I “nuovi Agnelli”. Padroni di tutto. E intoccabili. Chi sono i Benetton? Quali sono i metodi, le relazioni, le complicità che hanno consentito alla famiglia di Treviso di diventare così ricca e potente, in grado di dettare condizioni ai governi anche dopo il crollo del ponte Morandi che ha causato 43 morti? Con documenti ufficiali, testimonianze, tutte fonti non smentite, il libro “La sacra famiglia” (Chiarelettere) del giornalista del Sole 24Ore Gianni Dragoni racconta come, partendo dai maglioni colorati, i Benetton siano riusciti a costruire un impero che comprende autogrill, autostrade, aeroporti, stazioni ferroviarie, immense aziende agricole da Maccarese alla Patagonia, immobili in tredici paesi del mondo, pacchetti azionari nei presidi strategici della finanza italiana, come Mediobanca e Assicurazioni Generali, e a diventare soci importanti di Telecom e Alitalia, nonché azionisti dei principali gruppi editoriali, Rcs che controlla “Corriere della Sera” e “La Gazzetta dello Sport”, “Il Sole 24 Ore”, Caltagirone Editore con un corredo di giornali che spazia da “Il Messaggero” a “Il Mattino”. Ecco come è nato questo enorme impero, come si è sviluppato e grazie a chi. La storia dei Benetton è la fotografia del capitalismo relazionale italiano, di come interessi privati riescano a imporsi sugli interessi e il bene della collettività fino al punto da minare la sicurezza di tutti noi cittadini. In vista dell’uscita del volume, il quotidiano Domani ha pubblicato uno stralcio in cui viene spiegato quanti profitti ha ottenuto Autostrade dopo la privatizzazione e quanti soldi sono stati distribuiti agli azionisti con i dividendi: “Come se un bar cambiasse gestione e il nuovo proprietario, aprendo la cassa, trovasse l’incasso realizzato l’anno precedente e se lo mettesse in tasca”. E appena arrivano i privati aumentano in modo vertiginoso le somme distribuite ai soci. Con il bilancio del 1999 c’è un aumento del 34,8 per cento delle cedole rispetto ai 140,5 milioni pagati l’anno precedente. Il dividendo aumenta quasi sempre negli anni successivi. È un fenomeno simile alla spremitura del limone, cioè gli azionisti estraggono quasi tutte le risorse della società.
L’estratto del libro di Gianni Dragoni “La sacra famiglia”
Prendiamo i bilanci e facciamo alcuni calcoli per rispondere alla domanda: quanti profitti ha ottenuto Autostrade dopo la privatizzazione e quanti soldi sono stati distribuiti agli azionisti con i dividendi? Dividiamo il periodo dal 2000 a oggi in due parti. Lo spartiacque è il 2003, l’anno in cui viene fatta una trasformazione che porta a sdoppiare la vecchia società Autostrade. Da luglio ci sono due livelli, in basso c’è la concessionaria Aspi e in alto c’è la nuova holding quotata, Autostrade, che cambia nome in Atlantia il 15 maggio 2007. Il limone I bilanci dicono che tra il 2000 e il febbraio del 2003 la “vecchia” Autostrade realizza utili netti pari a 1,38 miliardi di euro. Nel periodo successivo, fino al 2018, la “nuova” Aspi realizza utili netti pari a 10,37 miliardi. In totale dal 2000 al 2018 gli utili netti della concessionaria autostradale sono 11,75 miliardi. Nei due anni successivi, 2019 e 2020, il bilancio di Aspi è in perdita, -689 milioni a livello consolidato. Vediamo quanti sono i dividendi distribuiti ai soci, in ogni forma. Il contratto di privatizzazione per cedere il 30 per cento di Autostrade a Schemaventotto viene firmato il 26 ottobre 1999, ma il trasferimento delle azioni avviene solo il 9 marzo 2000. Attenzione a quanto accade dopo una settimana. Il consiglio approva il bilancio 1999 e propone di distribuire ai soci un dividendo totale di 189,4 milioni, su un utile consolidato di 298 milioni. L’assemblea dei soci approva la proposta il 19 aprile. Così Schemaventotto, che ha il 30 per cento di Autostrade incassa un dividendo di 56,8 milioni. Di questa somma spetta ai Benetton il 60 per cento, cioè 34,1 milioni. Questo è un vantaggio riservato dal contratto di privatizzazione: appena entrano in Autostrade i Benetton prelevano subito una bella fetta degli utili del 1999, benché siano il risultato di un anno in cui la società è stata gestita dal vecchio azionista pubblico, l’Iri, che avrebbe dovuto tenerli per sé. È come se un bar cambiasse gestione e il nuovo proprietario, aprendo la cassa, trovasse l’incasso realizzato l’anno precedente e se lo mettesse in tasca. Appena arrivano, i privati aumentano le somme distribuite ai soci. Con il bilancio del 1999 c’è un aumento del 34,8 per cento delle cedole rispetto ai 140,5 milioni pagati l’anno precedente. Il dividendo aumenta quasi sempre negli anni successivi. È un fenomeno simile alla spremitura del limone, cioè gli azionisti estraggono quasi tutte le risorse della società. O anche di più. A essere spremuti sono anche automobilisti e camionisti, costretti a pagare pedaggi sempre più cari. Dividendi da privatizzazione Con gli utili dei bilanci dal 1999 al 2002 Autostrade distribuisce ai soci 1,04 miliardi di dividendi. Nel luglio del 2003 nasce Aspi, pertanto da quel momento in poi consideriamo i dividendi distribuiti da Aspi, che con i bilanci dal 2003 fino al 2018 distribuisce ai soci 9,28 miliardi, inclusa la cedola straordinaria di 1,1 miliardi pagata nel 2017. Questi soldi vanno per il 99 per cento ad Autostrade SpaAtlantia. Solo a partire dal bilancio 2017 una porzione dei profitti va ai nuovi soci tedeschi e cinesi, che incassano 98,9 milioni totali. Nessun dividendo viene distribuito con i bilanci 2019 e 2020, chiuso in perdita. In totale dalla privatizzazione a oggi la vecchia Autostrade privatizzata e poi Aspi hanno distribuito 10,32 miliardi tra dividendi e riserve per cassa, con erogazione di risorse finanziarie, pari all’88 per cento degli utili netti dichiarati nei bilanci dal 2000 fino al 2018. Inoltre, all’inizio del 2017 Aspi trasferisce ad Atlantia come dividendo straordinario in natura le partecipazioni nelle autostrade estere, Autostrade dell’Atlantico e Autostrade Indian Infrastructure Development, a valori contabili, pari a 755 milioni. Con questa assegnazione il valore dei dividendi e delle riserve distribuiti da Autostrade e Aspi sale a 11,075 miliardi, pari al 94 per cento degli utili netti del periodo. La vecchia Autostrade e la nuova holding nata a luglio del 2003, quella che nel maggio del 2007 diventa Atlantia, distribuiscono ai soci 9,28 miliardi nell’intero periodo che va dal bilancio 1999 al bilancio 2018. Nel perimetro di Atlantia entrano gradualmente altre attività, in particolare AdR, ma sovrapponendo queste cifre si può affermare che è con la torta degli utili distribuiti dalla concessionaria autostradale che Autostrade holding e Atlantia pagano a loro volta i dividendi ai soci, tra i quali la fetta maggiore è dei Benetton. Che succede dopo il 2007 A eccezione del prelievo dalla riserva sovrapprezzo azioni fatto nel 2003 e 2004, l’impennata dei dividendi si verifica a partire dalle cedole pagate da Aspi nel 2007, l’anno successivo al tentativo dei Benetton di cedere Autostrade ad Abertis. In base ai dividendi desumibili dal rendiconto finanziario del bilancio, quelli pagati per cassa nell’anno, nel 2007 Aspi versa al socio unico, Atlantia, 544 milioni, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Da allora il monte dividendi è sempre superiore al mezzo miliardo di euro all’anno, tranne nel 2009 (485 milioni). Nel 2013 c’è il balzo a 693,7 milioni, nel 2016 vengono pagati 775 milioni di dividendi. Questa somma viene superata l’anno successivo, quando Aspi distribuisce ad Atlantia dividendi e riserve per un totale di 1,865 miliardi, a cui si aggiunge il dividendo in natura di 755 milioni pagato con l’assegnazione delle partecipazioni nelle autostrade estere. Una bella spremuta alla cassa pochi mesi prima che il capitale di Aspi venga aperto ai soci tedeschi e cinesi. Questo vortice di denaro viene pompato nelle casse di Atlantia l’anno prima che crolli il ponte di Genova, mentre al contrario le spese per la manutenzione sono in discesa. E nel 2018 precipitano al minimo degli ultimi vent’anni; in rapporto ai pedaggi netti consolidati di Aspi, sono pari al 12,5 per cento (398 milioni di euro), secondo i calcoli fatti dall’area studi Mediobanca nel 2021. Le spese di «manutenzione per la sicurezza e viabilità», stando a quest’analisi, erano più alte negli ultimi due anni prima della privatizzazione, il 14,6 per cento dei pedaggi netti nel 1998 e il 17,6 per cento nel 1999, pur essendo la rete più giovane di vent’anni. A partire dal 2004 (18,4 per cento) salgono fino al 2007 (24,5 per cento), dopodiché le spese di manutenzione diminuiscono gradualmente. Dal 2011 (17,5 per cento) la frenata è più marcata. In un’altra analisi, pubblicata su Il Sole 24 Ore nel gennaio del 2020, con dati elaborati sempre da R&S Mediobanca, si fa notare che dal 2009 al 2018 c’è un forte incremento dei dividendi, dei ricavi e dei pedaggi, ma diminuiscono investimenti e spese per manutenzione e sicurezza. «Gli investimenti di Autostrade per l’Italia sono scesi negli ultimi dieci anni: se nel 2009 erano stati pari a 1114 milioni, nel 2018 sono stati pari a 508 milioni. Il dato è clamoroso. Ma per questa frenata, in effetti, una spiegazione c’è: questi sono investimenti nello sviluppo della rete autostradale [...] che vanno a calare man mano che le opere vengono realizzate». «Il capitolo dolente resta però quello della manutenzione» sottolinea il quotidiano economico. «I soldi spesi per la manutenzione e la sicurezza [...] erano 464 milioni nel 2009, sono scesi dopo tre anni sotto la soglia dei 400 milioni per toccare il punto più basso nel 2018 a 363 milioni».