“Non luogo a procedere”: l’Ordine dei Giornalisti del Lazio ha respinto l’esposto presentato da Ermanno Cappa per avviare un provvedimento disciplinare nei confronti della giornalista Rita Cavallaro dopo la pubblicazione su Il Tempo di articoli e documenti che raccontavano come e quando i nomi di Ermanno Cappa, della moglie e delle figlie Paola e Stefania sono comparsi nelle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi. Sembra una notizia di servizio, ma non lo è. In primis perché è una posizione netta a difesa della libertà di stampa – non sempre l’OdG è risultato così categorico – e poi anche perché non è la prima volta che dalla famiglia Cappa partono attacchi alla stampa. Era successo già subito dopo l’efferato omicidio di Chiara Poggi e lo raccontano una serie di intercettazioni in cui lo zio della povera ragazza riferiva anche di aver avuto contatti con alcuni parlamentari per “attaccare il direttorissimo” Vittorio Feltri (che all’epoca sosteneva l’innocenza di Alberto Stasi) e per capire chi gli fornisse documenti considerati a favore del fidanzato della nipote uccisa.
Adesso è toccato a Rita Cavallaro, che ha incassato il non luogo a procedere “per mancanza dei presupposti” e perché, come si legge nel documento, “non basta asserire che quanto pubblicato sia falso se non vengono forniti elementi utili a rappresentare un fatto diverso”. Insomma, raccontare non è puntare il dito. Meno che mai accusare. E, ancora meno, voler lasciar intendere un qualche coinvolgimento ulteriore rispetto a quanto viene semplicemente raccontato. Soprattutto, come sostiene l’Ordine, quando c’è “l’interesse pubblico alla notizia, esigenza comprovata dalla diffusione che gli elementi oggetto di indagine, compresi gli spostamenti dei familiari della vittima il giorno dell’omicidio, hanno avuto e continuano ad avere sugli organi di informazione”.
In estrema sintesi? Parlare di Ermanno Cappa e dei suoi familiari non è lesa maestà e rientra nel diritto di cronaca – anche se non certo piacevole – rispetto a un caso che ha catalizzato in maniera così potente l’opinione pubblica. Recentemente la famiglia Cappa ha più volte minacciato querele anche con una lettera pubblica difesa dallo studio legale che la assiste e una delle due gemelle, Stefania, avrebbe depositato un esposto al Garante della Privacy contro Massimo Giletti, Francesco Chiesa Soprani, Fabrizio Corona e la trasmissione Le Iene, in relazione alla diffusione degli ormai famosi audio della sorella Paola, quelli in cui dice “un giorno dirò tutto, ma dovranno darmi milioni”, che sarebbero stati utilizzati senza il necessario consenso o superando limiti legittimi di riservatezza.
In passato, invece, era stato sempre Ermanno Cappa a provare a arrivare sia al Garante della Privacy, sia all’Ordine dei Giornalisti, ma passando dalla porta delle conoscenze: “Hanno già cazziato La Stampa e un senatore si sta muovendo”. Preoccupazioni anche comprensibili se si ragiona dal punto di vista di un capofamiglia che vorrebbe proteggere i suoi affetti, ma comunque discutibili sia nei modi che nei termini e, soprattutto, alla luce del fatto che comunque c’è una morte su cui da 18 anni ormai si cerca di fare piena chiarezza. Anche perché l’avversione a stampa e tv sembra essere maturata in maniera sorprendente nel giro di poco tempo, visto che furono proprio le gemelle Cappa, subito dopo l’omicidio della cugina, a far parlare di loro prima con un fotomontaggio sbandierato ai quattro venti e poi prestandosi a continue interviste, tanto che era stato lo stesso padre, Ermanno, a richiamarle e, in una occasione, a dire queste parole a una delle due figlie: “Stai tranquilla che l’indagine va avanti come si deve che quel cretino lì (Alberto Stasi, ndr) se devono incastrarlo lo incastrano”.