Il Calciomercato si è chiuso, le squadre sono al completo. Ma chi si è rinforzato di più? Lo abbiamo chiesto a Luigi Garlando, il principe dei giornalisti sportivi: “Il Napoli ha fatto meglio”. E le altre big? Sulla Juventus e la rivoluzione ha qualche dubbio: “È incompleta”. Stessa cosa per il Milan, anche se Massimiliano Allegri e Igli Tare hanno preso in mano la situazione. L’Inter, invece, avrebbe potuto osare di più. Gasperini? “Il migliore allenatore italiano”.

Luigi Garlando, chi si è rinforzato di più questa estate?
Il Napoli è ha fatto il mercato migliore, di fatto ha raddoppiato la squadra, ha un sostituto di qualità in ogni ruolo. È stata veloce a sostituire anche Romelu Lukaku con un profilo più giovane, Rasmus Hojlund, che arriva da un'importante esperienza in Premier. Era già campione d'Italia, ora la difficoltà possono essere le scelte per Conte, un problema che l’anno scorso non esisteva. Come forza dell’organico tutto porta a dire Napoli. Poi il calcio sorprende sempre.
Conte e Oriali ci tengono a dire che i favoriti sono gli altri.
Quello lo facevano già l'anno scorso dicendo che non correvano per lo Scudetto ma solo per la Champions. È un po' il gioco delle parti che fanno tutti, però anche loro credo siano convinti di essere i più forti. L'Inter, che è la squadra più completa e vicina a loro, ha già fatto vedere che sono tante le cose da mettere a posto, con un allenatore nuovo e che ha alle spalle solo 14 partite in Serie A.
L’Inter come esce da questa sessione di mercato? Da Fabregas a Koné, ha ricevuto moltissimi “no”. Per una squadra che ha fatto la finale di Champions non è un grande segnale di forza.
Per i nerazzurri è stato un mercato sofferto. A me non è piaciuta la progettualità, più che i rifiuti ricevuti. Sembrava volesse fare una rivoluzione con Chivu, mettere dentro i giovani e puntare a un gioco offensivo, invece poi sono tornati indietro. La formazione che ha iniziato il campionato è quella di Inzaghi, stessi uomini, stesso modulo. I nuovi acquisti, tranne Petar Sucic, sono rimasti in panchina all'inizio. C’è confusione tattica e soprattutto manca un certo tipo di giocatore: l’esterno offensivo che ti fa saltare il banco contro squadre chiuse. Ormai è una necessità avere un calciatore con quelle caratteristiche, siamo nell’epoca dei Lamine Yamal e dei Désiré Doue. È una lacuna che vedo da anni nei nerazzurri. Lookman, ovviamente, sarebbe stato perfetto.
È una storia che si ripete in ogni mercato: cos’è che blocca l’Inter dal prendere un giocatore di quel tipo? La paura di sacrificare dinamiche di gioco così consolidate?
Era comprensibile quando c’era Inzaghi, che credeva in un calcio fatto di linee di gioco e movimenti, non di uno contro uno. Quel calcio l’ha portato allo Scudetto e a due finali di Champions, quindi nulla da dire. Però era arrivato il momento di cambiare. La ripetitività tattica porta a un calo di motivazioni. Lo stesso Chivu ha parlato cinque volte di motivazioni in conferenza. La novità dà stimoli ma l’Inter non l’ha introdotta.

La Juventus, invece, ha cambiato tanto.
Per me è una rivoluzione incompleta. Il grande investimento sarebbe dovuto arrivare a centrocampo, con un giocatore creativo di spessore internazionale. Manuel Locatelli e Khéphren Thuram sono ottimi, ma avrebbero bisogno di un Kevin De Bruyne accanto. Il grande colpo dell’anno scorso, Teun Koopmeiners, non ha attecchito e anche quest’anno è partito male. Inutile ammassare attaccanti se poi la palla non gli arriva. Io avrei preso uno come Ederson dell’Atalanta, per dire.
Tudor può sopperire a questa mancanza?
Lui può dare solidità e motivazioni, ma non credo possa incidere particolarmente sul gioco. Vedo la Juve capace di entrare nelle prime quattro, ma senza quel salto di qualità per fare un grande percorso anche in Champions.
C’è poi il caso Vlahovic che si è trascinato per tutta l’estate.
Jonathan David è forte, ha sempre segnato molto, ma per me Vlahovic è superiore. Non sarà facile gestire la convivenza. Alla fine secondo me ne giocherà uno solo. È un rischio, ma Tudor dovrà scegliere.
Il serbo sarebbe stato l’uomo giusto per Allegri?
Il Milan ha fatto un mercato schizofrenico che rispecchia la natura della società, in cui abitano due anime: Cardinale e ancora l’ombra di Elliott. Alcuni acquisti sembrano richieste di Allegri, altri no. Ricci secondo me è un acquisto della società, così come Jashari, che era un pallino di Tare. La mediana è muscolare, l’uomo di Allegri può essere Ruben Loftus-Cheek, ora hanno preso Adrien Rabiot che ha anche lui quelle caratteristiche. C’è il rischio di malumori e di scelte difficili che però saranno necessarie. È stato preso Luka Modric, ma non regge novanta minuti con continuità. Non puoi dare tutto in mano a lui. I miei dubbi sono sulla tenuta del centrocampo.
Però il Milan ha un’identità più chiara anche grazie a Tare.
Si sono accorti che rispetto all’anno scorso le cose dovevano cambiare. Sono mancate delle cose proprio nell’organizzazione, si sono affidati a Ibrahimovic, che però non aveva l’esperienza necessaria per quell’incarico. Tare è una figura forte, Allegri ha in mano la squadra, si parla di un ritorno di Adriano Galliani. La società punta a una struttura più solida, quella è la direzione, ma qualche dubbio rimane.
Quindi Tare e Allegri secondo te non hanno condiviso alcune decisioni?
Alcune magari no. Anche perché Tare veniva da una Lazio diversa, che con Maurizio Sarri aveva un gioco molto più costruito, in un contesto totalmente differente. Ma è indubbio che tra i due al Milan ci sia accordo, al di là delle singole scelte.

La Roma con Gasperini è una delle più attese. Non ha preso tutti i giocatori che voleva, ma ha fatto un mercato importante.
Conoscendolo credo che Gasperini sia deluso. Si aspettava qualcosa di più, secondo me voleva anche un altro centravanti. Gasp l’ha sempre fatto capire: fare mercato significa comprare attaccanti. Tant’è che era disposto a perdere Manu Koné, che forse è il migliore a centrocampo. Per il suo gioco ha bisogno di avere tante opzioni offensive. Ma resta un allenatore capace di inventare soluzioni e Paulo Dybala diventa la chiave assoluta. Io considero Gasperini il miglior allenatore italiano. Alla quarta giornata c’è il derby, se conquista la piazza può davvero succedere qualcosa di grosso. Quella partita sarà fondamentale: se vince, prende in mano la città.
Quest’anno gli allenatori saranno la variabile decisiva?
Sì, assolutamente, soprattutto al vertice della classifica. Nel calcio moderno l’allenatore conta sempre di più: deve entrare nella testa dei giocatori, gestire rotazioni, motivazioni e le fatiche delle coppe. Basta guardare al lavoro di Luis Enrique, che ha avuto il coraggio di mandare via le stelle per fare spazio agli altri.

