Jazeera, avrebbe aiutato l’intelligence ucraina nel suo tentativo di censurare gli utenti dei social media e ottenere le loro informazioni personali, secondo quanto rivelano alcune e-mail trapelate dai «Twitter Files».
Andiamo con ordine. Nel marzo 2022, un agente speciale dell'Fbi ha inviato a Twitter un elenco di account per conto del Servizio di sicurezza dell'Ucraina (Sbu), la principale agenzia di intelligence del Paese. Gli account, notava l'Fbi, «sono sospettati dall'Sbu di diffondere paura e disinformazione». In una nota allegata, l'Sbu chiedeva dunque a Twitter di rimuovere gli account e di consegnare i dati privati degli utenti all’intelligence di Kiev. Troll filo-russi? No, non solo. Tra i bersagli dell’intelligence ucraina, infatti, c’erano anche giornalisti occidentali come lo stesso Aaron Maté, che avrà la sua posizione sulla guerra ma di certo non ha mai inneggiato a Vladimir Putin, ne ha mai esaltato il governo russo o l’invasione dell’Ucraina. Anzi. Tant’è che la stessa piattaforma social ha espresso delle preoccupazioni per la richiesta dell’Fbi, inviata su spinta dell’intelligence ucraina. Nella sua risposta al Bureau, infatti, Twitter ha sì accettato di esaminare gli account segnalati per verificarne l’autenticità, ma ha altresì espresso rimostranze per l’inclusione di Maté e di altri «giornalisti americani e canadesi» nell’elenco. La richiesta di censura dell'Fbi è stata trasmessa in un'e-mail del 27 marzo 2022 dall'agente speciale del Bureau Aleksandr Kobzanets, assistente dell'addetto legale presso l'ambasciata statunitense a Kiev, a due dirigenti di Twitter. «Vi ringrazio molto per il tempo dedicato a discutere dell’aiuto all’Ucraina», scrive Kobzanets. «Vi invio un elenco di account che ho ricevuto nel corso di un paio di settimane dal Servizio di sicurezza dell'Ucraina. Questi account sono sospettati dall'Sbu di diffondere paura e disinformazione». A rispondergli è Yoel Roth, l'allora responsabile della sicurezza di Twitter, che informa l'agente speciale Kobzanets e i suoi colleghi dell'Fbi che Twitter avrebbe «esaminato gli account segnalati in base alle nostre regole». Tuttavia, il dirigente di Twitter spiegava anche che l'elenco comprendeva «alcuni account di giornalisti americani e canadesi». Dei 163 account citati dall'Sbu, alla fine, 34 sono stati sospesi e 20 non esistono più. Gli altri sono ancora attivi, compreso quello di Maté. Tra i cittadini ucraini coinvolti nella richiesta di censura dell'Sbu ci sono anche Anatoly Shariy, - blogger fuggito dall'Ucraina nel 2012 che ha successivamente ricevuto l'asilo dell'Unione Europea - ed Andriy Portnov, un avvocato e politico ucraino ai tempi di Yanukovich. Sì, alcuni di questi account erano probabilmente propagandisti filo-russi, ma molti altri certamente no. E rimane grave il fatto che l’Fbi abbia portato avanti in maniera acritica le richieste di Kiev, che una democrazia compiuta non lo è affatto.
Il caso di Matè peraltro non sarebbe isolato. Anche se - per il momento - non vi sono conferme in merito, il celebre conduttore Tucker Carlson, secondo quanto riportato non solo dal giornalista Glenn Greenwald ma anche dal Washington Post e da Ben Smith di Semafor, sarebbe stato allontanato da Fox News non, come ipotizzato in un primo momento, per il risarcimento record chiesto da Dominion all’emittente, ma bensì le sue posizioni «scomode» sulla guerra in Ucraina e la sua contrarietà al coinvolgimento degli Usa nel conflitto. È emerso infatti che il patron di Fox, Rubert Murdoch, abbia ricevuto nei giorni antecedenti il licenziamento dell’anchorman una telefonata del presidente ucraino Zelensky, infastidito dalle affermazioni di Carlson sulla guerra in Ucraina. È stato dunque licenziato per questo? Impossibile dimostrarlo con assoluta certezza. Al momento, rimane solamente un’ipotesi. È sicuramente vero, però, che nella prima puntata del suo show su Twitter, Carlson abbia deciso di non risparmiare critiche durissime proprio nei confronti di Kiev e della narrazione mediatica sulla guerra. Ma forse è solo una coincidenza, proprio come la telefonata di Zelensky a Murdoch.