Esonerare Daniele De Rossi "a stelle e bisce" dopo quattro partite significa non amare il calcio, anzi odiarlo. Certo, la Roma non ha brillato sino a qui, ma chi lo ha fatto? Tutte le “grandi” hanno faticato, tanto è vero che la non presagibile capolista è l'Udinese, senza Zico peraltro. De Rossi non è un allenatore, quantomeno non ancora, ma è il calcio, perché sa di calcio e puzza di calcio, e ama la Roma. Chi sa di calcio non esonera De Rossi, e chi ama la cucina non mangia gli hamburger. Se ami gli hamburger e li consideri cucina venendo da una nazione con il 42% di obesità, non devi parlare di calcio, e ancor meno devi 'fare calcio', quello vero, quello del sudore e della passione, quelle delle lacrime di gioia o di tristezza, quello delle foto rubate da macchine di lusso fuori dai campi di allenamento.
Sarò più chiaro: se sei americano, stai lontano dal calcio, please. Non sono né sarò mai romanista, ma sono dalla parte di chi se ne fotte altamente dello stadio, del marketing, dei biglietti sempre più cari e del voler trasformare un derby nel Super Bowl, del dover fornire le urine, la scansione retinica e una ciocca di capelli per riuscire ad andare a vedere una fo**uta, splendida, materica partita. De Rossi credeva in ciò che faceva, e si vedeva. È invecchiato di 10 anni in 10 mesi, perché l'amore fa anche questo, perché conoscendolo non avrà fatto altro che pensare a come migliorare la Sua Roma, sempre, notte e giorno, notando tutto, tutti, cercando di essere attento ad ogni particolare, come si fa in una famiglia, come fa la lupa con i suoi cuccioli, accompagnandoli ben oltre lo svezzamento, perché questo è ciò che il sangue caldo comporta. I mammiferi fanno così, i rettili no.