Tutto un casino. Colpita la residenza di Khamenei, Teheran reagisce: morti e feriti. E chissà quanto ancora dovremo leggere dei fatti dal mondo sulla stampa internazionale. Il conflitto in escalation tra Israele e Iran però, oltre a generare preoccupazione mondiale per la presenza di armi atomiche, dolore tra le case dei civili, sta provocando anche importanti effetti economici negativi sui mercati internazionali. Di cosa stiamo parlando? Di come i mercati finanziari hanno reagito agli attacchi israeliani, con effetti diretti sui prezzi dell'energia che potrebbero tradursi in rincari significativi per famiglie e imprese. Come riporta il Corriere della Sera, pare che “l’attacco di Israele all'Iran abbia mandato in fumo 185 miliardi di euro in termini di valore di capitalizzazione lasciato sul campo in una sola seduta dai principali listini di Borsa del Vecchio Continente”. I titoli calano dunque e il prezzo del petrolio e del gas naturale, specie in Europa, cresce. Brent e Wti salgono del (circa) 6%. Al centro della questione, chiaramente, i numeri dell'Iran. Numeri che nel settore petrolifero contano tantissimo: bisogna pensare che Teheran produce circa 3,3 milioni di barili di greggio ed esporta nell'ordine di 1,7 milioni di barili al giorno. Per questo motivo l'eventuale esclusione di questa offerta dalle esportazioni mondiali “eliminerebbe il surplus petrolifero inizialmente previsto per il quarto trimestre di quest'anno e spingerebbe i prezzi verso gli 80 dollari al barile” (Il Messagero). Nello scenario cupissimo che stiamo intravedendo c’è un fatto. Un (altro) incubo che sarebbe bene non si realizzasse. Stiamo parlando di un eventuale blocco dello stretto di Hormuz da parte dell'Iran. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma, aveva spiegato a fine 2024 non solo che per Hormuz passano 15 milioni barili di petrolio al giorno, ma anche che “l’escalation è improbabile e il blocco totale del corridoio è una minaccia che esiste dal 1979, ma non sono scenari impossibili. Farebbero schizzare gli indici del greggio, in primis il Brent, oltre i 200 dollari al barile”. Sempre sul giornale, pare che per quanto riguarda il possibile effetto in Italia, l'esperto avesse aggiunto che “potrebbe essere una fiammata sulla benzina fino a 3 euro al litro (dagli attuali 1,7 euro)”. Dunque possibili rincari in bolletta. E se venissero colpiti anche i giacimenti di gas, soprattutto in Israele (esportatore netto dal 2020)? La situazione non sarebbe certo delle migliori anche in termini di rincari. Ancora l'esperto, tempo fa, aveva dichiarato che “il metano in Europa tornerebbe a salire a oltre 200 euro al megawattora e ci sarebbe un effetto a catena sul prezzo della luce elettrica: il costo in bolletta potrebbe raddoppiare”. Va però precisata una cosa, sui prezzi attuali. Ossia che nonostante l'impennata, il prezzo del petrolio stamattina è schizzato sì, ma per il momento non sembra essere un dato troppo allarmante. O meglio, come fa notare Federico Fubini nel suo articolo sul Corriere, sarebbe “sotto agli 82 dollari a barile di un anno fa - dunque al momento non contribuisce davvero a un'impennata del tasso di inflazione annuale”. Fubini: “Le guerre commerciali innescate da Donald Trump infatti avevano depresso il prezzo del petrolio almeno dal 'Liberation Day' di inizio aprile, con l’annuncio dei dazi 'reciproci'”. Che sia per questo che non si vedano ora veri e propri crolli? “Ftse Mib di Milano è giù dell’1,75% a metà giornata, il Dax di Francoforte perde poco di meno, mentre i futures dello S&P500 a Wall Street indicano a metà giornata in Europa una scivolata verso il basso di poco più dell’1%”.

Tra scenari orribili, drammi umanitari e chiari danni economici, sembrerebbe che nel brevissimo termine, possa esserci comunque qualcuno a trarre vantaggio dalla situazione. “Il primo attore che si avvantaggia nel breve è la Russia: probabilmente ora Trump sarà ancora più contrario a rafforzare le sanzioni contro il petrolio di Mosca”, fa sapere Fubini. Ma attenzione, non sarebbe l'unico. Anche “l’industria dello 'shale oil' texana e statunitense in genere, che gode ora di prezzi ai quali diventa conveniente produrre”. In questo clima di totale incertezza e disperazione, una cosa però sembra piuttosto limpida. Se il prezzo internazionale del gas è cresciuto dell’1,5%, perché alimentato soprattutto dalla produzione americana (mentre il prezzo del gas naturale in Europa stamattina è salito del 5,2%) i beni rifugio si stanno rafforzando. L'oro avrebbe guadagnato l'1,1%, avvicinandosi ai massimi storici, mentre il dollaro si sarebbe rafforzato dello 0,6%. Fa riflettere anche il fatto che i titoli di Stato americani stiano registrando un lieve calo... Tutto dipende da quello che succederà nelle prossime ore.

