Adda venì baffino! Perché Massimo D’Alema, a Pechino, dopo avere presenziato alla sfilata militare per l’80esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, insieme a Putin, al nordcoreano Kim Jong-un (il leader che il suo popolo crede senza ano, poiché gli esseri perfetti non defecano), il bielorusso Lukashenko, l’iraniano fresco di bombardamento Pezeshkian, e non poteva mancare il capo della giunta militare birmana Min Aung Hlaing, dicevamo D’Alema, nel pacifico consesso, mentre sfilavano armi e droni e ufo cinesi, ha dichiarato: “Io spero che da Pechino venga un messaggio di pace”. Adesso, se vi è appena esploso il cervello, tranquilli, è normale. Ma quello che vi chiediamo è di riflettere abbandonando ogni logica, ogni buon senso, ogni collegamento causa effetto e librarvi con noi nella festosa e psichedelica mente dalemiana. Perché è lui, l’uomo del futuro! Aspettavamo il ritorno del baffone e invece torna il baffino: il perfetto leader della sinistra italiana, l’unico che può riunificare sotto di sé la solida tradizione di un partito legato alla base e con il frufruismo schleiniano Lgbtqia+ (e anche un po’ Bdsm, dato lo stato attuale del Pd).

Perché, se ancora non ci avete fatto caso, D’Alema è quel “+” alla fine degli Lgbt etc. In tanti, per anni, ci siamo chiesti cosa significasse quel “+”, dato che tutte le altre identificazioni o preferenze erano racchiuse nelle altre lettere. E invece quel “+” era semplicissimo da capire, sta per Massimo D’Alema, tutto e il contrario di tutto. Lo aveva già capito Togliatti, quando sentendo un D’Alema novenne pronunciare un discorso, disse: “O questo bambino farà strada, oppure è un nano”. Non sapeva, Togliatti, che D’Alema era entrambe le cose. Nel frattempo, ancora imberbe, ma già con i baffi, si dichiarava ateo, si faceva esonerare dall’ora di religione, ma andava in parrocchia a fare volontariato, diceva, quando invece ci andava per litigare con il parroco e con l’insegnante di religione. E fu lui che, per combattere “gli sprechi dei ricchi” tirò le molotov, credo, contro la discoteca Bussola di Viareggio, per poi diventare milionario grazie alla consulenze alla City di Londra e reinvestire in vigne, resort, mattone (“non tiravo molotov, ballavo il ballo del mattone, con te, che sei la mia passione”), il tutto, Flavio Briatore dixit, senza essere capace di montare un gazebo, ma, si sa, la sinistra, secondo D’Alema, è come la Roma, non vince ma sa soffrire, per cui non si capisce quest’ombra data dai gazebo, che l’attività di piazza si faccia sotto la pioggia e sotto il sole, come D’Alema, che da sinistra soffre pioggia e sole, intrepido, sulla sua barca a vela (dicono, raccontano, pare, che nelle notti di luna piena D’Alema si tiri da solo le molotov contro la sua stessa barca, per poi saltare di nuovo su e spegnere il principio d’incendio).

È D’Alema, l’unico che può risolvere i dilemmi morali, etici, economici, politici, dei fronti di guerra, è l’unico a sapere fare equilibrismo tra riarmo, spesa militare, diplomazia e, nel mentre, proporsi anche da mediatore per la compravendita di armamenti pesanti tipo cacciatorpedinieri o carri armati deluxe, grazie ai suoi buoni rapporti con la Leonardo. Quando, primo postcomunista a essere entrato in guerra, dando il permesso all’Italia di bombardare il Kosovo all’interno dell’operazione Nato, disse: “Non è un atto di guerra, è un intervento umanitario”, spiegatelo alla Global Sumud Flotilla che vuole aprire corridoi umanitari a Gaza, che dovrebbe minare il corridoio, altrimenti che umanitarietà è. Pare che, commentando i missili supersonici cinesi D’Alema abbia detto: “Non sono missili, sono bigliettini d’amore ad alta velocità. Avete presente il pirulicchio dei Baci Perugini? Ecco, uguali, solo che qui il pirulicchio si chiama detonatore”.
