Quando Paolo nacque, nel 2007, suo padre era in carcere e non l’ha visto nascere. Ora – dopo che lo avevano liberato e rimesso in prigione altre volte, dopo svariati processi, dopo un’estradizione dagli Emirati Arabi – suo padre è di nuovo in carcere (dall’agosto 2024), e Paolo ha paura che stavolta non sia una questione di non assistere a una nascita, ma di assistere a una morte. Il padre di Paolo si chiama Danilo, Danilo Coppola, è in prigione a Viterbo e sta male. Molto male, secondo il figlio: “Ma – ci dice il ragazzo, che vive in Svizzera con la madre – nonostante le perizie mediche e tutti i precedenti che certificano la sua incompatibilità con la detenzione non vogliono concedergli i domiciliari. Ha perso 25 chili in pochissimi mesi, non mangia, vomita, non sta in piedi, è sempre attaccato alla flebo e stordito. Se qualcuno non interverrà ho paura che sarà presto troppo tardi”.
Coppola, il cui nome ha cominciato a comparire nelle cronache giudiziarie all'epoca dei “furbetti del quartierino”, è stato ed è ancora a processo per numerose vicende finanziarie. In alcuni casi è stato assolto, in altri no, e altri sono ancora pendenti: "Ha subito una persecuzione giudiziaria - dice il figlio Paolo, che fa il liceo scientifico ma si è già di fatto specializzato suo malgrado sul campo della vita in giurisprudenza nell'ultimo periodo - ma al di là di quello che si può pensare sulle vicende processuali, qui c'è in gioco la vita di una persona, e la tutela della vita deve prevalere su tutto. Come possono i giudici disporre una perizia medica e poi ignorare il responso e decidere il contrario? Senza aver nemmeno mai visto la persona a cui si negano i domiciliari in una struttura sanitaria, cioè impedendo l’unico modo per provare a salvare quella persona?”.
Paolo ha scritto anche ad alcuni politici, ma – spiega – finora gli avrebbe risposto solo la segretaria di Ilaria Cucchi, chiedendo il contatto degli avvocati per approfondire il caso. Ma qual è la condizione di Danilo Coppola che sarebbe incompatibile con il carcere? In primis la claustrofobia, da cui deriverebbero gli altri problemi. Entriamo più in dettaglio.
![Danilo Coppola](https://crm-img.stcrm.it/images/37534547/2000x/20240524-125858190-7719.jpg)
“Papà è clinicamente claustrofobico. Rifiuta il cibo, e se prova a mangiare, vomita tutto. Non riesce a riprendere peso, non sta facendo alcuno sciopero della fame volontario, come dicono i giudici. Ogni volta che lo vedo è uno shock: con due dita riesci a fargli il giro delle caviglie. È spaventoso”
Paolo, suo padre, condannato nel 2022 a sette anni di carcere con l'accusa di bancarotta, è stato estradato dagli Emirati Arabi in Italia nell’agosto 2024 e portato nel carcere Mammagialla di Viterbo per scontare un residuo di pena di 6 anni, 5 mesi e 12 giorni della condanna definitiva per il fallimento di Gruppo Immobiliare 2004 e delle società Mib Prima e Porta Vittoria. Come avete vissuto e state vivendo la cosa?
Dal punto di vista familiare – spiega il figlio dell’immobiliarista, che ha cominciato ad avere guai con la giustizia nel 2007, quando era all’apice della carriera e della ricchezza – è una sofferenza, anche perché io e papà abbiamo un rapporto che non è quello classico tra padre e figlio. Vivevamo in simbiosi e avevamo un rapporto veramente unico. Da quando è tornato in Italia è straziante.
Ma logisticamente come funzionava? Perché voi come famiglia vivete in Svizzera, mentre suo padre era negli Emirati Arabi, tecnicamente da latitante per la giustizia italiana.
Certo, certo. Io vivo in Svizzera, papà era negli Emirati e quindi già lì soffrivamo tanto la distanza, perché io vado a scuola qui, lui stava lì, però comunque bene o male riuscivamo a tenerci in contatto, con i telefoni, con le videochiamate. Poi appena potevo andavo a trovarlo, e quindi il rapporto c’era ancora. Adesso questo rapporto è sicuramente un po’ più complicato e quando lo vado a trovare in carcere ci sono due emozioni contrastanti. Sicuramente sono felice di rivederlo, ma c’è anche una sofferenza nel vederlo così. Adesso papà sta veramente male, sta in sedia a rotelle…
Cos’ha in particolare suo padre?
Papà è clinicamente claustrofobico, con una serie di patologie acclarate sia dai nostri periti che dai periti del tribunale. Rifiuta qualunque cibo, e anche se mangia, vomita tutto.
Nell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma, che pure riconosce le condizioni precarie del detenuto, si legge che “la mancata assunzione di cibo o di integratori sia volta a rafforzare e amplificare le conseguenze del quadro psicologico in essere e quindi deve essere ricondotta alla volontarietà dell'evento finalizzata all'ottenimento della scarcerazione”. In sostanza i giudici sostengono che suo padre abbia smesso di mangiare apposta.
Non è così. Papà non riesce a riprendere peso, ha perso ormai 25 chili e non sta facendo alcuno sciopero della fame volontario. Noi dal primo momento in cui è rientrato in Italia abbiamo cercato di ottenere i domiciliari, perché c’erano già state situazioni precedenti come questa, perché la sua condizione è riconosciuta da tempo. Dopo che ce li hanno rifiutati, abbiamo fatto ricorso e il Tribunale di sorveglianza ha nominato dei consulenti medici (ctu), che hanno depositato una perizia in cui si certificava che la situazione era grave e che mio padre doveva uscire dal carcere perché incompatibile con la detenzione e che necessitava assolutamente di un percorso di recupero in una struttura sanitaria, in regime di domiciliari. La perizia, depositata a gennaio, riguardava la situazione del 17 dicembre. Situazione che da allora si è ulteriormente aggravata. Ciononostante, i domiciliari in struttura sanitaria (con braccialetto elettronico) gli sono stati negati.
Nell’ordinanza di rigetto del Tribunale si parla di “pericolosità sociale del condannato” e di “attuale ed elevato pericolo di commissione dei reati, prima tra tutti l’evasione” e di rischio di fuga nonostante il dispositivo elettronico, “che non impedisce assolutamente lo spostamento”: Inoltre, secondo i giudici, “non sussiste alcuna incompatibilità con il regime carcerario”, vista “la possibilità di gestione delle sue problematiche psicofisiche tramite viste periodiche da parte dello psicologo, dello psichiatra, del nutrizionista”.
La verità è che non c’è modo che in carcere possa migliorare, per questo è incompatibile. È il contrario di quello che hanno scritto i giudici, che si sono sostituiti ai medici da loro stessi nominati, senza mai vedere mio padre. Ma è un accanimento che è iniziato tantissimo tempo fa, questa è solo la vicenda più recente. Si parla di pericolo di fuga nonostante il braccialetto, di pericolosità sociale come fosse un boss mafioso o un terrorista, quando gli contestano reati finanziari e quando è uscito innocente da quasi tutti i continui processi a cui lo hanno sottoposto, come nel gioco “Ritenta e sarai più fortunato”. Come si può parlare di pericolosità sociale per un reato finanziario?
![danilo coppola](https://crm-img.stcrm.it/images/37534544/2000x/coppola-d-2.jpg)
“Si parla di pericolosità sociale come se fosse un boss mafioso o un terrorista. Ma a mio padre contestano reati finanziari. Faccio un appello: al di là di quello che si pensa di lui, qui c’è una vita in pericolo. È una questione di diritto alla salute. Non c’è nulla di controverso nel voler salvare una persona”
Suo padre era già stato in carcere, Questa situazione di precarietà psicofisica si era già verificata?
Sì, papà è stato per vari periodi in custodia cautelare. La prima volta nel 2007, quando dopo due anni di custodia e dopo sette anni di processo è stato assolto. Durante queste custodie cautelari è stato dichiarato incompatibile dal ctu tre volte. Quindi questa sarebbe la quarta. E tutte le tre volte precedenti, dopo questa dichiarazione di incompatibilità, è stato scarcerato. È stato dichiarato incompatibile due volte nel frangente 2007-2009 e quindi è passato ai domiciliari e poi un'altra nel 2016 per una custodia cautelare che riguardava il processo che l’ha visto condannato e per cui adesso è a Viterbo. I suoi problemi sono sempre gli stessi, solo che ora non ha più 35-40 anni, ne ha quasi sessanta e il corpo è meno forte. Lui ha sempre sofferto di claustrofobia. Papà non riusciva a stare in casa neanche quando era libero. Non riusciva a stare in casa neanche per qualche ora. Cioè chiedeva sempre di fare passeggiate, di uscire, proprio perché diceva sempre che gli mancava l’aria e doveva uscire assolutamente. Per fortuna durante il Covid era in Svizzera, dove le regole erano molto meno stringenti che in Italia, altrimenti non so come avrebbe fatto in quel periodo.
Lei è nato nel 2007, mentre suo padre era in carcere. È riuscito ad avere un’infanzia “normale” con lui, con tutte le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto e lo stanno ancora coinvolgendo?
Se ripenso al fatto che non gli hanno nemmeno permesso di vedermi nascere… Fino a pochi anni fa non sapevo niente di tutto ciò. Quando ero un po’ più grande, nel 2016, quando è stato arrestato e non l'avevo visto per mesi (fino a quando gli hanno concesso i domiciliari per un'altra incompatibilità con la condizione carceraria certificata), mi era stato detto che papà non c’era perché stava lavorando in Africa. Ma guardando indietro posso dire che papà non me lo sono mai riuscito a godere, anche se papà era forte, anche se riusciva a tenere separate le cose o comunque ci provava. Perché uno come fa nei suoi panni a stare tranquillo, a godersi i figli, a godersi le cose? Cioè, è un accanimento che ha rovinato non solo lui, ma anche la sua famiglia. L’ultimo parere tecnico di incompatibilità l’hanno depositato a fine gennaio. E dopo quella certificazione eravamo più sereni, pensavamo di essere arrivati al traguardo, eravamo più tranquilli al pensiero che papà adesso lo avrebbero curato, lo avrebbero portato in clinica in provincia di Como e noi saremmo riusciti a stargli un po’ più vicini. Anche il procuratore generale in udienza aveva dato il parere favorevole per i domiciliari, nella clinica indicata da noi. E invece è arrivata la mazzata. Quella di papà è un’odissea giudiziaria complessa e che magari non interessa. Ma al di là di questi aspetti, qui c’è in ballo la vita di una persona. È una questione di diritto e alla salute, e a prescindere di ciò che si pensi delle vicende legali di mio padre questo deve avere la precedenza su tutto. Non c’è nulla di controverso nel voler e dover salvare una persona”.
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Come funziona il regime di visite in carcere? Quanto riuscite a vederlo?
Noi abitiamo a Lugano, lui è in carcere a Viterbo, quindi... Lo possiamo sentire via telefono dieci minuti al giorno, lui ci chiama quasi ogni giorno. Poi abbiamo otto ore mensili di visite, possiamo andare due weekend al mese. Di solito io lo riesco a vedere quattro ore al mese, due sabati al mese. Ma vederlo così fa male, fa tanto male, perché con due dita riesci a fargli il giro delle caviglie. È veramente spaventoso. È stato uno shock più di una volta andarlo a trovare, nelle condizioni in cui è. Poi molte volte era proprio stordito, perché l’unica cosa che possono fare è riempirlo di flebo. Non so di che cosa sono, non so cosa ci mettono dentro, ma sono per tirarlo un po’ su e provare a farlo alzare in piedi. Ma di queste flebo che gliene fanno due, tre, quattro al giorno da settembre, e lo stordiscono. La maggior parte delle volte, ultimamente sempre, è uno shock vederlo così.
Ma riuscite a comunicare con lui?
Dipende. Ci sono volte in cui non è facile comunicare, appunto perché, è brutto dirlo, ma è proprio stordito. Ma dopo qualche caffè… Gli dai forza e magari una conversazione riusciamo ad averla, però molte volte non si riesce.
Cosa gli dite? Non riuscite a motivarlo a reagire?
In questo momento non penso possa più resistere. Prima che uscisse quest’ultima sentenza l'avevamo tutti tranquillizzato, anche se lui se lo sentiva che sarebbe andata così. Gli davamo forza, gli davamo speranza, ma dopo quella sentenza qualunque cosa gli dici non serve.
Ma è seguito da medici?
Sì, è seguito da dei medici del carcere e seguito dai nostri medici che lo vanno a visitare spesso, ma ciononostante non riesce a migliorare. Non riesce, e quindi ormai c'è anche un pericolo di vita. È stato scritto dai consulenti del Tribunale: la situazione di papà è incompatibile con il carcere, non può migliorare in quell'ambiente. Siamo tutti preoccupatissimi, perché, nonostante i medici abbiano messo per iscritto quali fossero le condizioni di mio padre, è stato deciso esattamente il contrario. Questa non è più una questione giudiziaria. Si sta parlando della vita di mio papà, una vita messa a rischio da una decisione arbitraria dei giudici. Ora faremo ricorso in Cassazione, ma i tempi non saranno brevi e di tempo rischia di non essercene più. Com’è possibile che il tribunale chieda un parere medico e poi non ne tenga conto? Si sono già persi mesi. Mesi.
Sul piano politico qualcuno si è interessato alla vicenda?
Ho inviato una lettera, oltre che a varie redazioni di giornale, anche a diversi politici. L’unica risposta avuta per ora è stata quella della segretaria di Ilaria Cucchi, che ha chiesto il numero dei nostri legali per approfondire la questione, ma al momento non si è ancora messa in contatto con loro. Da tutti gli altri, nulla. Quindi faccio un appello: al di là di quello che si pensi di lui e delle sue questioni processuali, qualcuno può fare qualcosa per provare a salvare la vita di mio padre?”
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