Fabio Fazio conferma il suo addio (o arrivederci?) dalla Rai e, come spesso accade quando una figura così caratterizzante e longeva della nostra tv cambia pelle, tutto intorno è un fiorire di manifestazioni di giubilo o di afflizione. Ma il primo che dovrebbe essere contento di questo cambiamento è proprio il conduttore di Che tempo che fa, il quale negli ultimi anni – un po’ troppi guardandosi indietro – somigliava più agli “sdraiati” descritti dall’amico giornalista e scrittore Michele Serra (che si riferiva ai giovani che non lavorano e non lo cercano, con la compiacenza dei genitori) più che al comico, autore e conduttore innovativo che avevamo conosciuto in passato. Peccato che si fosse “sdraiato” in un programma del servizio pubblico in prima serata e con un contratto milionario. Eppure, non è sempre stato così. Sì, perché se non sapete quali novità ha portato sul piccolo schermo nell’arco della sua carriera, o siete degli smemorati o appartenete alle Gen Z. E allora è il caso di un veloce ripasso. Non solo per i telespettatori, vecchi e nuovi, ma anche per lo stesso Fabio Agostino Francesco Fazio (questo il suo nome per esteso), che grazie a questo passaggio drastico – con Luciana Littizzetto approderà a Discovery – potrebbe ritrovare gli stimoli che lo resero un innovatore della televisione italiana.
«Il mio lavoro continuerà altrove, d’altronde non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni» ha detto lo stesso Fazio l’altra sera al Tg3. «Me ne sono reso conto e quindi continuo a fare serenamente il mio lavoro altrove, che è quello che ho sempre fatto in questi 40 anni». Nessuna polemica e una presa di coscienza, da parte sua, ma ciò che lo ha spinto fuori dalla Rai, più che il non risultare adatto alla narrazione corrente – cioè nella stagione dominata dal centrodestra – è la mancanza di varietà che ha caratterizzato almeno la sua ultima decade, in target sinistra-radical chic con spruzzate di buonismo e assenza totale di domande scomode o di momenti di rottura. Dov’era finito il Fazio che esordì con rubriche come l’Orecchiocchio, dove metteva in evidenza le nuove tendenze della musica giovanile, o Estate Disco dove faceva il contraltare al Festivalbar, senza contare Jeans dove come co-conduttrice c’era la pornostar Moana Pozzi? Dalla metà alla fine degli anni ‘80 Fazio sembrava il continuatore di una certa forma di giornalismo – o degli albori dell’infotainment – che dal disincanto creativo del compianto Beppe Viola passava all’ironia caustica della Gialappa's Band, addirittura anticipandola. Non a caso il programma che gli darà il primo e clamoroso successo sarà Quelli che il calcio, nel 1993, che già dal titolo si ispirava a una canzone del più strampalato, benché geniale, dei cantautori italiani: Enzo Jannacci. Un programma in grado di rivoluzionare il racconto dello sport più popolare in Italia, fino a quel momento veicolato in modo paludato da appuntamenti come 90º minuto con i suoi giornalisti in giacca e cravatta, tutti statistiche e formalità.
Il merito di Quelli che il calcio, oltre ad aver traslato in trionfo il linguaggio radiofonico in tv (caso più unico che raro), con l’assenza di immagini delle partite ma solo risultati in diretta e commenti di improbabili inviati in tribuna, fu quello di scoprire numerosi personaggi poi entrati nel cuore dei telespettatori come l'astrologo Peter Van Wood, il tifoso juventino Idris, il designer giapponese Takahide Sano o la creazione di una formazione dilettantistica come l’Atletico Van Goof. A questo, si affiancarono fuoriclasse della comicità come Teo Teocoli o Anna Marchesini, per citarne solo alcuni, che associati a un programma calcistico rendevano il tutto surreale ma nello stesso tempo irresistibile. Ma la spinta sovversiva di Fabio Fazio non si fermò a quella stagione, perché anche in un tempio della musica come Sanremo seppe smantellare i codici ormai vetusti che si perpetuavano da generazioni. Basti pensare che nell’edizione del 1999 scelse di essere affiancato nella conduzione dalla modella Laetitia Casta, ma anche dal Premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco, dal tenore Luciano Pavarotti e con Michail Gorbačëv, il presidente russo della “perestroika” (cioè dell’apertura del Paese dopo la dittatura comunista) come invitato. Seguiranno altri anni di programmi con ascolti record e, anche se la spinta innovativa si era affievolita, rimaneva nei suoi programmi almeno la voglia di inserire ogni volta qualcosa di inaspettato. Come in Vieni via con me, insieme a Roberto Saviano, dove utilizza la formula (nuova) della lettura di elenchi ispirata a uno spettacolo teatrale.
Dal 2013, però, qualcosa si incrina. Sarà che si nasce incendiari e si muore pompieri. Sarà che la maturità porta a più miti consigli. Sarà che la pressione degli sponsor – e anche quella degli oppositori politici – costringe ad andare sul sicuro, a diminuire drasticamente la quota di rischio a favore della più rassicurante tv da salotto. Sarà quello che volete, ma il Fabio Fazio che invita gli ospiti e ne parla soltanto in modo entusiastico era più imbarazzante per lui che per loro. Ecco, quindi, l’opportunità che gli si apre di fronte con l’esperienza a Discovery: provare a lanciare ancora una volta qualcosa di originale, oppure rassegnarsi a una formula trita e ritrita per trascinarsi alla pensione (della quale, comunque, non avrebbe bisogno per sopravvivere). E il primo ad essere gasato dalla prima eventualità, polemiche sterili a parte, dovrebbe essere proprio Fazio.