L’Università di Boston ha a disposizione uno dei 13 laboratori di biosicurezza 4 (BSL-4) degli Stati Uniti. In questi laboratori è possibile portare avanti delle ricerche con potenziali patogeni pandemici, ovvero batteri, virus e microorganismi altamente virulenti. Ricerche del genere mirano ad anticipare probabili pandemie, studiandone effetti e possibili vaccini attraverso la produzione di patogeni “potenziati”. Tuttavia si tratta di una ricerca che comporta certi rischi e deve rispettare le politiche di controllo degli organi governativi preposti. Il 14 ottobre viene caricato in pre-print (prima della revisione tra pari necessaria per la pubblicazione scientifica) online uno studio di alcuni ricercatori del laboratorio di Boston che hanno tentato di estrarre la proteina spike della variante del coronavirus Omicron, per poi innestarla nel ceppo wildetype (originale, nda) del primo focolaio a Wuhan. L’obiettivo di tale studio era analizzare la letalità di un eventuale ceppo ibrido. Così sono stati contagiati 10 topi di laboratorio con la variante Omicron standard e con questo nuovo ceppo. I risultati sono stati totalmente differenti. Mentre con la variante standard i topi hanno avuto un decorso della malattia lieve, la nuova variante ha registrato un tasso di mortalità dell’80%. I ricercatori sottolineano che il tasso di mortalità registrato con i topi non rispecchia l’effettivo tasso di mortalità per gli esseri umani, poiché le cavie selezionate erano soggetti altamente suscettibili e fragili. Tuttavia il ceppo ibrido ha destato non poche preoccupazioni.
Il tipo di studio viene definito gain-of-function (GoF Research), perché si tratta di una ricerca che mira a far guadagnare al patogeno una nuova funzione o ne potenzierà una già esistente. Alcuni hanno condannato questo tipo di ricerca come un “giocare con il fuoco”, soprattutto dopo i dubbi sull’origine del virus a Wuhan. Una delle tesi è infatti che una ricerca simile a quella dell’Università di Boston abbia causato la pandemia, per via di un incidente nel laboratorio di biosicurezza della città cinese. È stato il professor Shmuel Shapira, uno dei principali scienziati del governo israeliano, a dichiarare: «Questo dovrebbe esser totalmente vietato, è giocare con il fuoco». Il dottor Richard Ebright del dipartimento di chimica della Rutgers University in New Jersey, ha dichiarato al «DailyMail.com»: «Se vogliamo evitare una prossima pandemia generata in laboratorio, è imperativo che la supervisione di una ricerca potenziata su potenziali patogeni pandemici sia rafforzata». Il professor David Livermore, docente di microbiologia presso l'Università britannica di East Anglia, ha dichiarato allo stesso giornale: «Data la forte probabilità che la pandemia Covid abbia avuto origine dalla fuga di un coronavirus manipolato in laboratorio a Wuhan, questi esperimenti sembrano profondamente imprudenti».
Ricerche di questo genere sono state fortemente limitate negli USA già a partire dal 2017 e l’Università di Boston ha sostenuto che si tratti di uno studio approvato dal Comitato istituzionale di biosicurezza (IBS) e dalla Commissione per la salute pubblica di Boston. «Questa ricerca rispecchia e rafforza i risultati di altre ricerche simili condotte da altre organizzazioni. In definitiva, questa ricerca fornirà un beneficio pubblico portando a interventi terapeutici migliori e mirati per aiutare a combattere future pandemie». La scoperta principale riguarda il numero di copie che ogni variante faceva produrre alle cellule sane. La ricerca ha mostrato che il ceppo ibrido produceva un numero di particelle virali cinque volte superiore a quello dell’Omicron originale. Ufficialmente, si ritiene che il virus originale sia stato trasmesso da un pipistrello o da un animale simile a un essere umano al mercato di Wuhan. Tuttavia esiste una teoria secondo cui vi sia stata una fuga dal laboratorio WIV di Wuhan. Per quanto questa teoria non abbia ancora riscontri, resta un’ipotesi plausibile. Il ché giustificherebbe i timori per tipi di ricerca simili anche in America, nonostante l’alto livello di biosicurezza dei laboratori come il National Emerging Infectious Diseases Laboratories di Boston (che ha persino l’alimentazione indipendente dal resto del centro universitario).
Sulla tesi della fuga da laboratorio rimangono comunque delle zone d’ombra che le autorità non hanno chiarito. Sembra infatti che alcune informazioni cruciali sui pazienti infettati siano state cancellate dal database del laboratorio di Wuhan alla fine del 2019, mentre un dipendente che aveva contratto una malattia simil-influenzale era scomparso. Inoltre sembrava che al mercato di Wuhan si fosse diffuso solo il lignaggio B del virus, variante del lignaggio A che non era stato rintracciato. Questo portava a pensare che il virus fosse arrivato al mercato già mutato (in laboratorio). Tuttavia uno studio ha rilevato la presenza di un altro ceppo di prima generazione all’interno del mercato alla data del primo probabile contagio, il 18 novembre 2019. Questo dimostrerebbe la presenza di entrambi i lignaggi già nel mercato chiuso di Wuhan. Rimane fondamentale, al di là della teoria sull’origine del coronavirus in Cina, tenere alta l’attenzione sui livelli di sicurezza dei laboratori interessati, come quello di Boston.