Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare a Roma, luogo in cui anche le più alte sfere ecclesiastiche devono avere un santo in paradiso per ottenere uno spazietto. Sembra che De Pedis li avesse, come il monsignor Pietro Vergari parroco della Basilica, che in una lettera datata 6 marzo 1990, poco più di un mese dopo l’uccisone del boss, lo definisce così: “E’ stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la Basilica, ed ha aiutato concretamente tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani interessandosi alla loro formazione cristiana e umana”. Ma non finisce qui. Non si può non citare la lettera del cardinale Ugo Poletti, l’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana: “Oso chiedere a codesto vicariato il nulla osta affinché De Pedis possa essere tumulato in una delle camere mortuarie nei sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare. Il lavoro di sepoltura sarà fatto da artigiani e operai specializzati in questo settore, che già hanno lavorato per la tumulazione degli ultimi sommi pontefici in Vaticano. Il defunto è stato generoso nell’aiutare i poveri, e in suo suffragio la famiglia continuerà ad esercitare opere di bene”. Per la sepoltura del boss dal vicariato furono addirittura scomodati artigiani di rilievo, ma d'altronde era una brava persona, che in vita non si era mai macchiato di alcun crimine. Come può il boss di una delle organizzazioni criminali più note in Italia ottenere una sepoltura simile? In una cripta sontuosa abituata ad ospitare solo principi e cardinali. "È tutto un gioco di potere”, volendo riprendere le parole di Sabrina Minardi, compagna di De Pedis. Indubbiamente non era estraneo al giro delle alte personalità ecclesiastiche. Al tempo al vertice del Vaticano c'era Wojtyla, possibile che non sapesse?
Ma andiamo avanti. Anni dopo la scoperta della sua tumulazione nella Basilica scuote l’opinione pubblica, tant’è che il capo della gendarmeria vaticana Domenico Giani e il suo vice Costanzo Alessandrini, incontrarono il magistrato Giancarlo Capaldo, che al tempo era a capo delle indagini sul caso della scomparsa di Emanuela Orlandi.
I due emissari del Vaticano gli chiesero di collaborare per aprire la tomba del boss Enrico Pedis, sepolto nella Chiesa da dove per di più scomparve Emanuela nel 1983. Credevano che agendo in tal modo avrebbero dissipato ogni dubbio sul Vaticano, togliendo la Santa Sede dall’imbarazzo pubblico di aver fatto tumulare un criminale all’interno di una Basilica. Volente o nolente hanno scritto sicuramente una pagina di storia. Capaldo, ospite dell’ultima puntata di Atlantide condotta dal giornalista Andrea Purgatori in onda su La7, ha parlato di come si sarebbero svolti questi incontri: “Io ebbi la sensazione che i due emissari del Vaticano che vennero da me sapessero che Emanuela non era più viva. Qualcuno avanzò anche l’ipotesi che ci fosse il corpo di Emanuela lì dentro, e per questo risposi ai due personaggi in questione che non ne capivo il motivo visto che Emanuela era scomparsa nel 1983, e il boss era stato ucciso nel ’90. Gli feci notare che negli anni precedenti non avevano fornito nessuna collaborazione. Gli chiesi collaborazione nel mettere a disposizione dell’autorità giudiziaria notizie su Emanuela che ritenevo il Vaticano potesse avere. Per me era impossibile che in 30 anni non si fossero mai occupati di una ragazza, cittadina vaticana, per cui il Papa Giovanni Paolo II aveva fatto otto appelli. Mi dissero che avrebbero chiesto a chi di dovere, presumo al Segretario di Stato per poter avere un’autorizzazione a collaborare con noi. Gli feci l’esempio dei desaparecidos sudamericani, poi ritrovati cadaveri. Le loro madri avevano ritrovato un po’ di pace insieme ai resti dei loro figli, sebbene torturati e uccisi. Capirono il mio discorso. Poi tornarono, risposero che avevano avuto il via libera per contribuire alla ricostruzione del caso. Qualcuno li aveva autorizzati, mi dissero. I due emissari vennero in Procura, accettarono di collaborare se noi l’avessimo tolti dall’imbarazzo di sgomberare la tomba di De Pedis, in cambio di informazioni su Emanuela o sui suoi resti. Io dedussi che loro sapessero che Emanuela non fosse più viva. Non chiedevo loro di sapere tutto quanto fosse accaduto ma ero convinto che il Vaticano era a conoscenza di molte cose importanti”.
Il magistrato è stato l’ultimo ad occuparsi della sparizione di Emanuela, prima che l’inchiesta venisse archiviata per volontà dell’attuale presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone, che al tempo era a capo della Procura di Roma. Una combinazione? Ma soprattutto, cosa è accaduto in seguito a questi incontri? A spiegarlo Pietro Orlandi, dopo la sua testimonianza durata ben 8 otto ore al Promotore di Giustizia vaticana Alessandro Diddi, al quale ha consegnato il materiale da lui raccolto in questi anni: “Ho fatto i nomi delle persone che secondo me dovrebbero interrogare anche di alti prelati come il cardinale Re, che stava sempre a casa nostra e altri personaggi eccellenti. Da tre anni chiedevo di essere ascoltato. Questo è un momento importante perché a qualcosa deve portare, dopo le mie dichiarazioni ci devono essere delle risposte. Un’altra persona da ascoltare è l’ex comandante della gendarmeria Giani, che ha fatto delle cose particolari sulla trattativa di Capaldo. Lui e Alessandrini. Poi c’è Pignatone e tutta quella questione delle intercettazioni della moglie di De Pedis lo chiamavano il procuratore nostro e dicevano: "Ci penserà lui a far tacere Orlandi". Ha cacciato Capaldo e poi è stato promosso presidente del Tribunale Vaticano”. Il corpo di De Pedis è stato spostato, ma la collaborazione auspicata da Capaldo non si è mai concretizzata. Non solo, il magistrato, durante la trasmissione, ha anche smentito quanto scritto e dichiarato più volte da Padre Georg, braccio destro di Ratzinger: “Georg ha scritto che il Vaticano mi ha offerto aiuto per aprire la tomba ma Sant’Apollinare è su territorio italiano, offrivano un aiuto non necessario né richiesto. Non ne avevamo bisogno”. Nel frattempo, l’attuale Procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi ha da poco dichiarato che: “Dopo quarant'anni non solo non è facile trovare elementi, ma nemmeno fare le pulci alle attività svolte dagli inquirenti dell'epoca perché ogni situazione, ogni indagine va contestualizzata. Non è da escludere che sarà coinvolta nuovamente la Procura di Roma, motivo per cui non posso parlarne". L’inchiesta aperta in Vaticano per volontà di Papa Francesco, la prima (tardiva) dalla sparizione di Emanuela, si occuperà di fare luce anche su questi aspetti? Dopo il polverone mediatico alzato per via delle accuse rivolte da Marcello Neroni, sodale di De Pedis, a Wojtyla potrebbe non sorprendere un’inversione di marcia. Davvero la volontà è quella di fare chiarezza? Stay tuned.