C’hanno provato, ma è durato meno di niente. A fare cosa? A far passare come la piccola conseguenza di una piccola bega tra comari di paese l’incendio che è scoppiato nella TV italiana dopo le rivelazioni di Fabrizio Corona su Alfonso Signorini. Adesso, però, di piccolo non c’è davvero più niente (e chi fa battute è un simpaticone, ndr). Il Codacons, infatti, ha deciso di metterci le mani e di volerci vedere chiaro. E’ qualcosa che segna quel momento preciso in cui un attacco, o anche una scottante rivelazione smette di essere una rissa mediatica e diventa qualcos’altro. Più strutturato. Più serio. Decisamente più scomodo (tipo una “rosa nel cu*o”). Adesso, tanto per restare sulla metafora, il fumo che viene su da quell’incendio disegna una domanda a cui qualcuno, beghe tra comari di paese o meno, dovrà rispondere con tutta la serietà possibile: come funziona davvero la TV in Italia?
L’esposto presentato dal Codacons insieme all’Assourt non è un atto simbolico e non è una mossa per cavalcare l’onda. È, semmai, quasi un atto dovuto. Ma è pure un allargamento formale e sostanziale del perimetro stesso di quell’incendio. Tanto che il Codacons, nell’inviare il suo esposto, ha scritto tre indirizzi: Procura della Repubblica di Milano, Agcom e Garante per la Privaci. Tradotto: giustizia penale, regolazione del sistema radiotelevisivo e tutela dei diritti individuali. Un tris che racconta la complessità della questione. Il punto di partenza, come noto, sono le ricostruzioni su presunti meccanismi poco trasparenti nei casting dei reality, contatti diretti e informali tra figure apicali del sistema televisivo e aspiranti concorrenti, una pericolosa sovrapposizione tra relazioni personali e scelte professionali. Elementi che, presi singolarmente, potrebbero sembrare fisiologici in un mondo basato sulle relazioni. Presi insieme, però, disegnano un quadro che il Codacons ritiene meritevole di verifica.
Nello specifico, e andando anche un po’ per interpretazione, alla Procura di Milano si chiede di accertare se, dietro queste dinamiche, possano nascondersi profili penalmente rilevanti. Abusi di posizione o di relazioni di potere? Compressione della libertà di autodeterminazione degli aspiranti partecipanti? Condotte che – se confermate – potrebbero insomma superare il confine della semplice scorrettezza. È il passaggio più delicato, perché sposta la vicenda dal piano mediatico a quello giudiziario. Ma il cuore dell’intervento del Codacons è forse davanti all’Agcom. Perché solleva una questione di sistema: i principi di correttezza, trasparenza e responsabilità editoriale previsti dal Testo unico dei servizi di media audiovisivi non possono fermarsi alla messa in onda. Devono valere prima, molto prima. Nei casting, nella selezione dei volti, nella costruzione dei contenuti. Perché è lì che si decide chi entra e chi resta fuori. Chi ha accesso (basta battute, ndr) alla visibilità e chi no. E poi c’è il fronte privacy, che comunque è tutt’altro che secondario. I casting sono luoghi di raccolta massiva di dati personali: numeri di telefono, messaggi, video, confidenze, aspettative. Oltre, ovviamente,al tema centrale sull’operato di Corona che, comunque, ha diffuso scambi di messaggi privati.
Non sorprende, a posteriori, che lo stesso Corona – dopo essere stato sentito in Procura – avesse lasciato intendere che il Codacons sarebbe entrato nella partita. E’ la conferma di un copione che si stava già scrivendo al di là dello stesso Corona? L’obiettivo del Codacons sembra chiaro: spostare il focus dalle singole figure al contesto che le rende possibili. Non si tratta di stabilire chi abbia ragione tra Corona e Signorini, ma di capire se il sistema che governa l’intrattenimento televisivo rispetti davvero le regole che proclama. Perché la televisione, piaccia o no, non è solo spettacolo. È un servizio che esercita potere. Influenza immaginari. Crea aspettative. E riflette il quotidiano.