Mercoledì 4 settembre l’erede della ‘ndrina Bellocco di Rosarno (Calabria), Antonio Bellocco, detto “Totò”, è stato ucciso a Cernusco sul Naviglio (Milano) dal capo ultras Andrea Beretta, detto il “Berto”. Dalle prime indagini sembra che il movente non sia legato alla frequentazione di entrambi della Curva Nord dell’Inter, ma qual era il legame tra i due? Visti giocare a calcetto e apparentemente amici, Totò e Berro sono esponenti di due correnti all’interno del mondo ultras, fazioni che vanno oltre il semplice coinvolgimento sportivo di tifosi? Cosa è successo nell’auto, si può credere all’ipotesi della legittima difesa sostenuta da Beretta? L’omicidio è avvenuto all’interno della Smart di Bellocco, recatosi alla palestra “Testudo” in via Besozzi, nota per essere frequentata da esponenti di CasaPound e della curva interista. Perché era lì? E perché Beretta sale in auto? Questo evento è un caso isolato o ci dice di più sul crimine organizzato? Ne abbiamo parlato con Pietro Colaprico, ex caporedattore di Repubblica Milano e una vera leggenda del giornalismo legato alla cronaca nera, autore di numerosi libri e romanzi sul capoluogo meneghino e non solo (l’ultimo, uscito quest’anno per La Nave di Teseo, è Sequestro alla milanese). Colaprico ci spiega come e perché le mafie si siano infiltrate nei piccoli paesi intorno a Milano e negli stadi, le dinamiche e gli accordi tra cosche per mantenere, almeno all’apparenza, un profilo basso, e soprattuto perché la politica non riesce ancora a intervenire duramente contro la criminalità organizzata.
Colaprico, perché uno come Beretta può essere arrivato a uccidere il capo di una cosca come Bellocco? Se arrivano a questo punto cosa significa? Cosa c’è sotto?
Beretta ha sostenuto di sapere da giugno di essere nel mirino dei clan calabresi, usiamo questa definizione generica. Ora, se prendiamo un uomo che già normalmente non usa il dialogo come strumento per confrontarsi e a un certo punto si sente anche minacciato, possiamo ipotizzare che abbia vissuto questi mesi con molto stress e una voglia di rivincita. E quando si è materializzato davanti a lui quello che è ritenuto il capo dei calabresi, Bellocco, ha agito. Grazie alle telecamere sappiamo che Beretta è uscito dalla macchina e si è accanito contro Bellocco. Questo dimostra sia il rancore, la rabbia, che la paura di Beretta. Infatti Beretta si è liberato con un gesto estremo della figura che gli gettava addosso del panico.
Difficile ricostruire quanto avvenuto nell’auto, inizialmente Beretta ha parlato di legittima difesa. Ma la stessa pistola in mano a Bellocco sarebbe sua. Lei ha qualche ipotesi?
No, però mi sembra poco credibile che Bellocco sia andato lì per uccidere. Forse è andato a fare l’ultimo tentativo di piegare Beretta a quelli che erano i suoi voleri. Quando parliamo di Bellocco dobbiamo pensare all’erede di uno dei più potenti clan di ‘ndrangheta calabrese. Stiamo parlando di persone che a Rosarno e nella zona di Gioia Tauro comandano parecchio. Parliamo di famiglie che sono trapiantate a Nord, a Milano ma anche in Svizzera, da molto tempo. Beretta, per tante ragioni, potrebbe aver reagito a un ultimatum di Bellocco. Ma se Bellocco l’avesse voluto ammazzare non sarebbe andato da solo e probabilmente non lo avrebbe fatto direttamente.
Come mai non dovremmo sottovalutare la Svizzera?
Parliamo dei traffici della ‘ndrangheta e dei forzieri della ‘ndrangheta. Sono passati molti anni, oltre dieci, ma i Bellocco furono i responsabili dell’assalto a un’azienda milanese e l’ex titolare di questa ditta venne preso a schiaffoni, c’era anche un commercialista svizzero di mezzo, e dopo l'aggressione fece una telefonata alla fidanzata dicendo che era stato riempito di botte e aveva resistito, perché comunque alla fine l’azienda gliela aveva ceduta. Cioè, fu così intimorito da raccontarsela e raccontarla alla fidanzata come se avesse condotto lui una grande operazione. E c’erano appunto di mezzo i Bellocco. Capiamo la differenza. Se un clan aggredisce un’azienda dove sostanzialmente ci sono dei manager che di mestiere fanno i ragionieri, i venditori, allora ha un certo spazio per muoversi. Quando la ‘ndrangheta prova ad avvicinarsi a gente che vive di delinquenza, come Beretta, allora può starci di tutto, anche una reazione come quella che c’è stata.
Bellocco è arrivato a Milano dalla Calabria dopo una sentenza definita per associazione mafiosa. Perché personaggi del genere cercano subito contatti con le curve?
Dalle squadre al ministero degli Interni, tutti stanno sottovalutando questo tema. Mentre la camorra è molto più localizzata tra Roma e Napoli, la ‘ndrangheta entra ovunque. Nei bar, in cose minori come il Mercato Comunale Isola. Sono come il Covid. Il Covid chiamato ‘ndrangheta dice: si guadagna benissimo anche dalle curve di San Siro. Quindi si infiltrano. Ma si dice abbiano messo le mani anche sullo stadio della Juventus e altrove. Giornalisti e associazioni fanno il loro lavoro egregiamente. È il ministero degli Interni che non sta capendo la pericolosità della coesione tra pezzi di ‘ndrangheta, pezzi di tifo e pezzi di politica. Perché non dimentichiamo che queste curve sono anche maneggiate, infiltrate, da estremisti soprattutto di destra, ma anche di sinistra. Come fai a non andare a guardare cosa sta succedendo? E, soprattutto, se ti svegli in ritardo, ci trovi già il morto come in questo caso. A Milano c’è stata una grande inchiesta, ma visto che l’inchiesta non ha prodotto grandi reati, il Gip l’aveva archiviata. Ora, questo può essere giusto dal punto di vista della magistratura, ma dal punto di vista delle forze di polizia è giusto? Io penso di no. Credo che l’Anticrimine avrebbe dovuto puntare un faro da tempo su questo mondo.
C’è collusione anche tra amministrazione locale e criminalità organizzata a Milano?
Sinora abbiamo avuto in passato dei casi minori, qualche consigliere o assessore regionale la cui campagna era stata foraggiata dalla ‘ndrangheta o soggetti che avevano usato la ‘ndrangheta per risolvere dei problemi. Ma mi sembra che siano i comuni più piccoli ad avere i veri problemi con la ‘ndrangheta. Se tu sei la ‘ndrangheta e vuoi provare a colpire a Milano, devi stare molto attento perché ci sono la magistratura, le forze dell’ordine e così via. Se tu vai in un piccolo comune della Brianza e fai capire che è meglio per lui ubbidire, questo sindaco, se non ha una ossatura grossa, è molto difficile possa resistere. Allo stesso modo, quando hai rapporti perversi nelle curve con pezzi di estremismo politico, pezzi di ‘ndrangheta e hai anche tanto denaro, puoi arrivare a gestire la politica istituzionale nei paesini. E quindi come si può non porre l’attenzione su ciò che accade nelle curve e chiedersi cosa potrebbe accadere, politicamente, per esempio a Desio? Il Paese e il governo arrivano, come ho detto, in ritardo. Soprattutto rispetto al giornalismo.
Rimane infatti anche un'altra domanda: com'è possibile che Beretta, erede di Boiocchi, condannato per tutto, droga, violenza, aggressioni, con l'ennesimo Daspo di dieci anni che continua a violare, possa muoversi liberamente e armata a Milano e avere ancora un ruolo primario nella Curva Nord?
È una domanda perfettamente logica ed è la conclusione di tutto. Il governo, da anni, sulla giustizia si attiva con una serie di operazioni per le carriere separate, giusto o sbagliato che sia, per impedire ai giornalisti di scrivere gli atti integrali, giusto o sbagliato che sia, per limitare l’uso delle intercettazioni, giusto o sbagliato che sia, ma non fa una cosa da decenni per rendere le strade più sicure. Questo mi fa impazzire. Ma non ti accorgi che devi rendere le strade sicure? Non ti accorgi che se permetti a gente daspata di sentirsi impunita, non a gente qualunque ma a dei criminali, allora sei uno Stato inefficiente? Non riesco davvero a capire dove sia il nodo in questa storia. I governi, tanto di destra quanto di sinistra, fanno tanti discorsi assurdi e finta politica. Fate una cosa seria, prendete decisioni tangibili. Un esempio: impossibile che queste persone usino qualsiasi mezzo di comunicazione, telefonini, computer e così via. Se li becchi a usarli, tre anni di carcere. Non mi sembra un provvedimento impossibile da far passare.
Quand’è che le mafie sono entrate nelle curve di Milan e Inter?
Negli anni Settanta. Per certi versi stiamo scoprendo l’acqua calda. Il cambiamento di oggi qual è? Mentre prima le curve campavano molto sul merchandising, sulla vendita di biglietti a poco prezzo, c’è un nero mostruoso, negli ultimi anni, cioè da quando la droga è diventata un fenomeno di massa, la criminalità ha capito che c’era la possibilità, attestandosi nelle curve, di diventare ancora più influente in tutto lo stadio e oltre. È dagli anni Duemila che in qualche modo è stata ingegnerizzata la mazzetta della curva.
Quale crede sarà l’iter investigativo e giudiziario di questo ennesimo caso? Ci sono precedenti?
Fortunatamente a indagare c’è Paolo Storari, un magistrato che non molla l’osso. L’abbiamo visto anche resistere alle pressioni del capo della procura sul caso Eni. Mi sembra sia giusto avere fiducia nel lavoro di Storari. Sulle premesse di questo caso: quando sono stati arrestati molti capi ultras, sia dell’Inter che del Milan, per traffico internazionale di stupefacenti, dovevamo intuire qualcosa. Negli anni Settanta ci sono state condanne per accoltellamenti davanti allo stadio, per risse e così via. Quando i reati dei capi della curva, invece, sono diventati reati di droga e reati internazionali, un campanello d’allarme doveva scattare. E non è scattato. Sottolineo: non è scattato.
Forse non è stato fatto scattare?
Non mi sento di dirlo. Io credo ci sia un grande dilettantismo nella politica italiana sui temi della cronaca nera e della cronaca giudiziaria. Non sono sul pezzo, non c’è niente da fare. I politici sono molto bravi a tenere l’ordine pubblico, cioè a calmare la piazza e a evitare problemi di quel tipo, ma non sono preparati quando si tratta di contrastare il crimine organizzato. Infatti ogni tanto in Italia ci sono delle operazioni perfette, tipo la cattura di Totò Riina, la cattura di Messina Denaro, alcune inchieste fatte da Bocassini a Nord. Per il resto si naviga a vista, lasciando alle varie procure e ai vari detective un’azione di contrasto. Azioni di contrasto più organizzate dal ministero di Giustizia o dagli Interni io non la ricordo. Noi siamo il Paese del generale Dalla Chiesa mandato a morire a Palermo senza che la politica muovesse un dito. Di cosa stiamo parlando? Altro che contrasto alle mafie. Ci sono singole grandi capacità, ma uno stile di governo che lascia a desiderare.
Un omicidio come quello del capo della curva negli ambienti mafiosi si può lavare solo con un altro omicidio?
Un tempo sì. Ora bisogna capire cosa accadrà. Credo che Beretta sarà terrorizzato per lui e i suoi cari. Bisogna stare molto attenti alla reazione. Ho letto che stanno arrivando dalla Calabria numerose persone, presumibilmente legate alla cosca, ma non c’è bisogno che il killer arrivi dalla Calabria. È già qui da molto tempo. Piuttosto bisogna capire cosa decideranno i capi. Su alcuni casi, come succede con i clan siciliani, anche i calabresi hanno l’obbligo di parlarne con il cosiddetto Crimine, che è una sorta di Capo dei capi. Bisognerà capire cosa succede. Sarebbe interessante vedere quel che sta capitando in Calabria in questi giorni. Non guardiamo questa storia come a una storia solo milanese. La ‘ndrangheta, come la camorra, è in moltissimi stadi. Ci sono stati numerosi omicidi di tifosi e violenze tra tifoserie organizzate. Potrebbero anche dire: non possiamo ammazzare Beretta perché magari a Torino finiremmo per trovarci in una situazione analoga.
Anche il Milan, lei ne ha parlato più volte, notando tra l’altro le amicizie controverse del ministro Salvini, ha rapporti con la criminalità organizzata. Cosa dovremmo aspettarci dal derby Milan-Inter del 22 settembre? Come si comporteranno le due curve tra di loro?
Le due curve vanno d’accordo da anni. Fanno delle scaramucce ma è da tempo che i capi hanno deciso di dividersi la torta. E per dividersi la torta non devi sparare. È un po’ quello che è successo sul mercato della mafia. Per i traffici di droga abbiamo assistito fino agli anni Ottanta a delle sparatorie pazzesche, lotte feroci e via dicendo. Dagli anni Novanta non si spara più. Come mai? Perché il mercato è così enorme, così redditizio per tutti, che più lo tieni calmo più guadagni. Come hanno fatto la pax sul traffico di droga, così fanno la pax sul traffico delle curve.
Lei è stato l’unico a porsi una domanda fondamentale sul caso Fedez e Iovino: gli ultras stanno diventando guardie del corpo degli influencer e influencer a loro volta. Ma questo vuol dire costruirsi un consenso che va oltre l’ambiente della curva. Le nuove generazioni sono “sedotte” da questi modelli?
Qui sposterei il discorso. Una volta, per diventare qualcuno, avevi bisogno di fare una lunga gavetta. Adesso l’influencer, improvvisamente, dal nulla, nel giro di un anno, acquista molto potere. Ma la tua cultura, di base, è veramente tale da farti distinguere il bene dal male? Se tu pensi che il potere sia solo arroganza e impunità, allora finirai per fare amicizie sbagliate. E non è l’amicizia sbagliata di Francesco Turatello, grande boss di Milano, con Franco Califano, grande cantante italiano, che si trovavano per tante ragioni d’accordo, ma Califano non faceva il delinquente. Oggi c’è una voglia di essere i numeri uno che non dipende dal fatto che tu hai la struttura del numero uno. E quindi alla fine, in questo mondo dove si diventa famosi in un attimo e poi si viene dimenticati, l’idea di dire che siamo tutti sugli stessi social e quindi apparteniamo tutti al gruppo che ce l’hanno fatta, accorcia in modo pericoloso le distanze fisiche e sentimentali tra le persone. È un tema frastagliato e complicato che non ho le competenze per affrontare. Servirebbero psichiatri e sociologi. Ma il punto è questo: ci sentiamo tutti uguali perché siamo tutti sulla stessa piattaforma. Però un conto è essere virtuali e un conto è essere reali. Se ti porti in casa un criminale che ti sta simpatico sui social, poi il criminale può comportarsi in casa tua come si comportano i criminali. Cioè prendersi tutto. È questo che oggi non prendiamo in considerazione. Quindi accreditare persone che vivono di reati, per esempio dicendo “sono i miei bodyguard”, non fa bene a nessuno.