Continua il lancio del fango nei confronti di Pietro Orlandi, finito sul banco degli imputati solo per l’aver riportato frasi pronunciate da altri. Nessuna accusa nei confronti di Wojtyla, solo la richiesta di verificare le informazioni che ha depositato durante le 8 ore di colloquio con Alessandro Diddi, Promotore di Giustizia in Vaticano. L’eventualità che Giovanni Paolo II sia stato un santo solo sulla carta ha indignato, come prevedibile, l’opinione pubblica. Tutta l’attenzione si è focalizzata su questo, dimenticando ancora una volta Emanuela. Sembrerebbe quasi una strategia studiata a tavolino. Durante la trasmissione condotta da Giovanni Floris, DiMartedì, è stato fatto ascoltare l’audio registrato dal giornalista Alessandro Ambrosini, in cui si sente Marcello Neroni, sodale di Enrico De Pedis boss della Banda della Magliana, fare dei chiari riferimenti a Wojtyla. Riferimenti che Pietro ha solamente riportato, in diretta tv, ma in larga parte le sue parole sono state strumentalizzate, e alla fine della fiera questi riferimenti sono stati attribuiti direttamente a lui. Troppo facile.
Pietro, sul suo profilo Facebook, ha pubblicato la foto di una lettera indirizzata a lui: “Caro Pietro, sei un bugiardo e lo sai! Quelle vergognose allusioni nei riguardi di Papa Wojtyla non te le ha riferite nessuno, te le sei inventate tu. Ma ti sei screditato da solo! Ho sempre supportato la tua famiglia, ma seguire piste suggerite da persone notoriamente inaffidabili ha complicato le cose. Il Vaticano è stato anche troppo paziente. Adesso ti ha concesso una nuova inchiesta, ma su quali basi si svolgerà? Sui soliti documenti falsi e sulle piste dei cardinali pedofili. Ti dovresti solo vergognare. Dovrai rispondere a Dio delle tue cattiverie”. Di biglietti anonimi in questi quarant’anni alla famiglia ne sono arrivati in quantità industriale, ma questo fa davvero sorridere. Nessuna nuova inchiesta, ma la prima dal 1983, anno della scomparsa di Emanuela. Sulla troppa pazienza del Vaticano chi scrive avrebbe molto da ridire. Ormai sono le vittime a doversi difendere dalle offese gratuite di chi non ha nulla di meglio da fare, se non mettersi a scrivere una lettera velenosa solo per il gusto di farlo. Sembrerebbe che ci si stia dimenticando che la vittima non è il Vaticano, ma la famiglia Orlandi, che attende da quarant’anni di sapere cosa sia accaduto ad Emanuela.
Il contenuto della lettera è stato commentato dallo stesso Pietro, che ha rispedito tutte le accuse al mittente: “Oggi, nella cassetta della posta di mia madre in Vaticano, è stata lasciata a mano questa lettera in una busta. La stupidità di chi l'ha lasciata e, presumo scritta, è che voleva far credere che fosse stata spedita da un’altra città, quindi fuori dal Vaticano, perché si è anche preoccupato di mettere un francobollo ma non c'è nessun timbro, quindi. Peccato lascia solo il nome Luciano Dei (sembra, ma probabilmente falso) e nessun contatto. Questa è la conseguenza di chi ha voluto giocare a fare il giornalista. Mi possono offendere come vogliono, non mi interessa, ma leggere ‘il Vaticano è stato anche troppo paziente’, oppure ‘dovrai rispondere a Dio delle tue cattiverie’. Beh”. Tutta la verità, dovessero volerci ancora altri quarant’anni, verrà fuori. E della cattiveria di chi si è appropriato del futuro di una quindicenne, condannando una famiglia all’incertezza, di certo non sarà Pietro a rispondere.