Il 15 gennaio in Italia si sono tenute diverse manifestazioni contro le decisioni del governo sulla gestione della pandemia. Manifestazioni organizzate a Napoli, Milano, Roma. Il ritrovo più importante, in grado da attirare persone da tutta Italia, era quello nella capitale, motivo per cui abbiamo deciso di prendervi parte. Il servizio però, andato anche in onda a Non è l’Arena di Massimo Giletti su La7, prevedeva di fare tutto in incognito: entrare nella corriera con i no vax, vivere la trasferta e raccontare tutto. Un totale di 16 ore di viaggio da Venezia a Roma e ritorno da infiltrati senza mascherina, a stretto contatto con i manifestanti. Immorale e sbagliato da una parte, al contempo però necessario per capire fino in fondo motivazioni e pensieri del popolo no vax.
La prima cosa che impari è che Telegram è il loro più grande mezzo di comunicazione: ci sono centinaia di canali attivissimi, notizie che girano senza soluzione di continuità, informazioni organizzative. Tra queste trovo un indirizzo e-mail per riservarmi un posto nella corriera. Mando la richiesta da una mail fasulla, trovo un contatto, chiamo. Il posto c’è, vengo inserito in un gruppo, stavolta WhatsApp, per organizzare la trasferta. A prendersi cura di tutto è Flavia, scrupolosa e attenta come una mamma: ha organizzato due diverse corriere, preso i nominativi, organizzato più fermate a seconda delle necessità di ognuno. Ad ogni tappa ha assegnato un referente. Sembra una gita delle scuole medie, fatta eccezione per qualche messaggio vocale in cui Flavia ricorda a tutti di portarsi un cambio pulito (“A Trieste dopo che ci hanno sparato con l’idrante avevo asciutte solo le mutande”). Mi chiedo come abbia fatto a trovare due corriere che non richiedono mascherine a bordo, Green Pass, autocertificazioni. Queste le abbiamo compilate ma non sono mai state richieste.
Il giorno della manifestazione partiamo di casa prima delle 5, una coppia ci offre un passaggio fino al punto di ritrovo della corriera, sono molto gentili. Una volta arrivati capiamo, però, di essere tra i pochi estranei in un gruppo di vecchi amici reduci da altre manifestazioni simili. Il rischio di essere scoperti è altissimo. Flavia è bravissima, fa il conto delle persone e raccoglie la (piccola) quota di ognuno. C’è chi ha portato una bandiera del veneto, qualcuno ha uno striscione, altri un cuore rosso adesivato sulla giacca.
La prima parte del viaggio passa in fretta, molti dormono, quasi tutti senza mascherina. Ci viene detto di tenere comunque una Ffp2 a portata in caso di un controllo da parte delle forza dell’ordine. L’età media è piuttosto alta, noi siamo tra i più giovani: molti si informano con video su Facebook, le notizie girano su banner dai font discutibili e comincio a pensare che stiamo andando ad una manifestazione organizzata da cinquantenni annebbiati dai social. È una puntata di Black Mirror sulle notizie false, un Don’t Look Up al rovescio (come suggeriva a La Zanzara Cristiano Malacrino). Noi abbiamo paura di prendere il covid, di essere scoperti e di non portare a casa il servizio.
La regola dei trenta secondi (di verità)
Mentre si fa giorno la situazione comincia a sciogliersi e sentiamo i primi dialoghi, scambiamo le prime interazioni. Sono tutti no vax, e va detto: ci sono moltissime persone contrarie esclusivamente al Green Pass, tuttravia non è questo il caso. Quasi tutte le discussioni partono allo stesso modo, ovvero in maniera completamente lecita e spontanea. Cose, insomma, di cui discutiamo tutti quotidianamente. Dubbi legittimi sul caos governativo, sul costo di tamponi e mascherine, sulla discriminazione di chi non si è vaccinato. Tutto legittimo. Poi, però, nel giro di trenta secondi si scivola nel delirio. Alcune frasi riportate testualmente, dialetto escluso: “I giornalisti sanno tutto ma sono pagati e obbligati dal sistema per stare zitti”; “Le scie chimiche buttano grafene per finire il lavoro del virus”; “Le bare viste a Bergamo sono una farsa”; “Il Governo vuole mandare a morire la gente, non capisco però perché solo noi (no vax, ndr.)”; “Mio figlio è vergine di naso, non l’hanno mai tamponato”; “Ci si cura con la vitamina C, prendila finché non ti viene la dissenteria perché quello è il dosaggio massimo”; “A Trieste i poliziotti erano automi drogati che non parlano la nostra lingua”. La regola dei trenta secondi di verità si applica a quasi tutti, che dopo un preambolo di buon senso finiscono in un vortice di follia.
Chi sono i no vax?
Politicamente molti sono di estrema destra, qualcuno è un ex 5 Stelle deluso, qualcuno ancora è “dei Verdi”. Ironicamente si scambiano informazioni deliranti (omicidi, piani segreti, dietrologie) senza mai dubitare della parola altrui. Viene da chiedersi perché alcune persone siano così predisposte a credere a tutto quello che gli viene detto. La mia teoria è la noia: la vita dopo una certa età rischia di essere ripetitiva e povera di stimoli, così si va a cercare qualcosa per renderla più interessante. Cose che sai solo tu e gli altri no, cose che ti restituiscono la sensazione di essere un eletto dentro al mondo sotterraneo della verità, un fight club dell’informazione. In breve diventa una droga come tante: più cose sai, più sono assurde e più ne trai piacere. E più passi il tempo in questo flusso di informazioni distorte, più hai bisogno di altre bugie. Il che spiegherebbe anche il clima da gita delle medie per tutto il viaggio: c’è chi fa la battuta “gruppo vacanze Piemonte” e chi parla del pranzo al sacco, in fondo sono persone che cercano di passare un sabato in compagnia. Questo però non smuoverebbe mai una persona a intraprendere (pagando) un viaggio in corriera di 16 ore per sedersi in mezzo ad una piazza un intero pomeriggio. Ad alimentare la macchina dei no vax sono le misure sempre più stringenti da parte del Governo: si sentono braccati e importanti, soffocati dall’egemonia, reagiscono come adolescenti. Il che ci porta al grande, unico ed enorme pregio di tutti i no vax che abbiamo incontrato. I no vax hanno una grinta spaventosa. Non arretrano, non mollano mai, lottano come leoni per il loro diritto a non farsi inoculare il vaccino (punturare, dicono) come se da questo dipendesse la loro libertà. Qualcuno è più idealista, crede che i diritti fondamentali dell’essere umano siano violati dall’autorità costituita. Il Green Pass però non è un attacco alla libertà e alla privacy neanche, almeno finché ci si continua a scambiare idee da un dispositivo tracciato, geolocalizzato e orientato sugli interessi di ognuno che buona parte di queste persone fatica a gestire. Finché ci si informa su Facebook, privacy e libertà sono barzellette. Si rischia di passare per stupidi, talmente concentrati sul dettaglio da perdere di vista l’orizzonte. Ed è proprio quello che, in buona sostanza, succede a molte di queste persone. Si chiama Rasoio di Hanlon ed è il principio che ci ricorda di non supporre mai che ci sia della cattiveria dove basterebbe la stupidità.
Dopo che il servizio è andato in onda su La7 alcune di queste persone mi hanno contattato. Comprensibilmente arrabbiate e deluse, mi hanno scaricato addosso la rabbia di chi è stato tradito e, tra le altre, mi ha colpito una frase in particolare: “Come mai non hai fatto vedere la solidarietà, la condivisione e la fratellanza che c’è stata quel giorno tra tutti noi?”. Ha ragione: si vogliono bene, si aiutano anche. Ci hanno accolti e trattati con una gentilezza che negli ospedali, in farmacia e altrove è semplicemente impensabile. Non sono cattivi. E, per il bene di tutti, la cosa più saggia sarebbe ignorarli e concentrarsi invece sull’emergenza politica, economica e sanitaria del nostro paese.