La maggior parte dei missili lanciati dall'Iran viene schermata dall'Iron Dome. Qualcuno riesce comunque a penetrare la solida cupola difensiva di Israele e colpisce quel che capita provocando panico, paura, rabbia, preoccupazione, morte e distruzione. Lo stesso vale ovviamente a parti invertite: i blitz chirurgici di Tel Aviv hanno inflitto ingenti danni a Teheran, decapitato alcuni importanti vertici militari iraniani e creato un senso di estrema insicurezza tra i leader del Paese. Ma chi è che ha innescato questo disastro? Entriamo in un pantano di accuse incrociate, di discorsi sofisticati sulla necessità di salvaguardare la “sicurezza nazionale”, dell'utilità strategica di colpire l'altro prima che possa colpire lui per primo, nonché dell'urgenza di liquidare complicate vicende storiche. Il leader israeliano Benjamin Netanyahu punta alla decapitazione della Guida Suprema Ali Khamenei, vuole un regime change e ha persino ignorato l'altolà degli Stati Uniti e dell'amico Donald Trump. Il messaggio di Bibi è chiaro: andremo fino in fondo, non solo a Gaza, ma anche in Siria, in Libano e in Yemen, e in Iran. Gli Usa non è che avessero questa gran voglia di assistere all'ennesimo stravolgimento del Medio Oriente, proprio ora che Trump intendeva concentrarsi sul Make America Great Again e sulla Cina, limitando sprechi di denaro (i missili e i jet per fare le guerre costano parecchi soldi) e complesse missioni all'estero; sono però stati spinti nell'arena dall'alleato israeliano e adesso devono “giocare” in una regione pur sempre rilevante per l'agenda di ogni grande potenza che si rispetti. Chi, invece, ha fatto ben poco per frenare Netanyahu risponde al mone di Francia ma soprattutto Regno Unito.

Keir Starmer, novello “nuovo Churchill” della politica, non aspettava l'ora di gettare nella mischia il Regno Unito: questione di proiezione di potenza, di ambizione mondiale, di far vedere a tutti che Londra è ancora in prima fila nel decidere le sorti di alcune delle aree più calde del pianeta. Questione anche economica e geopolitica, perché il Medio Oriente è senza padrone e chiunque pianterà per primo la bandierina in quei deserti otterrà, forse, vantaggi decisivi in campo energetico e commerciale. Proprio in Medio Oriente Sir Starmer ha inviato aerei militari, tra cui i temibili Typhoon, ufficialmente “per fornire supporto di emergenza in tutta la regione”, difendere le basi Uk in loco e tentare una de-escalation, ufficiosamente per spalleggiare Israele in caso di necessità, come ha scritto la ben più esplicita e realista stampa british: “Britain on a war footing as more Iranian missiles hit Israel”. Londra è da tempo in prima linea in Medio Oriente: qualche mese fa aveva difeso Israele contro una pioggia di missili iraniani e colpito gli Houthi in Yemen – di fatto amici dell'Iran - con Typhoon e bombe di precisione Paveway IV. È qui che si collegano più dossier: Israele che vuole neutralizzare ogni nemico nei paraggi; Londra e Parigi che ambiscono a rendere sicuro lo Stretto di Hormutz e il Mar Rosso da Teheran e gli Houthi; Starmer, spalleggiato dalla Francia di Emmanuel Macron, che sogna un'Uk imperiale e imperialista.

La posta in palio per chi sarà in grado di controllare il Medio Oriente? Ricchissima. Partiamo dallo Stretto di Hormuz, uno dei passaggi marittimi più strategici e contesi del mondo. È un canale largo circa 33 chilometri, situato tra l'Iran a nord e l'Oman/Emirati Arabi Uniti a sud, che collega il Golfo Persico al Golfo di Oman e quindi all'Oceano Indiano. Da qui transita ogni giorno il 20% del petrolio mondiale (più di 20 milioni di barili), enormi volumi di gas naturale liquefatto (GNL) e ingenti esportazioni di merci da numerosi Paesi asiatici. Negli ultimi anni (soprattutto tra il 2019 e il 2024), ci sono stati diversi attacchi a navi commerciali, spesso attribuiti a milizie iraniane o attori non statali sostenuti da Teheran. Bingo: silenziare gli Ayatollah consentirebbe alle potenze occidentali di dominare la scena e controllare l'intera arena mediorientale (anche a scapito di altri rivali, su tutti la Cina). Londra, dopo essere stata eclissata dagli Stati Uniti – una creazione britannica – ha fame di gloria e ha presumibilmente fiutato l'occasione giusta per recuperare il terreno perduto. I piani del “nuovo Churchill” Starmer dipenderanno però da Trump: se il tycoon continuerà a ignorare il Medio Oriente, limitandosi a difendere Israele in maniera indiretta, allora il Regno Unito avrà un discreto margine d'azione per conquistare la prateria locale. In caso contrario c'è il rischio di assistere a un'escalation fine a se stessa. Senza vincitori né vinti.

