Credit Suisse è andata nella bufera a inizio settimana dopo una serie di notizie negative che hanno travolto il suo titolo e trascinato a cascata le borse, facendo una doppietta con il caos esploso oltre Atlantico per la questione Svb. La banca di Zurigo è poi rimbalzata grazie all’effetto-leva della Banca nazionale svizzera, che ha messo sul piatto 50 miliardi di franchi per sostenere le sue azioni. E le banche e la finanza italiane sono andate a ruota della condotta di Credit Suisse: la vendita massiccia di azioni del banco svizzero del 15 marzo ha scatenato a Piazza Affari una corsa verso la qualità dei risparmiatori (fly-to-quality) che ha penalizzato i titoli di Stato di Roma. Di conseguenza, a pagare sono stati i Btp di varia durata e, a cascata, le banche che di essi sono piene zeppe. Ma la ripresa del 16 ha trainato, al contrario, anche un discreto rimbalzo. In questo contesto, la pronta risposta della banca centrale di Berna alla tempesta Credit Suisse ha aiutato anche le banche italiane a non andare eccessivamente in sofferenza. Ma quanto peserà per i risparmi degli italiani la fase attuale di volatilità?
Le problematiche possono essere notevoli. Il rischio per i nostri risparmi è dovuto al combinato disposto titoli di Stato-inflazione e al legame della nostra finanza con quella europea. Questo in un contesto che vede i nostri istituti macinare utili e essere a buoni livelli di patrimonializzazione: dati che ci consentono di vedere il panorama bancario italiano sicuro all’interno ma minacciato dalla volatilità. Volatilità sui tassi, in continua ascesa; volatilità per l’inflazione, che non accenna a placarsi; volatilità per un contesto europeo che, come ha ricordato JPMorgan, mostra le banche italiane più esposte sul fronte obbligazionario.
In Italia Credit Suisse non svolge attività di raccolta depositi ma di wealth management, e non ha esposizione su una clientela retail estesa. Ma se la sua crisi dovesse ripetersi, o se a andare in crisi fosse un’altra delle banche in difficoltà negli ultimi giorni (come Societé Generale e Commerzbank) per i risparmiatori italiani i danni si manifesterebbero immediatamente in termini di perdite sui bond, sulle azioni e, soprattutto, sugli Exchange trading fund che hanno titoli del comparto bancario. Gli ETF a Piazza Affari sono circa 1.400 con un valore netto degli asset maneggiati tra i 100 e i 120 miliardi di euro. Il 40% circa del capitale è sia in azioni che in obbligazioni, principalmente titoli di Stato italiani, e il sell-off sulle banche a Piazza Affari indotto da una crisi europea può creare problematiche.
“Gli investitori che scelgono gli ETF sul FTSE Mib per esporsi al mercato italiano devono tenere in considerazione che l’indice è concentrato nei 40 titoli più liquidi e a maggior capitalizzazione, che rappresentano circa l’80% della capitalizzazione totale del mercato italiano. Il paniere non ha una grande diversificazione settoriale, in quanto, oltre alle banche, i principali comparti sono le utilities (20%) e i beni di consumo ciclici (18%). Inoltre, i primi dieci titoli pesano per circa il 70% del patrimonio gestito, contro una media di categoria intorno al 35%”, nota Morningstar. Riassumendo, in caso di dissesto finanziario in Europa chi rischia in ordine crescente sono i titolari di obbligazioni, gli investitori nei bancari zeppi di Btp e gli azionisti negli Etf. Ma per fortuna, nessun componente del sistema finanziario italiano può essere oggi l’innesco di una crisi del genere. E questo, dopo anni di spread alto, crisi di fiducia e dissesti bancari, è un dato di fatto da non sottovalutare.
Di fronte a Credit Suisse in crisi, e a Svb prima di essa, la finanza italiana ha saputo dimostrarsi discretamente versatile e capace di riassorbire facilmente le perdite. Gli sforzi di trasparenza e alleggerimento compiuti negli anni passati hanno, in un certo senso, pagato. L’Italia, fortunatamente, non è il malato d’Europa.