Meteorologi e fisici sono concordi: lo squilibrio climatico crea un’alternanza tra casi estremi a cui la mala progettazione del territorio e del sistema economico può aggiungere rischi. Non si vuole colpevolizzare, come ha fatto Open, la giunta emiliana di Stefano Bonaccini per i 55 milioni di euro non spesi per politiche non strutturate appieno di gestione del rischio idrogeologico. È tutto un sistema, in senso più ampio, che passa dalla nomina di un Commissario d’emergenza per la siccità a un consiglio dei Ministri sull’alluvione senza domandarsi come porre un argine. Non solo metaforicamente. “Le acque non defluiscono verso il mare, esondano i piccoli fiumi allagando non solo i paesi ma anche la città. Le mareggiate sconvolgono le spiagge, la grandine primaverile devasta le campagne”, nota Il Fatto Quotidiano. “Una settimana fa si parlava degli enormi e reali danni dovuti alla siccità che di certo si ripresenterà a breve. C’è una guerra in corso alla stessa distanza che separa Palermo da Trieste. Sempre più spesso crollano ponti, le strade d’Italia sono devastate dalle buche, la manutenzione delle infrastrutture è una chimera”. Manutenzione, la parola chiave. Viviamo con un Paese che ha pianificato il suo territorio ai tempi della Ricostruzione e da alcuni decenni lo ha abbandonato all’incuria. Siccità e alluvioni, dicevamo, due facce della stessa medaglia per un contesto in cui paralisi decisionali da un lato e decisioni miopi dall’altro concorrono nel creare le condizioni per le tempeste perfette. Da Forlì a Ravenna, il ciclone intrappolato tra Appennino e Mar Adriatico fa danni? Nel territorio emiliano-romagnolo, impatta su una delle terre più prese d’assalto da speculazioni e aggressioni edilizie.
“L'Emilia-Romagna”, ha dichiarato a Fanpage il professore del Politecnico di Milano Paolo Pileri, “è la terza regione d'Italia per consumo di suolo con circa 658 ettari cementificati in un solo anno, il 2021. L'80% di questa superficie riguarda aree a pericolosità idraulica, ovvero dove sappiamo che è alto il rischio di esondazioni. In questa regione si consuma suolo nelle aree protette (+2,1 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità di frana (+11,8 ettari nel 2020-2021) e nelle aree alluvionali, dove l’Emilia-Romagna vanta un record nazionale”. I milioni di euro contro il dissesto potevano far ben poco in un territorio in cui lo sfiatamento delle acque in caso di alluvione ha da tempo incontrato ostacoli strutturali.
Il caso drammatico dell’Emilia-Romagna si collega direttamente a quello delle Marche di settembre 2022, mese in cui un territorio simile subì un disastro di pari portata, e a tanti casi in cui centri e città di dimensione considerevole sono state messe in ginocchio dalla furia dell’acqua. A Milano poi molti non dimenticano casi come le esondazioni del Lambro e del Seveso, o Genova e Messina più volte colpite dalla furia dell’acqua: in questi casi la cementificazione ha portato a tombare interi fiumi e torrenti, creando esplosioni pirotecniche che hanno più volte causato morti e danni.
Il primo giorno di ottobre del 2009 in provincia di Messina le montagne alle spalle di Giampilieri e Scaletta Zanclea scatenarono sui due borghi un torrente d’acqua e fango che causò complessivamente 37 morti, in una delle più drammatiche alluvioni della storia recente siciliana. L’acqua colpì e travolse diverse residenze che, si scoprì nel periodo di ricostruzione, erano state fatte edificare in forma pericolosa su canai in cui le acque, in caso di esondazione dei torrenti montani, avrebbero dovuto defluire in caso di fenomeni meteorologici estremi.
Quanto vale per le esondazioni vale anche per la siccità, dove il problema si palesa come strutturale e sistematico in un contesto in cui l’estrema variazione climatica è un dato ormai da considerare come variabile fondamentale nell’equazione sul futuro governo del territorio. La scarsa tutela delle regole urbanistiche ha favorito il flusso di acqua che ha più volte accelerato le inondazioni, l’ignavia dei movimenti Nimby e “no tutto” contribuito spesso a non far realizzare i fondamentali bacini d’accumulo dell’acqua piovana che in molti territori aiutano a combattere la siccità. E che spesso sono frenati anche dalle stesse opere di cementificazione che “rubano” l’acqua che filtra dai bacini stessi. Dalla Diga di Valsessera in Piemonte, che vicino Biella irriga le risaie, ai lavori previsti e mai partiti sul fiume Sacco in Lazio, passando per i bacini appenninici dietro Rimini le opere sono previste e non cantierate o, se esistono, sono in ritardo su manutenzione e sviluppo.
Nell’Antropocene, l’epoca segnata dall’aumento delle tensioni ecologiche legate all’impatto umano, non bisogna rassegnarsi all’idea che i grandi problemi ambientali sono catastrofi dalle conseguenze inevitabili. Serve pensare in prospettiva e immaginare un Paese più resiliente e capace di resistere alle folate estreme del clima, in ogni suo momento. Iniziando a rispettare il territorio e a coniugare sviluppo e sostenibilità. Per non doversi ritrovare, in alcuni casi, a piangere perché si è arrivati troppo tardi sui problemi, pagando il prezzo dell'incuria e delle dimenticanze della politica.