Uno strazio. La serata che Rai 1 ha dedicato ai David di Donatello 2023 ha assunto più i contorni di un reality survivalista in cui vince chi resta sveglio. Il milioncino e spicci di telespettatori racimolato dallo show condotto da Carlo Conti e Matilde Gioli si può giustificare con il mega-derby di Champions League tra Milan e Inter. Ma pure con la corazzata di Chi l'ha visto? su Rai 3. Sarebbero, però, scuse postume e nemmeno troppo sincere. Chiunque abbia subito la sedicente grande soirée in prima persona, non può che ammettere la realtà fattuale: è stata noiosa allo sfinimento. Al netto di titoli in lizza non propriamente mainstream (non è stata certo l'annata di Perfetti Sconosciuti e Jeeg Robot), l'arrendevolezza con cui l'intero show è stato concepito e mandato in diretta è desolante. Ci credeva di più Francesco Gabbani sbattuto in prime time a far festa con due piante e tre pozzanghere in Ci vuole un fiore. Cosa non ha funzionato? In primis, la conduzione. Se l'intento è quello di celebrare il nostro cinema, sarebbe opportuno piazzare al timone qualcuno a cui il nostro cinema interessi davvero. Manco il lusso di qualche secondo di suspance sul nome del vincitore, i premiati con la statuetta in mano a citare il due a zero dell'Inter come prima cosa, santa Elodie che trionfa (con una canzone dimenticabile) e regala una nuova base meme. Ma non basta. Ed è, in effetti, troppo poco.
"Mi è sembrato davvero di esordire nella Champions League", dichiara la Miglior Attrice Non Protagonista di quest'anno, Emanuela Fanelli, in testa ai ringraziamenti per il premio. Sarà la prima ma non l'unica volta che il super derby verrà citato durante la serata, tanto da far immaginare l'intera platea, smartphone alla mano, a seguire la diretta della partita alla vigliacca su Prime Video durante lo show. Mentre sul palco si avvicendavano stancamente i vincitori per salutar parenti e tornarsene al posto, sotto lo sguardo poco vigile degli "sconfitti" a cui non sarebbe potuto fregare di meno. Sfilze di intensissimi primi piani sono lì a dimostrarlo. D'improvviso, appare in scena Isabella Rossellini per ritirare un premio alla carriera e Matilde Gioli le fa una domanda, un'unica domanda: sul pollame. "Io amo molto gli animali - rende noto la conduttrice per l'occasione in cosplay da Oscar - ma mi muovo più tra equini e suini. È vero che tu hai delle galline molto speciali?". Poi arriva Enrico Vanzina e, dopo una clip su Vacanze di Natale, cita Antoine de Saint-Exupéry. Perché sì.
Meravigliosa Marina Cicogna che sale sul palco per ritirare, pure lei, un premio alla carriera e tiene subito a dire che questo lavoro di produttrice cinematografica, non lo fa più da diverse primavere. Appena scorge Carlo Conti, lo stiletta: "Ma sa che la ricordavo con più capelli?". Sua "emittenza" risponde chiedendole cosa faccia un produttore. Ci mette i soldi, Carletto, i soldi. Parte il solito terzo grado su come sia stato essere donna e fare trovarsi a ricoprire un ruolo prevaletamente maschile: "Ai tempi non è che si facesse troppo caso a queste cose, oggi invece sento molti bla bla bla". Parte una clip in omaggio alla gagliarda "con il suo capolavoro cinematografico". Lei: "Ah, quale?". Comunque, si tratta di Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. 'Na cosetta, insomma. Maestra di vita. Si congeda con la statuetta in mano e una raccomandazione: "Conti, mi raccomando, non si tagli ancora i capelli".
Il David al Miglior Film va a Le Otto Montagne, lungometraggio che hanno visto in due nonostante l'adorata coppia di protagonisti Luca Marinelli e Alessandro Borghi. Online fioccano aritcoli e post sui chili presi dal primo (che è ingrassato ad hoc per le riprese della serie M. Il Figlio del Secolo in cui interpreterà Benito Mussolini). Si leggono titoli che, se Luca fosse stata "Marinella", avrebbero sollevato più di un'interrogazione parlamentare. Lui, nel frattempo, se ne sta intabarrato sotto al suo berretto con l'aria di chi sarebbe stato di gran meglio a Berlino (dove risiede, da anni, insieme la compagna). Ovverosia al minimo della distanza sindacale da tutto questo ferale provincialismo. Lo stesso provincialismo per cui, probabilmente, Luca Guadagnino non viene nemmeno preso in considerazione. Eh no, c'è da piazzare in nomination Il Pataffio.
Carlo Conti sfrutta l'occasione per ricordare "l'apputamento di venerdì sera con I Migliori Anni" perché i film non sono canzoni disco-dance di quando lui era giovane e faceva il dj di belle speranze, per cui tutto molto bello ma anche chissenefrega. Come previsto, vince quasi ogni cosa (meritatamente) Esterno Notte di Marco Bellocchio. Che è un lungometraggio di cinque ore, ognuna delle quali dedicate alla prospettiva di un personaggio sul caso Moro. Quindi, in buona sostanza, una serie tv. Non che sia un grosso problema: Michele Placido ritira il premio alla carriera (sì, ne sono piovuti il giusto) dicendo che i suoi figli al cinema non ci vanno più, preferiscono lo streaming, le serie tv. Appunto. Particolare croccante: quando Conti lo chiama sul palco, il Maestro si desta da un evidente pisolino e raggiunge il palco come se stesse ancora camminando in un incubo. Di cui, però, il mattino dopo si ricorderà solo Twitter.
L'apice della mestizia è il continuo refrain "Cinema Revolution" che scudiscia la kermesse dall'inizio alla fine: questa estate i biglietti costeranno tre euro e cinquanta. Il resto, lo spenderemo in spray anti-zanzare. Perché il grande schermo è bello, sì, ma solo se a prezzo ridotto. "Magari un giorno i miei figli vedranno pure il Caravaggio che ho fatto", auspica Placido, mentre il suo capolavoro, con protagonista Riccardo Scamarcio nel ruolo di un improbaile Michelangelo Merisi, viene premiato con un David alla parrucchiera.
Il cinema italiano, anche nelle annate meno mainstream in cui sarebbe d'uopo la macro-categoria "Chi l'ha visto?" con pressoché tutti i titoli a darsi vera battaglia, merita più di questa veglia funebre tenuta insieme a pernacchie e vuoti di senso. Perché è vivo, interessante e con attori di primo livello da Fabrizio Gifuni, meritatamente Miglior Attore Protagonista, a Pierfrancesco Favino, fino ai bromantici Borghi-Marinelli, alla stessa "esordiente" Emanuela Fanelli, a Jasmine Trinca, a Barbara Ronchi, a Margherita Buy e a tutte le non "mogli di" che ancora ci provano a essere credibili. Riuscendoci pure, per quanto nell'indifferenza generale. La celebrazione dei David di Donatello non dovrebbe risultare come un contentino condonato a Piera De Tassis una volta l'anno, ma avere l'allure che nel tempo è riuscito a guadagnarsi l'Eurovision o almeno quello della Finale di Amici di Maria De Filippi. Non è così. E siamo alla 68esima edizione. Scusi, chi ha fatto David?