Che meraviglia Emilio Fede. Ne scriverò da scrittore, quindi fottendomene di tutto, innanzitutto della vulgata. Per una fenomenologia di Emilio Fede è imprescindibile chiedersi se egli, davvero, incarnasse l’archetipo del giornalista-servo, del leccaculismo prono, della propaganda verso cui gli faceva i bonifici, oppure se non fosse un grandissimo artista e la sua vita una immensa performance. Egli incarnava il leccaculo perché lo era o perché lo voleva “mostrare”? Come ho detto, scrivo da scrittore: Cerno, Sallusti, Scalfari, Ferrara, Travaglio, con i loro accoliti, sono roba facile da interpretare, banali quanto il male che esprimono nei confronti della verità, nel loro equilibrismo tra essere proni e il delirio intimo (ce l’hanno, ce l’hanno) di essere loro a dirigere la classe politica con i loro editoriali (ingenui, pensano di insegnare alla classe politica quello che la classe politica sa benissimo). Emilio Fede no, Fede era diverso.

Non si dava arie, rappresentava il tratto d’unione tra la parrucchiera e il potere. Era un massaro, un massaro siculo che riportava l’ordine tra i braccianti per fare piacere al suo barone. Quanto fosse sincero e quanto fosse una installazione artistica di una lingua non è dato sapere, anche perché Fede era messinese e quindi calabrese. E i calabresi sono fatti così: hanno una tigna che dura tutta una vita. Mentre i siciliani no, hanno il vizio di cambiare bandiera: nessun siciliano è giornalisticamente affidabile, non lo è Francesco Merlo, non lo è Sebastiano Messina, non lo è Giorgio Mulè, non lo è Giampiero Mughini, etc. etc. I siciliani hanno una identità alla quale devono rendere conto. Emilio Fede non doveva rendere conto a nessuno se non a se stesso. Matrimonio che sembrava d’interesse (con la figlia di un dirigente Rai), mai una parola fuori posto, arrivato a Rete4 racconto non le notizie, ma il giornalismo contemporaneo: ossia quel giornalismo fazioso e orripilante che solo alle professoresse (donne e uomini) e alle commesse con fantasie di arrampicamento sociale può sembrare intellettuale o – Dio ce ne scampi – impegnato.

Non c’è destra, non c’è sinistra, c’è un sotterraneo “tengo famiglia e vanità e mi piacciono i soldi” che in tanti cercano di dissimulare senza riuscirci. In questa marmellata giornalistica, Emilio Fede era l’unico veramente libero, l’unico che raccontava il proprio mestiere per quello che era: a novanta gradi passandosi da solo la vaselina (fare brevemente una carrellata di direttori ed editorialisti e ditemi quanti sono nient’altro che pallide imitazioni di Emilio Fede che cercano di darsi una ripulita come tanti Calogero Sedara). Data la sua fine, abbandonato dall’azienda alla quale non aveva dato solo il culo, tendo a interpretare Emilio Fede come un artista: era l’Italia che lo prendeva per i fondelli o era lui che prendeva per i fondelli l’Italia? La famiglia Berlusconi è una famiglia abbastanza sveglia (anche se ancora non mi ha fatto contratti miliardari e tiene come capi editoriali della Mondadori persone sulle quali avrei molto da dire, ridire e perculare) e averlo allontanato come un appestato, forse, significa che la sua vita non è stata quella di un povero giornalista, ma di un vero artista che “fotteva” Silvio Berlusconi ogni giorno che Dio mandava in terra (i calabresi – i messinesi sono calabresi – sono fatti così, hanno il doppio carpiato nell’anima e alla fine pensano di sodomizzarti loro).

Insomma, Emilio Fede non era un banale Eugenio Scalfari, un prevedibile Giuliano Ferrara, un liquido Tommaso Cerno, un repellente Giuseppe Sottile (sono tutti giudizi personali e come vedete ci sono alcuni che non cito – primo fra tutti Vittorio Feltri – che devo ancora capire se siano artisti della supercazzola): Emilio Fede era, avrebbe detto Roberto Calasso, un “caso”. Stirneriano, nietzschiano, con ossessioni e traumi che si potevano intravedere dalle sue mani piccolissime (tra l’invidia delle mani grandi e l’innamoramento omosessuale per il Cav., Emilio Fede era senz’altro anale). In ogni caso, per quello che, consapevolmente o inconsapevolmente, ci ha mostrato, resta un gigante del Novecento. Gli altri possono solo accompagnare.
