Follow the money, o forse ancora meglio follow the brics. Seguire il denaro e seguire il mattone: così si può capire la pervasività degli investimenti del Qatar in Italia. L’emirato del Golfo, il Paese della famiglia al-Thani, del Paris Saint-Germain e dei Fratelli Musulmani, oggi nella bufera per l’ospitalità data ai leader di Hamas, è uno dei capofila degli investimenti nel nostro Paese. E l’immobiliare è un punto chiave dell’ingresso di Doha in Italia.
Il big bang di Porta Nuova
Dici immobiliare e pensi a Milano. Col Qatar non si sbaglia. Sono di circa 5 miliardi di euro i valori complessivi tra terreni e fabbricati che assommano gli asset controllati dal fondo sovrano Qatar Investment Authority in Italia, concentrati principalmente nel capoluogo lombardo. La Qia è un colosso che ha in mano oltre 450 miliardi di dollari di asset tra partecipazioni e proprietà immobiliari ed è alimentato dal gas naturale che rappresenta la voce più strutturale del business del Qatar. Milano l’ha scoperto nel 2015, anno in cui la Qia rilevò dal costruttore Coima, il big del real estate di Manfredi Catella, il 100% del progetto immobiliare di Porta Nuova. Il quartiere centrato su Piazza Gae Aulenti dove hanno sede la Torre Unicredit, i grattacieli come Diamante e Gioia 22, il Bosco Verticale e gli altri simboli della città mondiale del dopo-Expo è stato, con l’eccezione di Palazzo Regione, rilevato dalla Qia per 2 miliardi di euro. L’affare Porta Nuova ha sicuramente segnato uno spartiacque tra la Milano di ieri e quella di oggi. Rendendo difficile capire quale sarà la Milano di domani: una città europea, una Londra sui Navigli o una città esclusiva divisa tra super-ricchi e esclusi come le metropoli dell’Estremo Oriente? Nella risposta a questa domanda lo stimolo del real estate qatarino pesa molto. Nel 2016, su Il Fatto Quotidiano, Massimo Fini raccontava la svolta antropologica e urbanistica data alla città, da lui etichettata come “la Milano disumana degli emiri del Qatar”, dai nuovi progetti: “Dal lato opposto dei grattacieli Gae Aulenti ci sono delle dignitose case popolari di quattro o cinque piani che non hanno potuto abbattere. Sono state abitate, in parte lo sono ancora, da vecchi milanesi, da immigrati di prima generazione, friulani, veneti, emiliani, e di seconda generazione quella che venne al nord all’epoca del boom economico. Tutta gente a posto. Ma la lievitazione degli affitti provocata dallo chiccosissimo quartiere dei grattacieli la sta pian piano scacciando sostituita da un ceto medio, maleducato come solo il ceto medio sa essere”
Dall'immobiliare all'hospitality
Non solo progetti finiti, ma anche sviluppo futuro nella mente degli emiri. Il Qatar bilancia i suoi investimenti puntando per il 70% sulle costruzioni finalizzate agli uffici, per il 20% sull’hospitality e per il 10% sul residenziale. E così, da un lato è stato costruito e rimesso a nuovo l’Hotel Gallia di Milano, acquistato assieme alla sede del Credit Suisse di Via Santa Margherita, dall’altro il Qatar è entrato col 40% in Coima Real Estate (Coima Res) nel 2016, per poi salire al 98% nel 2022 tramite un veicolo, Evergreen, partecipato al 97% dalla Qia e al 3% dalla stessa Coima. La società Coima Res ha chiuso il 2022 con un bilancio in rosso per la perdita di due locatari come Bnl e Sisal. Di recente, però, un immobile di Piazza San Fedele rimesso a nuovo che ospiterà la nuova sede di Bottega Veneta è stato venduto per ben 200 milioni di euro da Coima Res alla tedesca Union Investment. Fuori da Milano, Qia ha messo le mani su quattro hotel di extra-lusso che ospitano clientele facoltose e, soprattutto, kermesse che sono opportunità di business e relazioni il Gritti Palace, a Venezia; il St. Regis e l’Excelsior a Roma; il Baglioni e il Four Season a Firenze. Di ampio respiro anche lo sbarco in Sardegna, che ha preceduto di tre anni il deal su Porta Nuova: nel 2012 la Qia rilevò dalla Colony Capital per 600 milioni di euro una serie di alberghi in Costa Smeralda, per poi sviluppare l’ospedale privato Mater Olbia in asse col Policlinico Gemelli. Alla mossa si legò il fallimentare progetto del Qatar per lanciare Air Italy, compagnia aerea sorta e presto schiantatasi sulle ceneri di Meridiana.
Gli affari italiani in Qatar
Sul fronte economico, il Qatar “compra” con la sua capacità di investimento il silenzio italiano su ogni possibile ambiguità geostrategica. E in una serie di relazioni a geometria variabile, ad esempio, il Qatar è vicino alla Turchia spesso ambigua con l’Italia nel Mediterraneo. Ma anche assieme a Roma tra i primi sponsor del governo tripolino sostenuto dall’Italia in Libia. Sull’Islam radicale, la questione è più problematica, perché i Fratelli Musulmani a cui Doha dà sostegno sono attivissimi nel campo dei ribelli anti-Assad in Siria e, soprattutto, in Palestina con Hamas. Ma pecunia non olet, diceva Vespasiano, che di Medio Oriente, da titolare di una campagna in Giudea conclusa dal figlio Tito con la distruzione di Gerusalemme, evidentemente dimostrava di intendersi. Il Qatar, poi, ha buoni argomenti con l’Italia: armi e energia. Sul primo dossier, gli ultimi dati parlano di un Qatar che lo scorso anno ha ordinato armi italiane per 958 milioni di euro, principalmente navi, missili e veicoli, risultando per terza volta negli ultimi sei anni il primo acquirente di dispositivi made in Italy. Sull’energia Eni sta sviluppando North Field East (Nfe), il più grande giacimento al mondo nel gas naturale liquefatto, a partire dal giugno 2022, quando è entrata col 25% al fianco di Qatar Energy in una joint venture. Insomma, la partnership economica Italia-Qatar è solidissima e gli argomenti di natura di business sembrano prevalere, oggi più che mai, su ogni altra questione. Ma tra un Paese che si è dimostrato più volte ambiguo col terrorismo e le conseguenze della dipendenza economica e dei rapporti bilaterali sulla capacità di esercitare una politica estera assettiva e coerente da parte dell’Italia, non è detto che la situazione ottimale sia necessariamente quella più auspicabile…