Niente di nuovo sotto il sole. In un editoriale pubblicato su Libero, Daniele Capezzone ha lanciato un attacco frontale contro una parte dell’intellighenzia italiana, accusata di portare avanti un atteggiamento “filo-Hamas” travestito da solidarietà per la causa palestinese. Secondo Capezzone, questa posizione rappresenta l’ultima espressione di un lungo percorso culturale e politico che affonda le radici negli anni Settanta. “Gli intellettuali italiani fanno schifo. Eh, Capezzone, ma quanto è rozza questa generalizzazione. Obiezione accolta. Cerchiamo allora di circoscrivere e circostanziare meglio l’accusa: gli intellettuali progressisti fanno particolarmente schifo”, scrive il giornalista. In quella cerchia, afferma, risiederebbe “il peggio del Paese, la sua riserva di conformismo, di settarismo (travestito da finta tolleranza), di faziosità ideologica (mascherata da “impegno”)”. Capezzone richiama Pier Paolo Pasolini come figura anticipatrice di questa critica, ricordando direttamente le sue parole: “Parlo degli intellettuali socialisti, degli intellettuali comunisti, degli intellettuali cattolici di sinistra, degli intellettuali generici, sic et simpliciter […]. So che sto dicendo delle cose gravissime […]. Io vi prospetto […] quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova trahison des clercs: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime […]. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come nuovi chierici”.

Secondo Capezzone, il problema non è nuovo: risalirebbe almeno agli anni Settanta, con episodi che considera emblematici. Tra questi, cita l’appello firmato nel 1971 da centinaia di esponenti del mondo culturale italiano contro il commissario Luigi Calabresi, poi ucciso l’anno successivo. «Sono gli stessi che firmarono un vergognoso appello, nel giugno del 1971, contro il commissario Luigi Calabresi, presentato come un “commissario torturatore” e “responsabile della fine di Pinelli”. L’editorialista di Libero prosegue la sua ricostruzione elencando altri casi, come l’ostracismo subito da Indro Montanelli, o le prese di posizione in favore dell’ascesa di Khomeini in Iran nel 1979: “Sono gli stessi che, nei momenti più delicati, toglievano il saluto a Montanelli, salvo poi – una ventina d’anni dopo, al momento della rottura con Silvio Berlusconi – provare grossolanamente ad annetterselo. Sono gli stessi che levavano cori (stolti e suicidi), nel 1979, accompagnando l’avvento del regime dell’ayatollah Khomeini in Iran, presentandolo come un liberatore: e invece si trattava dell’anticamera dell’inferno per gli iraniani”. E si arriva al punto: “Adesso sono gli stessi che firmano appelli e costruiscono pagine ogni singolo giorno contro Israele, in qualche caso perfino con punte di comprensione, se non di giustificazione, nei confronti di Hamas. Fino alla chiusa: “Servirebbe una nuova versione del coraggioso e splendido volume di Brambilla. Da titolare stavolta: La kefiah in redazione, cinquant’anni dopo l’eskimo”.

Ma il riferimento a chi è? Quali sono i giornali di cui parla, che “costruiscono pagina ogni singolo giorno contro Israele”? Nella sua rassegna mattutina su X, Capezzone approfondisce la questione dell’attivismo filopalestinese nei giornali citando un corsivo di Moni Ovadia, storico ebreo antisionista e invitato alle varie manifestazioni contro Israele organizzate in questi ultimi due ani. A pubblicarlo è il Fatto quotidiano, che sceglie di ospitare la critica di Ovadia non solo a Israele, ma anche alla soluzione a due Stati. Come altri intellettuali di sinistra, infatti, Ovadia sosterrebbe una soluzione a uno Stato pluralista e cosmopolita, che tuttavia fa ridere Capezzone. Ma è il solo? No, perché come ricorda il direttore editoriale di Libero, la radicalità di questa proposta è tale che “perfino Travaglio che pubblica il testo è costretto a fare uno stalloncino aggiungendo: ‘Caro Modi, pubblico il tuo appassionato intervento anche se non lo condivido in alcuni punti. A parte il tuo giudizio sul sionismo storico e a parte la tua nota avversione per l’idea stessa dello Stato ebraico, non sono sicuro che un unico Stato dal Giordano al Mediterraneo, sia un’opzione praticabile’. Non è sicuro neanche Travaglio. Sono meravigliosi”.
