I cittadini della piccola frazione di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea, in provincia di Catania, in Sicilia, ai piedi del vulcano Etna, sono ancora sconvolti per colpa del tremendo terremoto del 26 dicembre 2018, quando parte del paesino venne distrutto da una fortissima scossa, la più potente registrata in quella zona. Il sisma, di magnitudo 4.8, colpì anche altre città del circondario, costruite ai piedi del secondo vulcano più attivo d’Europa, ma nessuna registrò gli stessi catastrofici danni. Immaginate di vivere quei momenti: case sgretolate come se fossero castelli di sabbia, l’unica chiesa nel comune danneggiata, terreni e strade squarciata e deformate dalla potenza del vulcano. Purtroppo la storia di Fleri è costellata da eventi tragici legati all’attività vulcanica dell’Etna. Negli anni Ottanta un terremoto mise in ginocchio la popolazione, così come nel Settecento e nel 1360, quando la formazione di un cono del monte Rosso provocò tremende eruzioni di lava e terremoti che distrussero la città.
Il racconto di chi quella notte ha perso tutto
Camminando per le desolate vie del paese, guardando i pochi cittadini rimasti nei loro visi si nota solo rassegnazione e paura per una prossima scossa, che presto o tardi arriverà. Purtroppo, l’attività vulcanica nella zona è fortissima. L’immobilismo burocratico ha evitato per anni che iniziassero i lavori di ricostruzione di molte parti danneggiate della cittadina, solo negli ultimi mesi sembra essersi mosso qualcosa. Casualmente, sperduti per Fleri alla ricerca di qualcuno con cui parlare, incontriamo a pochi passai da quella che sembra essere una fermata dell’autobus diroccata un uomo, con il quale facciamo una chiacchierata. Dice di chiamarsi Alberto, lo troviamo seduto su una panchina, con i pantaloni sporchi, un maglione lercio e un cappellino di lana color panna. Sulle labbra ha poggiata una pipa antica, intagliata in legno. La accende con un fiammifero e ci intima di allontanarci, ma noi di MOW siamo testardi e vogliamo conoscerlo a tutti i costi. Dopo non molto l’uomo cede e inizia a parlare.
Lei vive ancora qui?
Sì, ho deciso di rimanere, se abbandoniamo tutti questo posto, morirà e io non voglio, non finché sarò vivo. Qui sono nato e ho le mie radici, non sarà un terremoto a farmi scappare.
Che ricordo ha di quel tremendo ventisei dicembre?
Eravamo a casa della mia amata sorella, sai, qua a Catania anche il 26 è festa ed eravamo tutti riuniti a mangiare, nulla di che, una classica cena natalizia. Erano le tre e dodici del mattino. Lo ricordo come fosse ieri perché avevo appena mandato gli auguri di buone feste a mio figlio che si trovava fuori Fleri per lavoro. Ero con i maschi di casa seduto al tavolo. Mia moglie e le altre ragazze dormivano da un pezzo, noi stavamo giocando a poker mentre mangiavamo lo sfincione (tipica pizza a base di pomodoro, cipolla e un po’ di pecorino) fatto dalla nonna, quando poi..
Quando poi è iniziato il terremoto?
Sì esatto - continua Alberto, asciugandosi le lacrime - è stato il momento più traumatico della mia vita. Nella cameretta c’era mia moglie che dormiva abbracciata con mia figlia, poverina non riusciva a dormire per il mal di stomaco, e nelle altre stanze tutte le altre donne di casa che riposavano.
Cosa ricorda di quella tremenda notte?
Tutto. Ricordo le urla di mia moglie, il pianto di mia figlia, mia madre che si disperava. Sono momenti che non se ne andranno mai. Non siamo nemmeno riusciti a prendere una coperta, assieme a mio padre abbiamo fatto scappare tutti per strada, dove siamo rimasti per tutta la giornata successiva per paura che potessero esserci altre scosse.
Casa sua com’era dopo la scossa?
Ha subito parecchi danni, interni ed esterni. La messa in sicurezza mi è costata una fortuna, tutti i soldi che avevo messo da parte per avere una vecchiaia serena con mia moglie. Un incubo. Sono un onesto operaio, non ho i soldi di un politico.
I suoi figli? Abitano ancora qui?
Tutti andati via. Ho avuto tremende discussioni con mia moglie, voleva lasciare Fleri, io no. Alla fine lei ha lasciato me. Si è presa i ragazzi ed è andata dai parenti in Germania, in cerca di un futuro migliore. Soltanto Salvo, il grande mi contatta e ogni mese viene a trovarmi.
A questo punto, le lacrime sono troppo forti per essere trattenute, il signor Alberto si lascia in un pianto disperato, nonostante l’aria e la tempra da uomo d’altri tempi, e si allontana. La sua ricostruzione è molto simile a quella fatta dai mass media e dai giornali locali nei giorni immediatamente successivi alla tragedia, quando il paesino venne preso d’assalto da reporter e giornalisti, mentre ancora le macerie di alcuni edifici erano riverse sulle strade.
Il paese dei “vendesi”
Camminare per il paese e vedere una quantità enorme di cartelli “vendesi” sulle finestre degli appartamenti, ormai abbandonati, lascia senza parole. La volontà di molti cittadini di andarsene da un territorio geologicamente complesso sembra essere chiara. In una via lunga cento metri o poco più i cartelli di vendita degli immobili sono oltre trenta. Uno ogni tre metri, per intenderci. “Vogliamo scappare tutti da qui - dice una ragazza, intercettata da MOW mentre usciva dal proprio appartamento -. Non possiamo più rimanere qui, se succedesse un’altra scossa sarebbe la fine”. Il ricordo per la giovane Marika è ancora doloroso, poco dopo il sisma ha perso il lavoro a causa del fallimento dell’azienda in cui lavorava. Adesso lei e il fidanzato abitano nella casa della mamma, un monolocale di trenta metri quadri, ma fra poco lo spazio non basterà più. “Andremo al nord con il mio ragazzo, magari a Milano o a Bologna - conclude la giovane, accarezzandosi la pancia - aspetto un bimbo e per lui qui non c’è futuro”.
Qualcuno Fleri vuole salvarla
Nonostante la generale condizione di degrado sociale e il fuggi fuggi generale degli abitanti, c’è ancora chi resiste e chi tenta quotidianamente di migliorare il paese. In uno dei pochissimi bar rimasti aperti a Fleri, abbiamo avuto il piacere di conoscere il titolare Roberto, che con molti sacrifici sta tentando di non chiudere la propria attività. “Qua ancora c’è speranza - inizia il barista inorgoglito - non ascoltate chi codardamente abbandona la propria terra, lasciandola morire fra le macerie. Dobbiamo impegnarci tutti per far tornare splendido e meraviglioso il nostro amato paese”. Nonostante le avversità, Fleri continua a vivere, appesa a un filo e alla volontà di chi non vuole lasciarla morire.