Gianni Agnelli dichiarò apertamente che quanto da lui costruito si sarebbe preservato solo in base a chi avrebbe preso il suo posto. «Quando me ne sarò andato, la crescita e il consolidamento di tutto ciò che è stato costruito alla fine dipenderà dalla qualità delle persone, e dal fatto che ci credano o no. Perché sono loro che dovranno affrontare le prossime avversità. E sono loro il patrimonio della Fiat: i suoi uomini». E forse non poteva sperare in erede migliore, almeno secondo Lapo Elkann, di suo nipote John. John Elkann, il nuovo capofamiglia, numero uno di Exor. Dopo due decenni dalla scomparsa dell’Avvocato, le cose per la Fiat vanno benissimo, nonostante la crisi attraversare all’inizio del nuovo Millennio. «Ciò che conta è andare avanti. L’ottimismo di mio nonno nasceva dalla fiducia nell’individuo e nella sua libertà. Così, io penso che con la libertà e l’impegno si può costruire il futuro». L’impegno, la voglia di ripartire e la volontà di aprirsi a nuove strade, come fu nel 2003 sotto la direzione dello zio di John, Umberto: «Mio nonno direbbe che queste sono le scelte che contano, perché sono decisive in momenti cruciali».
È proprio John Elkann a omaggiare il nonno, in questo anniversario così importante, e a ricordarci cosa l’Avvocato amava sopra a tutto il resto: «La Fiat, l’Italia e Torino. È sempre stato convinto che più l’Italia si integrava nell’Unione Europa, più si sarebbe rafforzata». Questo accanto all’altra «sua forte convinzione […] l’atlantismo, il rapporto con gli Stati Uniti: e se noi guardiamo agli effetti della guerra in Ucraina (proprio nelle zone in cui mio nonno era soldato) possiamo concludere che la Ue e l’Italia davanti all’invasione russa hanno rafforzato i loro legami con Washington». John Elkann ricorda il nonno parlando del presente, come sembra sia normale fare quando una figura ha avuto un così grande impatto a livello storico, economico e politico. Si badi bene, però, un atlantismo istituzionale, e non “a qualunque costo”: «Era convinto che le istituzioni americane sono comunque più forti degli individui: nei fatti, la forza delle istituzioni negli Usa ha impedito finora che chiunque possa portare il Paese lontano dalle fondamenta su cui è stato costruito. E questa è la cosa più importante, la tenuta della democrazia».
Un altro aspetto positivo del presente sembra risiedere nello stato di salute dell’economia italiana, almeno secondo Elkann: «Per il capitalismo familiare legato al territorio, che è grande parte del nostro tessuto economico, il ventennio che abbiamo alle spalle è stato positivo e ha saputo generare realtà made in Italy leader nel mondo. Un’economia, quella italiana, che oggi si alimenta anche grazie all’arte e alla cultura. E anche in questo John Elkann rivede l’impronta del nonno: «Nel mettere insieme bellezza, creatività e capacità ingegneristica non c’è superficialità, ma la vera sostanza dell’eccellenza italiana id cui la Ferrari è un esempio. Lui ha sempre difeso la capacità italiana di fare una sintesi del bello e dell’utile, frutto di grande impegno e di un patrimonio storico e artistico che è il più importante del mondo».
C’è chi ha parlato, tuttavia, di un abbandono di Torino da parte della famiglia Agnelli, nonostante il legame (e i reciproci debiti) tra Gianni Agnelli e il capoluogo Piemontese. «Guardiamo ai fatti: l’ultimo piano di investimenti di 5 miliardi per l’Italia è il più grande di tutta la nostra storia ed ha permesso a Mirafiori di essere uno stabilimento all’avanguardia nel mondo. E poi la realizzazione del nuovo stadio della Juventus, lo sviluppo del Lingotto con la Pinacoteca Agnelli e i giardini pensili più grandi d’Europa, l’Industrial Village per il mondo dei camion, la scuola Fermi. Infine l’impegno nel settore medicale, con lo sviluppo di LifeNet e con i progetti che mia zia Allegra ha realizzato con la Fondazione per la ricerca sul cancro di Candiolo». Nonostante questo, il rischio che la Fiat rimarrà solo con il cuore a Torino, e per il resto si dividerà tra Parigi e Amsterdam, sembra ancora ragionevole, nonostante John Elkan si sia impegnato a negarlo: «Rispondo con i numeri. Se confrontiamo l’azienda del 2003 e quella di oggi vediamo che i ricavi passano da 22 miliardi a 130 solo nei primi nove mesi del ’22; i modelli idi auto prodotti allora, che impegnavano 49 mila persone, erano 22, per i 4 marchi: oggi 280 mila persone producono oltre 100 modelli per 14 marchi. Abbiamo valorizzato il marchio Fiat, tanto che la 500 elettrica il prossimo anno sarà esportata anche negli Usa. Abbiamo rilanciato i marchi Maserati e Alfa Romeo e stiamo rilanciando Lancia. Inoltre oggi produciamo in Italia e vendiamo in tutto il mondo». Produciamo in Italia.
L’espansione ormai avviata e inarrestabile poggerebbe, ancora una volta, sui meriti di Gianni Agnelli: «Mio nonno ha sempre avuto la preoccupazione delle dimensioni della Fiat. Diceva che fare automobili è un mestiere per giganti. Lui tentò la strada americana, in tre conversazioni con Ford, Chrysler e GM, e in Franco con Citroën. Poi fu la volta di Peugeot, e quindi di Renault. Abbiamo trovato un’intesa con Chrysler creando FCA e poi con PSA, che ha dato vita a Stellantis, dove le famiglie fondatrici assicurarono un assetto stabile. Siamo andati nella direzione che già mio nonno aveva intrapreso nei suoi trent’anni di presidenza, e abbiamo realizzato quella visione nei due mondi in cui lui credeva: l’America e la Francia». Si parlava delle scelte difficili, come quella dello zio Umberto. Ma nel breve periodo di presidenza e appena dopo la sua morte, nel 2004, la Fiat ha attraversato un momento difficile che John Elkann commenta così: «Ci siamo sentiti attaccati molto duramente, dall’interno e dall’esterno. E il sistema bancario e finanziario italiano, che da sempre aveva beneficiato della Fiat, in quel momento non ci ha sostenuto. Una vera e propria violenza, aumentata con la scomparsa di mio zio Umberto nel 2004. Ma quello è stato anche il momento in cui la mia famiglia si è unita per fare fronte comune, rafforzando il nostro legame con la Fiat ed esercitando le responsabilità che ne derivavano».
Al contrario del mondo automotive, tuttavia, sono le passoni dell’Avvocato, il calcio e il giornalismo, ha non passare un bel periodo. Il primo, con la Juventus, sarebbe anzi in piena crisi per via degli scandali e delle inchieste di questi mesi. Il secondo, per via del passaggio all’elettronico. Tutta anche su questo John Elkan sa guardar il bicchiere mezzo pieno: «Prima di tutto a mio nonno farebbe piacere vedere che la sua famiglia è primo azionista dell’Economist (che lui leggeva ogni settimana), garantendo al giornale di continuare ad essere un riferimento per il mondo libero. La stessa cosa vale per La Stampa, che ha mantenuto e manterrà quella tradizione laica, liberale e progressista in cui lui ha sempre creduto». E anche sulla Juventus ha la risposta pronto: «È la squadra italiana più amata e seguita: rappresenta il nostro calcio nazionale. L’ingiustizia di questa sentenza è evidente: in molti l’hanno rilevato, anche non di fede bianconera».