Librerie avvisate: il 10 maggio rischiano l’assalto da parte dei mitici giovani, ammaliati via social da Alessandro Benetton seduttore in copertina della sua autobiografia, indubbiamente indispensabile, dal titolo balistico “La traiettoria” (Mondadori). Un’uscita editoriale annunciata sul suo Instagram, dove il dialogo con i giovani è fruttifero e costante, e per buona misura pure nella cover story del numero di stamane di 7, magazine del Corriere della Sera: sguardo laterale verso l’orizzonte, camicia bianca semplice e strillo perentorio per far capire subito dove si vuole andare a parare: “Un errore i silenzi sul ponte di Genova”. L’intervistatore, Daniele Manca, lo pressa subito: “Nascere con un cognome così…”. Già, con tutti quei soldi da ereditare: quando si dice la sfiga. Ma il titolo interno avrebbe dovuto rasserenare anche il lettore più sospettoso: “Confesso che ho detto no”. A cosa? Non al cognome (è solo di pochi giorni fa la sentenza della Cassazione sulla possibilità di affibbiare ai figli quello della madre, peccato). Alla cassaforte di famiglia, allora, la Edizione Holding? Neanche: da metà di gennaio ne è il presidente. Tenetevi forte: Alessandro ha avuto il coraggio di "dire tanti no" per "far qualcosa di mio", tipo fondare una società tutta sua, il fondo di private equity 21 Invest, nel 1992, quando aveva 28 anni. Fermate in strada un 28enne qualunque e chiedetegli se anche lui non ha sentito la spinta all’indipendenza creando un gestore, ristrutturatore e rivenditore di aziende (questo è l’equity) e vedrete che senz’altro vi risponderà “ma certo, anch’io”.
Ad ogni modo, questi primi 58 anni andavano celebrati con un libro: finalmente Alessandro è diventato adulto. La gestazione è stata lunga: ben otto anni fa gli è venuta l’idea ispirato dai "temi che avevo scritto a scuola a 10 anni", trovandoli "attuali". Sì, insomma, aggiunge: "mi ci rispecchiavo". Che bello, restar sempre bambini. E invece no: per fortuna, nella sua vita fra ville a Ponzano e fatiche da rampollo (“non è stata una passeggiata”), si è beccato una bella razione di educative sberle dalla mamma. Quante ne ha prese. Il primo “ceffone” a sette anni: "sentivo dilagare in me la vergogna di essere ricco", e così a scuola, dove tu guarda c'erano figli di contadini, operai, impiegati, era costretto a farsi dare un po’ delle succulente merendine dai compagni, dato che nella sua cartella non ce ne erano mai. La maestra, anziché commuoversi di fronte a quel povero ricco, spifferò i tentativi di cibarsi alla madre. Questa, severissima, bam!, lo punì sbattendogli letteralmente in faccia la lezione per antonomasia: “bisogna uscire dalla comfort zone”.
Porca di una miseria se è vero. Tutta quella confortevolezza aveva un pericoloso doppio fondo: l’ingombrante “ombra di un gigante”, il padre Luciano, fondatore della dinastia. Anzi il “Signor Luciano”, molto più di un papà visto che "metteva il lavoro davanti a tutto", e per il quale "la sfera affettiva ha sempre dovuto per forza di cose convivere con quella pubblica". Si evince che il notoriamente parco di parole Benetton senior (“el xe muto”, ricordava con ironia veneta Sergio Saviane, giornalista che nonostante gli fosse amico di tavola e osteria non si fece problemi a ritagliargli addosso un pamphlet biografico al curaro, “Il miliardario”, consigliatissimo) non deve essere stato un padre tutto pucci pucci e birignao. Un figlio ci soffre.
Imperativo allora diviene “dissentire dalle tue figure guida”, benché comunque il mestiere paterno, quel suo taciturno padre lo ha pur svolto: per lui “era importante”, nei riguardi della prole, “darci un’etica”, insegnando che “bisogna arrangiarsi nella vita”. Figuratevi che una notte, inaspettatamente (“addirittura”, sottolinea perfido l’intervistatore) il Signor Luciano lo tira giù dal letto, lui Alessandro ancora bimbo ignaro del mondo, per assistere a un “fatto storico”. Era il 20 luglio 1969, data del primo allunaggio della Storia. Roba che neanche al militare. Anche la madre, in ogni caso, è un tipo interessante: Alessandro, core de mamma, fa sapere a noi che non vedevamo l’ora di esserne edotti, che pure lei ha le sue “contraddizioni”. Ma mica normali: “luminosissime”. "Pensi, è una pilota spericolata”: un giorno si è perfino presa una multa per eccesso di velocità. Cose da non credere.
Un’esistenza, la traversata nel deserto della ricchezza del tormentato Alessandro, che definire fuori dalla norma è poco. Sentite questa e strabuzzate gli occhi: è stato perfino bocciato. Ebbene sì, "c'è stato anche questo nella mia vita". Era "un adolescente un po' ribelle", "in fondo", ma proprio in fondo, "come molti". Ribellioni di che tipo?, si domanderà qualcuno. Tipo, per esempio, "truccare e far impennare i motorini"; oppure, questa davvero destabilizzante per l'ordine costituito, "la scoperta delle sale da biliardo". Non pago, altra rivelazione-choc: i "rudimenti della leadership" e i "trucchi" nella sua "cassetta degli attrezzi di comunicazione e marketing" li ha appresi in gioventù "stando all'aperto" e "omettendo dalla conversazione il mio cognome". Immaginiamo la scena. “Piacere, Tal dei Tali”. “Piacere, Alessandro”. “Alessandro e… di cognome?”. Silenzio. Dicesi marketing, ragazzi, cosa volete capirne voi?
Tuttavia, qualche riga più in là, la precisazione solo apparentemente contraddittoria, che la logica va resa marketing: “non mi sono mai vergognato del mio cognome”. Forse, ma forse eh, un sussultino di vergogna lo ha provato il 14 agosto 2018, quando 43 persone che stavano passando sopra il ponte Morandi a Genova sono morte schiantandosi per la rottura dei cavi, la cui sicurezza avrebbe dovuto venir assicurata innanzitutto da Autostrade, nella quale i Benetton erano soci di primo piano. Che questo continuo battere su tardive, tardivissime scuse sia strategia da suddetto marketing da parte del neo-numero uno del gruppo di famiglia? Un torvo malpensante potrebbe ipotizzarlo. Già a gennaio il nostro aveva confezionato un video sui social in cui sosteneva, con tempismo, cioè a soli tre anni e mezzo dalla tragedia, che "avremmo dovuto subito chiedere scusa", nonostante nel cda di Atlantia sedesse un solo Benetton ed Edizione ne detenesse il 30%. Chissà, probabilmente l’opera letteraria di oggi serve a questo: insistere nella contrizione. "No", quando mai, replica Alessandro. Ha cominciato a scriverlo e lo ha ultimato "molto prima". Che, con i suoi cugini, "si è trattato di ritrovarsi sui valori dei nostri padri".
Ecco, i valori. Inclusi quelli azionari: sarà certamente una coincidenza, ma proprio ieri Atlantia, come ci informa il Sole 24 Ore, ha “perfezionato il closing dell’operazione di cessione della partecipazione detenuta in Autostrade per l’Italia (pari all’88,06% del capitale e dei diritti di voto) a favore del Consorzio formato da Cdp Equity (51%), Blackstone Infrastructure Partners (24,5%) e Macquarie Asset Management (24,5%)”. Blackstone è il più grande private equity planetario. Cdp è la Cassa Depositi e Prestiti, pubblica. In pratica i Benetton escono da Autostrade, e senza troppi patemi d’animo. Contemporaneamente, in questi mesi hanno lanciato l’Opa per assumere il controllo, come si dice, totalitario (sempre assieme agli amici di Blackstone), di Atlantia. Cinque mesi fa, dopo le prime “scuse”, la presidente del Comitato in "Ricordo vittime del Ponte Morandi", Egle Possetti, dichiarò che “è come assistere ad un cambio di vesti, a un’operazione di pulizia. Vorremmo toccare con mano se lo Stato vuole far qualcosa per le vittime di stragi come questa e se questi azionisti hanno veramente intenzione di purificarsi o vogliono solo cambiare il vestito senza prima lavarsi”.
Una decina d’anni or sono, dopo qualche momento di esitazione, Alessandro Benetton accettava dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’onore del Cavalierato del Lavoro: pensava di “non aver fatto abbastanza”, rivela oggi, tuttavia accettò, poiché "anche la falsa umiltà non mi piace". Neanche a noi.